A furia di frequentare pentiti, Gratteri deve averne assorbito il metodo: quando si mette male, cantatela… e porta compagnia. E così ha fatto. Appena è venuto fuori lo sgamo dell’intervista mai avvenuta di Falcone — quella che aveva letto da Floris spacciandola per autentica pur di tirare dalla sua parte il giudice — Gratteri ha reagito come i collaboratori quando li stringi all’angolo: per alleggerire la sua posizione ha iniziato a cantaserla chiamando in correità “persone autorevoli dell’informazione… omissis”, come gli unici responsabili della diffusione della fake news.
Gratteri si pente e racconta di aver ricevuto — proprio durante la trasmissione di Floris — un messaggio da “persone serie… omissis” che lo invitavano a rispondere al fronte del Sì al referendum sulla separazione delle carriere con una presunta dichiarazione di Falcone a Repubblica, in cui il giudice avrebbe detto di essere contrario alla separazione delle carriere. E lui, fidandosi di quella soffiata, si è giustificato così: “Me l’hanno riportata come autentica… omissis, e io l’ho letta”. Gli sembrava il colpo perfetto, uno di quelli che stendono l’avversario in un solo round. E invece si è rivelata una fake news. Falcone non ha mai rilasciato quell’intervista del ’92 a Repubblica. E quando Gratteri ha capito che la sua reputazione di “detentore della verità assoluta” — costruita in anni e anni di televisione, palco e retorica dell’infallibilità — rischiava di andare in frantumi per aver diffuso una bufala, non ci ha pensato due volte: ha cominciato a chiamare in causa i suoi complici di sempre. Se li è venduti in meno di mezza giornata.
Avrebbe potuto semplicemente scusarsi e ammettere di non aver verificato. Ma no. Per uno come lui, che non sbaglia mai, ammettere un errore sarebbe stato più grave della bufala stessa. E allora ha scelto la via che conosce meglio: cantarsela, evocare il nome del giornalista che gli avrebbe passato il testo falso. E seppur “coperto da omissis”, noi siamo in grado di rivelarlo: quel nome è Marco Travaglio. Che infatti è stato costretto ad ammettere pubblicamente la sua corresponsabilità nella diffusione della fake news. Vatti a fidare degli amici. Così facendo Gratteri ha pensato di scrollarsi di dosso il marchio di bufalaro, affibbiandolo al suo amico Travaglio — ormai forse ex amico. Avrà pensato: meglio pentito che bufalaro.
Il problema, però, è che stavolta il pubblico non ha fatto quadrato attorno a lui. Vedere il procuratore capo, da anni osannato come una divinità laica, “l’onestà fatta persona”, diffondere una fake news ha lasciato interdetti perfino molti suoi fan. La rete, infatti, si è scatenata: meme, battute, gif, sfottò. E il commento più diffuso non proveniva né da giuristi né da esperti di procedura penale, ma dalla gente comune, quella che osserva e capisce al volo. E la frase è stata questa, semplice e devastante: “pensa se fa così le indagini”. Pentirsi non è bastato ad attenuare la sua responsabilità, che non sta solo nell’aver letto una bufala, ma soprattutto nell’aver trascinato nel dibattito del 2025 il giudice Falcone, morto nel 1992, attribuendogli dichiarazioni che non pronunciò mai. E anche ammesso che il senso di alcuni suoi ragionamenti sulla giustizia potesse suggerire una qualche forma di non condivisione sulla separazione delle funzioni, non è affatto detto che nel 2025 non avrebbe potuto cambiare idea. Meglio lasciare riposare in pace i morti.
La verità è che Gratteri pensava di sviare, addossando la colpa a Travaglio. E invece la “giuria popolare” lo ha condannato senza appello: non hanno creduto al suo pentimento, che non era sincero ma soltanto uno scaricabarile che da uno come lui nessuno si aspettava. Ha mostrato a tutti il suo vero volto e il suo vero metodo: il modo in cui tratta notizie e riscontri, per fede, per riflesso, per impulso. Ed è questo che ha spaventato anche i suoi fan: scoprire che dietro l’armatura dell’infallibilità, forse, non c’è il generale che tutti credevano. E che se perfino lui ricorre alla menzogna… allora non si salva più nessuno. Insomma Gratteri si è comportato come certi pentiti: ha parlato solo per salvarsi. Ma il giochino non gli è riuscito e, come accade ai pentiti per convenienza quando i giudici li sgamano, ora c’è solo da aspettarsi la stessa sorte: la revoca del programma di protezione riservato al pentito Gratteri. Non se lo merita più.









