Gratteri, il “giusto processo” e l’aula bunker più grande del mondo

Dicotomia tragica: “giusto processo” e megalomania accusatoria

di Tiziana Trevisson 

Al Peperoncino Festival di Diamante, in Calabria, nella serata inaugurale del 9 settembre è intervenuto anche il Procuratore della Repubblica di Catanzaro dott. Nicola Gratteri, per presentare il suo ultimo libro, scritto assieme ad Antonio Nicaso, dal titolo “La rete degli invisibili” (Mondadori Editore).

Durante l’intervista, condotta dal giornalista Arcangelo Badolati, il Magistrato non ha mancato di parlare dell’inchiesta, da lui condotta, denominata Rinascita Scott, nella quale sono indagati centinaia di individui professionisti, politici, presunti malviventi legati al mondo delle mafie. Gli articolisti che hanno riportato l’intervista parlano di malviventi tout court, ma va precisato per amore di verità, che ancora non è stata pronunciata una condanna definitiva nei loro confronti, per cui ancora non possono essere definiti “malviventi”, come vuole l’art. 27 della Costituzione.

Tant’è che a due giorni dall’intervista al Procuratore, l’11 settembre si sarebbe dovuta celebrare l’udienza preliminare, presieduta da un giudice a cui è attribuito il compito di decidere se le persone coinvolte vadano rinviate a giudizio o prosciolte, perché gli elementi raccolti in fase d’indagine non permettono di sostenere l’accusa in giudizio, fatta salva la possibilità per gli imputati di chiedere di essere giudicati con uno dei giudizi speciali previsti dal codice di procedura penale.

Come anticipato, l’udienza preliminare ha preso avvio, nella data stabilita, nell’aula bunker di Rebibbia a Roma, in attesa che sia ultimata quella di 3.000 metri quadrati, che si sta realizzando a Lamezia Terme. Il dott. Nicola Gratteri ha dichiarato: «Siamo sereni, siamo sicuri del nostro lavoro»; sull’aula bunker che ospiterà il processo ha affermato: «Sarà la più grande del mondo».

Tale ultima affermazione non mi ha affatto stupito: so che la megalomania non ha limiti, ma non mi ha lasciato neppure indifferente. Infatti, ha immediatamente sollevato in me alcuni dubbi e mi sono posta alcune domande: come è possibile che nessuno oltre a me si chieda, perché in alcun altro Paese al mondo vi sia un’aula bunker altrettanto grande e non si cerchi di competere con noi anche in questo? Possibile che nessuno sappia che i processi più importanti della storia, si sono celebrati in aule molto piccole e anche in mancanza di aule? A tal proposito ricordo la vicenda del Tribunale penale internazionale per il Rwanda, che ha terminato il suo mandato il 31 dicembre 2016, pronunciando 61 condanne e 14 assoluzioni per il reato di genocidio, dopo 5.800 giorni d’udienza, tenutasi in condizioni proibitive: basti pensare che per quasi tre anni la Corte di Arusha non ha avuto a disposizione neppure un’aula per le udienze.

Qualcuno senz’altro obietterà che l’esempio da me portato non sia calzante dati i tempi, i luoghi e i contesti diversi di celebrazione dei processi. Allora, mi sia permesso di ribadire che non è calzante neppure far rifermento alle aule bunker esistenti al mondo, per avere un parametro della grandezza dell’importanza dell’aula in corso di realizzazione a Lamezia Terme. E non è calzante neppure richiamare, come spesso fanno i media, il noto maxiprocesso di Palermo, celebrato in una struttura costruita a fianco del carcere dell’Ucciardone, dato che nessuna aula del tribunale avrebbe potuto ospitare un dibattimento con un numero di ben 475 imputati.

Il Procuratore Nicola Gratteri, in proposito, afferma, con una modestia che, da lui esternata, suona come moneta falsa: “A parte il numero di imputati, il maxiprocesso contro la ‘ndrangheta non è paragonabile a quello di Palermo. Falcone e Borsellino erano dei giganti rispetto a noi, noi siamo normali magistrati, loro persone che capivano le cose 20 anni prima degli altri”.

Il vero motivo, invece, per il quale il maxiprocesso di Palermo non è paragonabile a quello in corso contro la ‘ndrangheta è che il primo fu celebrato con il rito previsto dal Codice di procedura penale del 1930. Secondo le norme di quel codice le indagini e la raccolta delle prove nei confronti degli indagati venivano effettuate dal giudice istruttore; solo le indagini facili e brevi erano svolte dal pubblico ministero.

Conclusa tale attività, il giudice istruttore, in base al materiale probatorio raccolto, poteva disporre il proscioglimento oppure il rinvio a giudizio di ogni inquisito. Quindi i giudici istruttori del maxiprocesso di Palermo sapevano perfettamente qual è era il numero degli imputati, nei cui confronti sarebbe stato celebrato il processo. Ma attualmente non è più così: le indagini sono svolte dal pubblico ministero e il giudice dell’udienza preliminare è chiamato a valutare la consistenza del materiale raccolto durante le indagini preliminari, dovendo prosciogliere tutti coloro rispetto ai quali ravvisi l’inadeguatezza del quadro probatorio a sostenere l’accusa in giudizio; gli imputati possono scegliere di essere giudicati con un rito alternativo a quello del processo ordinario. Quindi, solo all’esito dell’udienza preliminare si può sapere quanti saranno i soggetti nei cui confronti dovrà celebrarsi il processo, con rito ordinario.

Nessuno ha messo in risalto tale differenza: un unico coro stonato accumuna il maxiprocesso di Palermo, istruito dai Giudici istruttori Falcone e Borsellino a quello in corso, in cui il dott. Nicola Gratteri è stato pubblico ministero indagante e dalla richiesta di rinvio a giudizio è organo d’accusa, posto su un piano di parità con i difensori dall’art. 111, Cost.
O in Calabria accusa e condanna sono legate da necessario e ineludibile automatismo?
Forse mi è sfuggito che il distretto di Catanzaro ha sue leggi supreme, deroganti Costituzione, Convenzioni Internazionali, Codici penali e di procedura penale. Lacuna imperdonabile la mia, per la quale chiedo venia al Sign. Ministro della Giustizia, che tra l’altro, ha offerto la sua disponibilità, per quanto possa necessitare al pubblico ministero, anziché al giudice dell’udienza preliminare o al Presidente del Tribunale e ora conseguentemente dovrebbe telefonare anche a tutti i difensori, nel rispetto di quanto previsto appunto dall’art. 111 Cost.

Nel chiedergli venia mi permetto anche di indirizzargli un consiglio: un DPCM, a questo punto non guasterebbe per evitare errori a chi è chiamato al controllo delle Procure del distretto di Corte d’appello di Catanzaro e magari, come me, cade nell’errore di pensare che la Costituzione e l’ordinamento penale che regolano il processo penale in Italia, vigano anche in quell’enclave.