Giustizia nel caos. Reggio, ma chi sono i “cugini mafiosi” di Tommasina Cotroneo?

Le chat di Luca Palamara, com’era inevitabile che fosse, hanno interessato anche la magistratura calabrese e – almeno per il momento – stanno imbarazzando e non poco il Tribunale di Reggio Calabria, che ne esce non solo con le ossa rotte ma persino sbertucciato per il tenore delle conversazioni. Specie quelle con Tommasina Cotroneo, presidente della sezione penale Gip-Gup del Tribunale di Reggio, tra le colonne dell’Anm e a lungo agguerrita delegata di Unicost, il gruppo centrista. Sì, proprio lei, la giudice balzata ieri alla ribalta delle cronache per aver denunciato un’intimidazione “mafiosa” per avere ricevuto un proiettile esploso e una foto con una croce. Con la solita “giaculatoria” delle solidarietà come succede sempre in questi casi. Ma non è di questo che vogliamo occuparci stamattina. Anzi, per dirla tutta, non ci interessa per niente.

Sul rapporto tra la giudice e Palamara e sui teneri nomignoli affibbiati da lei a lui (orsetto, orsacchiotto invece di tonno e tonnetto…) si potrebbero scatenare addirittura i siti e i giornali di gossip ma è chiaro che – anche in questo caso – sono ben altri i livelli sui quali si deve ragionare.

A Reggio in queste settimane sono in molti quelli che si interrogano sulle ormai famigerate e famose “parentele pericolose” della Cotroneo. Argomento per niente nuovo epperò mai scandagliato a fondo e tuttora “misterioso”.

Quando Tommasina Cotroneo, oggi capo dei gip reggini, puntava alla promozione, due rivali la screditarono presso il procuratore generale Dino Petralia, oggi capo del Dap dopo le dimissioni di Basentini: «Ha cugini mafiosi», dicevano le rivali. E lei invocò Luca Palamara, naturalmente: «Qui tanti hanno amici nelle cosche. Aiutami, stratega». Capirai che stratega!

La Cotroneo interpella Palamara anche per le polemiche scaturite da queste sue parentele, che, queste le sue paure, ne avrebbero potuto bloccare il percorso all’interno della magistratura: “Luca, ricorda che la questione della incompatibilità ambientale è stata archiviata dal CSM ed allora Gerardis ha scritto una nota sulla mia integrità morale e sul fatto che mai ho creato problemi all’ufficio. Ricorda anche che ho fatto tutte le cosche di ‘ndrangheta e tutti i più grossi processi di mafia. 13 anni al riesame 5 al Gup distrettuale e 4 in corte anche presiedendo maxi. Non si tratta di prossimi congiunti peraltro ma cugini con cui non ho rapporti da 20 anni“.

Ma Tommasina Cottoneo non si difendeva soltanto ma attaccava – eccome se attaccava – per come emerge dalle intercettazioni, nelle quali accusava di reati molto gravi la collega giudice Kate Tassone. 

COTRONEO: «E poi devo dirti a questo punto delle cose sulla Tassone visto che si deve giocare con le loro carte. È una persona pericolosa e senza nessuna sensibilità istituzionale con un padre pieno di reati fiscali ed una impossibilità di vedere un suo bene in esecuzione immobiliare a Vibo per le pressioni che evidentemente esercita. Lei peraltro a seguito di una causa civile che la vedeva parte soccombente rispetto ad un vicino di casa ha mandato al giudice civile che aveva la causa una foto wapp con le immagini del suo appartamento e sotto scritto ‘senza parole’ stigmatizzando così la decisione di quel giudice. Quest’ultimo ha raccontato tutto a Gerardis che non gli ha detto di relazionare altrimenti a quest’ora la signorina Tassone sarebbe stata sotto procedimento disciplinare. Fagliele sapere queste cose al suo mentore. Non l’hanno mai voluta la Tassone perché conosciuta da tutti come pericolosa per i suoi tratti caratteriali»

PALAMARA: «Sui reati fiscali del padre mi dai qualche elemento in più? Cosa fa il padre?»

