Gratteri: “Separazione delle carriere, il vero scopo è il pm sotto controllo. I politici sono insofferenti alla legalità”

(di Maddalena Oliva – ilfattoquotidiano.it) – Procuratore Gratteri, la riforma è passata. Al via ora la campagna referendaria. Per quanto si è esposto e per lo stesso governo, è simbolicamente a capo del comitato per il No.

Non sono e non mi sento capo di alcun comitato. La mia storia parla per me e rivendico, con orgoglio, di non avere mai avuto ‘parrocchie’ alle quali riferirmi o per le quali essere punto di riferimento: non le correnti della magistratura, non l’Anm o il Csm, che mi hanno sempre osteggiato. Per cui io, come Gratteri, ripeto con la mia storia personale e professionale, mi limito a esprimere il mio pensiero in un’ottica di servizio rispetto alla giurisdizione che è stata, oltre alla famiglia, l’impegno totalizzante della mia vita.

Ci spieghi la sua contrarietà: ha detto che il vero scopo è normalizzare l’azione del pm.

Sono contrario alla separazione delle carriere per più motivi. Il primo, e di buon senso, è che c’è già: nell’ultimo periodo lo 0,0036% dei magistrati – una percentuale bulgara a rovescio – è diventato pm o viceversa, in una diversa regione. Secondo: la riforma è il primo step di un percorso diretto alla sottoposizione del pm alla politica che indicherà prima quali reati perseguire e poi come controllare l’esercizio dell’azione penale. I politici sono insofferenti al controllo di legalità.

Meloni ieri sera al Tg1 ha detto che la riforma renderà “la giustizia più giusta” e libererà “i magistrati politicizzati” dalle correnti.

I problemi che maggiormente affliggono la giustizia sono: durata dei processi e carcere come luogo di pena. La separazione delle carriere non riguarda né l’uno né l’altro.

Per il ministro Nordio, esprimendo il loro no alla riforma i magistrati “si prostituirebbero”, “cadendo nell’abbraccio mortale dell’opposizione”. Ce l’ha con lei?

Non mi sento assolutamente coinvolto, per una ragione semplice: la sinistra politica e quella che viene definita sinistra giudiziaria negli ultimi vent’anni non mi ha mai votato al Csm. Non per Procuratore di Reggio Calabria e di Catanzaro, non per Procuratore Nazionale Antimafia, non per Procuratore di Napoli. Per uffici e territori diversi, un solo denominatore: la sfiducia nei miei confronti. Per cui mi si attribuisce un autolesionismo che francamente non ho.

Secondo il governo fare campagna referendaria sarebbe “ai margini della costituzionalità”, visto che, come ha ricordato il viceministro Sisto, “esistono norme sulla possibilità per i magistrati di fare politica”.

Mi stupisce che Sisto – che è uomo di legge – voglia incidere su due diritti fondamentali quali la libertà di pensiero e quella di manifestarlo, diritti che per i magistrati soffrono già di limitazioni per legge o normativa del Csm, ma non di quella di opportunità proposta dal viceministro. Non mi meraviglia, comunque, visto che il gruppo parlamentare cui appartiene l’onorevole ha depositato un’interrogazione preconcetta di censura e di richiesta di intervento al ministro di Giustizia per la mia partecipazione in tv a Lezioni di mafie. La risposta di Nordio è stata: vediamo prima la trasmissione; poi ha pensato a una legge che limitasse queste attività, ora consentite.

Puntano, per “batterla”, a testimonial come l’ex pm Antonio Di Pietro e il generale Mario Mori. E poi c’è Marina Berlusconi.

Io sono un falso obiettivo, una personalizzazione strumentale a evitare il dibattito. Chi propugna la separazione delle carriere come panacea non tiene conto della vita dei cittadini. Chi aspetta un risarcimento non deve attendere anni per ricevere una somma con interessi risibili. Chi delinque deve stare in carcere e scontare la pena in condizioni dignitose. Su questi aspetti la separazione delle carriere non mi pare abbia conseguenze.

Nordio si augura che il referendum “non diventi un ‘Meloni sì, Meloni no’”.

Ancora una volta si sfugge il problema introducendo un contesto politico falsato. Il ministro indica la luna, ma insiste a far guardare il dito. Non ho sentito una risposta alla domanda, comune a tutte le riforme: a chi serve? Porre il discorso sul piano del conflitto governo/magistratura, politica/magistratura serve solo a eludere quella fondamentale risposta. E a insistere sul dito, e non sull’obiettivo reale che è la luna.

La politica ne sta approfittando per “regolare i conti” con la magistratura? È una riforma, questa, voluta negli anni da Craxi, Gelli e Berlusconi…

Non è un regolamento di conti, è l’insofferenza al controllo di legalità comune a tutti i governi degli ultimi venti anni che, con una serie di interventi, hanno creato un’area di impunità o di responsabilità sempre più affievolite attraverso due strumenti: la modifica del Codice penale e l’introduzione di mezzi, per alcuni di garanzia, che creano ritardi nel processo. Un esempio è l’abolizione dell’abuso d’ufficio. O, sul piano processuale, le sciaguratezze della riforma Cartabia sotto gli occhi di tutti: dalle borseggiatrici prese in flagranza e non arrestate per l’assenza degli stranieri danneggiati alla inammissibilità in appello.

La magistratura però soffre – lo ha più volte ammesso – di una crisi di credibilità.

Mi pare che il tasso percentuale di riferimento sia in crescita.

Che iniziative intraprenderà per il No?

Niente di diverso da quello che faccio da trent’anni. Parlare alla gente di legalità. Ovviamente con il mio stile, il mio vocabolario, la necessità di farmi capire che non è semplificazione ma interesse vero per le persone.

Nordio ha annunciato che ora si occuperà delle intercettazioni.

Vale il discorso che ho fatto prima. L’opera del ministro è imputatocentrica. È una posizione rispettabile, certo, che però non mi sento di condividere.