Se è vero come è vero che all’oggi la città è invasa dalla cocaina, che il consumo è arrivato alle stelle, come i prezzi -e lo dicono tutti: politica, procure, forze dell’ordine, cittadini, associazioni e enti che si occupano di tossicodipendenza, ma soprattutto lo dicono i tanti pentiti di ‘ndrangheta, molti dei quali pusher per necessità – a cosa è servita, viene da chiedersi, la retata di Gratteri di 6 mesi fa che ha smantellato la confederazione di clan locali con a capo Patitucci, dedita principalmente allo spaccio di droga? A niente si può dire se le “pezzata” continua a girare, anche tra i giovanissimi, come se niente fosse successo.
In meno di sei mesi, nonostante le gravi “perdite” subite dopo la retata, l’intera filiera dello spaccio è ritornata a lavorare a pieno regime, e meglio di prima. La “domanda” di coca in città e provincia è talmente alta che “l’offerta” non manca mai. Il mercato della droga, che promette lauti e immediati guadagni, in una terra dove si fa faticare a vivere onestamente, trova sempre gente disposta ad “investire nel prodotto”. Una fetta di mercato così importante non può rimanere scoperta. Arrestato un pusher, bisogna farne subito un altro. È così che funziona il giro dello spaccio, se si fermano i pusher si ferma tutto. L’ufficio reclutamento pusher è sempre aperto. E chi si arruola sa che deve mette in conto anche i rischi: per tanti “il santo vale la candela”. Parecchi giovani preferiscono spacciare piuttosto che impegnarsi per realizzare i propri sogni. Tristezza infinita. Una sconfitta per l’intera comunità.
Del riformarsi della rete di spaccio, e dei clan, non si può certo dare la colpa alla Dda e agli investigatori che fanno le retate, non fosse altro che per l’impossibilità “scientifica”, allo stato, di fermare l’ormai codificata capacità genetica del “virus mafioso” di autorigenerarsi. Una tecnica di sopravvivenza che potremmo, forzando il termine, definire innata nell’organismo mafioso. La linea di continuità della “specie” dipende da questo. E i dati dicono che funziona, altrimenti la mafia sarebbe già stata sconfitta da un pezzo. Con questo non vogliamo dire che le retate non servono, ci mancherebbe, ma solo specificare che se ancora la cura per fermare l’autorigenerazione del virus mafioso non è stata scoperta – e gli esperimenti condotti dal professor Gratteri alla ricerca dell’antidoto sono ancora lontani dal raggiungere l’obiettivo, per il Nobel dovrà attendere -, nel mentre si attente la cura finale, si potrebbe, quantomeno, e gli strumenti ci sarebbero, rallentare la crescita del virus mafioso. La cura fatta solo di necessarie retate di pusher e narcos non funziona neanche per rallentare di qualche mese il riformarsi della “metastasi mafiosa”. Bisogna aggiungere altro alla medicina. Alzare, magari, il livello di “aggressività” del farmaco. E questo lo sanno bene i ricercatori della Dda che operano, con consapevolezza, in un settore limitato della ricerca.
Sanno bene, da scienziati della materia quali sono, che la loro limitata azione, non può certo debellare il virus autorigenerante mafioso. Quello che si limitano a fare, e non per mancanza di teorie da applicare, è pescare più pusher possibili da ogni nuova “nidiata mafiosa”. Una sorta di riduzione del danno, un tappa buchi, una pezza a colore che non risolve il danno, ma che garantisce una certa continuità investigativa e operativa alla Dda. Che sublima la propria ricerca titolando “pubblicazioni (leggi retata)”, con suggestivi rimandi metaforici tipo “testa di Serpente”. La testa che va tagliata per fermare “il mostro”. Più che di testa di serpente, in questo caso bisognerebbe parlare di operazione “coda di lucertola” che ogni volta che la tagli gli ricresce. Del resto un tono da “obiettivo centrato” lo devono pur mantenere, ne va della loro fama. Per chiudere: potrebbero fare di più, e le informazioni non gli mancano, ma non si impegnano. Il perché non lo sappiamo. Quello che sappiamo però è che di sicuro con la sua ricerca Gratteri e i suoi ricercatori, il Nobel se lo possono solo sognare.