COTRONEO: «Non so di preciso. È un personaggio oscuro. Lei non parla mai del padre. Non pervenuto . Qualcosa mi aveva detto la Grasso e sulla esecuzione immobiliare dicono in Corte. Sarebbe un presidente di sezione pericolosissimo…».

Alla fine, Tommasina ha stracciato la rivale ed ha vinto la battaglia ma il mistero sulle sue parentele pericolose è rimasto tutto. C’è chi dice che questi cugini mafiosi siano della piana di Gioia Tauro, c’è chi dice addirittura che il cugino ingombrante possa essere della dinastia dei Tegano ma non ci sono certezze nonostante queste vicende siano in ballo ormai da anni. Omertà? E chi lo sa… Fatto sta che in una città dove custodire un segreto è impossibile, neanche i giornalisti più sgamati si azzardano a scrivere qualche ipotesi. Nulla di nulla.

Stavamo cercando materiale riguardante il magistrato Tommasina Cotroneo e le sue ormai celeberrime “parentele mafiose” quando ci siamo imbattuti in questa notizia risalente, in prima battuta, al 2013. Si tratta di un articolo scritto da Alberto Spampinato, giornalista di “Ossigeno per l’informazione”, in prima linea per difendere la libertà di opinione e di espressione, specie quando viene messa a dura prova da gente che si ritiene “intoccabile”.

Tre magistrati di Reggio Calabria, l’ex Procuratore Generale Salvatore Di Landro, la figlia Francesca, giudice nella stessa città, e Tommasina Cotroneo (l’attuale presidente della sezione Gip-Gup, salita alla ribalta delle cronache nazionali per le vicende legate alle ormai famigerate chat di Luca Palamara, ndr) hanno chiesto venti milioni di euro di danni per diffamazione a mezzo stampa a Francesco Forgione, giornalista, ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, autore di un libro inchiesta sulla ‘ndrangheta. ”E’ chiaramente un’intimidazione, ma con me le intimidazioni non hanno effetto”, ha commentato Forgione. Il procuratore generale e la figlia hanno presentato due distinte citazioni in giudizio facendo riferimento al capitolo del libro in cui l’autore ricostruisce le parentele acquisite dei due magistrati, alcune delle quali porterebbero, a loro volta, a parentele con esponenti mafiosi. Stessa cosa ha fatto il giudice Tommasina Cotroneo.

“Porto franco. Politici, manager e spioni nella repubblica della ‘ndrangheta”, pubblicato a giugno del 2012 da Dalai Editore, è un libro inchiesta. Un paragrafo è dedicato a giudici e avvocati che sono imparentati con il PG e lavorano nel Tribunale della città dello Stretto. “Per il procuratore generale il Tribunale è una seconda casa. Senza metafore”, afferma ironicamente Forgione. Oltre alla figlia, scrive nel libro, nel Palazzo lavorano il marito di lei, l’avvocato Attilio Cotroneo, definito “il principale esperto di assicurazioni e materie finanziarie”, e la sorella di quest’ultimo, Tommasina Cotroneo che è giudice per le indagini preliminari.

Poiché queste persone, aggiunge Forgione, lavorano in uffici diversi, formalmente  ”conflitti d’interesse, ovviamente, non ne esistono, ma c’è sempre un ma”. ”A Reggio – dice l’ex presidente dell’Antimafia – queste sono cose che conoscono tutti o forse nessuno. In ogni caso nessuno ne parla né ci ha mai trovato niente di strano (…) Certo nel giudicare il lavoro delle singole persone e dei singoli magistrati non ci possiamo fare condizionare dai loro legami famigliari. Ma nessuno ci può convincere, che qui, in Calabria, sia giusto e normale continuare ad andare avanti così”.

