Gratteri e la logica del beduino

Gratteri è un beduino — e non è un’offesa — nel senso che pensa e agisce secondo la logica del beduino. Ed è a questo che ci riferiamo: a un modo di pensare, non a un tratto caratteriale, e tantomeno a un’offesa razziale. La “logica del beduino” è un modo di dire che, per l’uso improprio che se ne fa, può sembrare un insulto, ma non lo è. Non significa, per noi, ciò che per molti significa: “opportunista”, “rozzo”, “incoerente”, “primitivo”, “approfittatore”, “ladrone”. Perché le origini di questa espressione, al contrario, sono nobili.

Nel mondo arabo classico, il beduino era l’uomo libero, fiero, autosufficiente, mosso da un pensiero pragmatico e immediato, dettato dalle leggi della sopravvivenza nel deserto: acqua, cammelli, tenda, tribù. Nel deserto le idee, i principi e le parole non bastano: lì contano solo le scelte. Per sopravvivere, il beduino ha sviluppato una logica tutta sua: essenziale, concreta, fondata sul bisogno e sull’onore, dove la coerenza cede il passo all’opportunità del momento — che non è calcolo, ma necessità. Sceglie sempre ciò che conviene a sé e alla propria tribù. E non è becero opportunismo: è, piuttosto, una forma evoluta di intelligenza pratica: dal suo modo di ragionare concreto, basato sull’esperienza e sulla necessità, dipende la sua sopravvivenza.

Una logica che, dal deserto, è arrivata fino alle aule di giustizia. Ed è la stessa che ha spinto Gratteri a salire, per la prima volta nella sua vita, sul palco dell’Associazione Nazionale Magistrati: per convenienza… ma una convenienza nobile. Convenienza che, ovviamente, è stata subito ricambiata da un’ANM che lo ha accolto a braccia aperte. E non poteva fare altrimenti, conciata com’è: credibilità zero e completamente in balia delle decisioni del governo, che mai come questa volta ha sferrato un’offensiva contro le toghe che nemmeno ai tempi di Berlusconi.

Le due tribù, quella di Gratteri e quella dell’ANM, hanno deciso di mettere da parte la coerenza, e le avversità tra di loro, in nome di un bene supremo: fermare la riforma della giustizia e vincere il referendum sulla separazione delle carriere. Ne va dei privilegi e del potere della categoria. L’ANM ha bisogno del pubblico e della figura di Gratteri per recuperare un briciolo di credibilità, e Gratteri ha bisogno dell’ANM per consacrare definitivamente la propria immagine. Un incontro di convenienza, e un patto dettato dall’opportunismo di necessità: come il beduino che rimasto senza cammello, si imbatte nel suo nemico che il cammello ce l’ha — e sa che senza di lui non arriverebbe alla prossima oasi. Nel deserto, contro un nemico potente come la sete, anche i nemici di ieri possono diventare compagni di necessità. Nel deserto, la sopravvivenza vale più della coerenza.

In questo patto, Gratteri è il beduino col cammello: ha il vantaggio, e lo sfrutta per regolare i conti con la principale corrente della magistratura, l’occasione giusta per affermare la sua autonomia e il suo potere mediatico. E lo ha fatto con parole dure, umilianti: “mentre io davo la caccia ai pezzi da novanta, osteggiato dal potere politico corrotto e dai massomafiosi, l’ANM — consapevole di tutto questo — mi ha abbandonato al mio destino.”
Tradotto: se non hanno mosso un dito per difenderlo dagli attacchi del potere massomafioso, significa che in qualche modo ne fanno parte. O, quantomeno, sono complici di quei pezzi da novanta che Gratteri dice non essere riuscito ad arrestare perché fermato. Parole pronunciate solo per i regolare conti, non a farli. Gratteri non parla per giustizia, ma per orgoglio: vuole umiliarli, mostrarsi superiore, prendersi la rivincita che in tanti anni non aveva mai ottenuto. Perché la verità è che di pezzi da novanta non ne ha mai sfiorati. In Calabria si è limitato a chiudere vecchie inchieste di altri, spacciandole per vittorie personali. Teste già rotolate da tempo. Non ha mai osato spingersi oltre, mai toccato i veri centri del potere, quelli che contano davvero. Il solito Gratteri: tutto chiacchiere e distintivo. 

E Gratteri, in questo gioco, ha vita facile a fare il gradasso. Perché l’ANM — come ricorda Palamara — non è affatto il “sindacato dei magistrati”, ma il luogo di mediazione tra il potere politico corrotto e la potente lobby delle toghe, dove si trattano impunità e carriere.
Un vero mercato delle vacche, dove la giustizia si pesa, si scambia e si vende al miglior offerente. In questo contesto, l’affermazione di Gratteri suona come una rivendicazione di primato: “sono io il più onesto di tutti.” Un rospo che l’ANM ha dovuto ingoiare, perché mai come oggi la magistratura è debole, isolata, screditata. E Gratteri è l’unico che può garantirle un po’ di visibilità, e dare fiato a un referendum che, altrimenti, sarebbe una partita persa in partenza.

Conviene a entrambi combattere questa battaglia: da un lato l’ANM, che ha bisogno di mostrarsi accanto all’onestà fatta persona; dall’altro Gratteri, che sa che, se la partita sarà vinta, il merito sarà tutto suo — e il suo viaggio verso l’infinito e oltre non potrà più essere fermato da nessuno. Per lui è una rivincita. Dopo anni di velleità politiche frustrate, di diffidenza da parte delle correnti e di veti incrociati alla sua carriera, Gratteri ha trovato il modo di ribaltare il tavolo. Ha trasformato la sua estraneità alle correnti in un’arma, la solitudine in potere e il distacco dal sistema in un marchio d’autenticità. È la sua vendetta su un mondo da cui ha sempre preferito tenersi lontano — ma che adesso usa, come solo un beduino saprebbe fare. L’accordo tra Gratteri e l’ANM è esattamente questo: un patto tra beduini. All’ANM conviene la sua popolarità, a Gratteri conviene la legittimazione dell’istituzione. Si cammina insieme finché l’oasi da raggiungere è la stessa. Poi, ognuno per la propria strada.