Il filo delle parentele è una delle chiavi narrative del libro. Forgione ha ricostruito numerose storie famigliari, in particolare quella dei potenti capimafia Piromalli, raccontata come una saga. Anche in altre vicende l’Autore segue spesso il filo delle parentele e fa notare che a volte esse collegano persone e ambienti formalmente separati o contrapposti. E a volte portano a persone legate alla ‘ndrangheta. Forgione ricostruisce fra l’altro gli sviluppi delle indagini sulle bombe esplose il 3 gennaio 2010 davanti al palazzo di giustizia di Reggio Calabria, sottolineando che dalle indagini sembra emergere qualcosa di diverso rispetto alle schematiche interpretazioni dei primi giorni.

Francesco Forgione, calabrese di Tiriolo (Catanzaro) è un uomo politico e un esperto di mafia e di ‘ndrangheta. Ha pubblicato numerosi saggi. Ha insegnato sociologia delle organizzazioni criminali all’Università dell’Aquila. Dal 1996 al 2006 è stato capogruppo di Rifondazione Comunista all’Assemblea Regionale Siciliana e dal 2006 al 2008 è stato deputato del PRC e presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. In questa veste ha firmato la prima Relazione interamente dedicata alla ‘ndrangheta. Il primo documento della Commissione mette a fuoco per la prima volta il ruolo internazionale assunto dalla potente mafia calabrese, su cui si erano accesi i riflettori solo dopo la Strage di Duisburg del 15 agosto 2007.

“Porto franco” è un’inchiesta giornalistica aggiornata sulla Calabria, “un viaggio e un ritorno” di Forgione nella sua terra della quale mette in luce aspetti, vicende e carriere personali che stentano ad avere l’attenzione pubblica che meriterebbero, anche a livello giudiziario. Ad esempio, Forgione si chiede perché la Procura Generale di Palermo, nel 2008, non valorizzò le trascrizioni di intercettazioni telefoniche fra il senatore Marcello Dell’Utri (imputato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa) ed emissari della ‘ndrangheta.

“Ho voluto fare un viaggio nella terra che amo e nei suoi drammatici problemi. Ho descritto il ruolo invasivo della ’ndrangheta sul territorio raccontando storie di persone. Ho consultato atti giudiziari e documenti di inquirenti. Ho acquisito ulteriori informazioni incontrando alcuni protagonisti e alcune persone informate. Non è stato facile. Molte persone hanno rifiutato per paura. Altri, seppure esitando, mi hanno aiutato, ma quando il libro è stato pubblicato non sono riuscito più a contattarle. Sembrano sparite. Non rispondono alle mie telefonate. Anche organizzare presentazioni pubbliche del libro è stato difficile. Sono riuscito a presentarlo a Cosenza, a Polistena, a Isola Capo Rizzuto grazie all’impegno di Libera e di don Pino De Masi. Ma non sono ancora riuscito a presentarlo a Reggio Calabria e nella Piana di Gioia Tauro”, alle cui vicende è in gran parte dedicato”.

Cosa pensa di questa maxi richiesta di risarcimento da parte del Procuratore Generale Di Landro, della figlia e della Cotroneo? 

“Chiaramente – risponde Forgione – è un’intimidazione. So come funzionano queste cose.  Quando qualcuno cita in giudizio un giornalista per diffamazione chiedendo millecinquecento o quindicimila euro di danni, ciò vuol dire che vuole dei soldi, e il giornalista deve prepararsi a darglieli nell’eventualità di una condanna. Se invece il querelante chiede dieci o quindici milioni di euro non punta ai tuoi soldi. Vuole intimidire. Ma con me queste cose non funzionano. Io non mi faccio intimidire”.

“Forse il procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro, pensava che la sua richiesta di risarcimento danni sarebbe rimasta un fatto privato ed invece – ha scritto Forgione in una nota diffusa dopo la pubblicazione della notizia – contribuirà a rendere pubblica e confermare i rapporti personali e familiari che lo collegano a ben noti e più che discussi personaggi della città. Rispetto alla richiesta di risarcimento danni – ha aggiunto – – sono assolutamente sereno perché i fatti da me raccontati vengono confermati dalla stessa memoria depositata, stranamente, presso un ufficio di mediazione di una provincia laziale, possibilità questa ormai esclusa dalle ultime norme approvate dal parlamento”.

Fin qui l’articolo di Spampinato del 2013, che ci dice un sacco di cose ma purtroppo non ci rivela ancora l’identità dei parenti mafiosi della Cotroneo. Il procedimento contro Forgione si è chiuso in primo grado l’11 gennaio 2018. A tale proposito, sul web si trova un lancio dell’agenzia Ansa.

Il Tribunale civile di Catanzaro ha condannato Francesco Forgione, già presidente della Commissione parlamentare antimafia, al risarcimento dei danni in favore dei magistrati della Corte d’Appello di Reggio Calabria Tommasina Cotroneo, componente della Giunta esecutiva centrale dell’Anm, e Fancesca Di Landro nonché in favore dell’avv. Attilio Cotroneo, del Foro di Reggio Calabria. L’azione giudiziaria era stata intrapresa, è scritto in una nota, perché magistrati e legale “si erano sentiti diffamati dal contenuto, che li riguardava, del libro di Forgione dal titolo ‘Porto Franco – Politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta’. Il Tribunale, accogliendo le domande risarcitorie proposte dai professionisti, ha dichiarato ‘gravemente diffamatorio’ il contenuto del libro, per l’assenza del presupposto della verità, anche solo putativa, e per il ‘discorso, evidentemente allusivo’. Il Tribunale ha, altresì, dichiarato che ‘la provata falsità della notizia veicolata e la sua oggettiva idoneità diffamatoria integrano dunque la lesione all’onore e alla reputazione degli attori’”. Forgione, conclude la nota, “è stato, quindi, condannato, oltre al risarcimento del danno ed alle spese del giudizio, anche alla pubblicazione, a sua cura e spese, di un estratto della sentenza su tre quotidiani, di cui due nazionali”. (ANSA).

Su un’altra fonte ovvero il Corriere della Calabria la notizia è più completa perché riferisce anche la cifra alla quale è stato condannato – sempre in primo grado ed è appena il caso di ricordare che i gradi di giudizio sono tre -, che è di 105mila euro più le spese legali più le pubblicazioni di un estratto della sentenza su due giornali nazionali. Insomma, non certo i 20 milioni richiesti dai magistrati in attesa sempre degli altri gradi di giudizio.

A questo punto ci siamo incuriositi e abbiamo “recuperato” una copia di “Porto Franco”, che in questo periodo storico è ritornato incredibilmente di grandissima attualità, quasi come se fosse stato scritto ieri… E così, visto che neanche Spampinato aveva chiarito bene nel suo articolo chi fossero questi parenti mafiosi, abbiamo deciso di pubblicare gli stralci più importanti del libro di Forgione. Li stiamo pubblicando a puntate e stiamo per arrivare alla corruzione della magistratura e quindi anche al nome dei “cugini mafiosi” della signora Cotroneo.

Per il momento, a malapena si sa che il marito della signora Tommasina è Giovanni Milana, segretario dei socialisti di Reggio, che non dev’essere certo rimasto “contento” dopo la pubblicazione delle ultime tenerissime chat e che da qualche settimana deve odiare con tutte le sue forze tutti gli “orsacchiotti” del mondo… A suo tempo e suo luogo, arriverà anche il momento di fare il nome dei “cugini mafiosi”. Tanto noi soldi non ne abbiamo e le (eventuali) richieste di risarcimento danni della signora Cotroneo, con rispetto parlando, non ci spaventano neanche un po’. Più o meno come il proiettile esploso o la foto con la croce. Sempre con rispetto parlando…