Il coraggio della Restanza è un viaggio per nulla virtuale nella storia vera della nostra Terra di Calabria; il viaggio di Ernesto e di Rosina e della loro grande Famiglia, allargata, iniziato più di quarant’anni fa, che continua oggi, raccontato in libro autobiografico che, a differenza di altri quando si parla di Sud, non è affatto triste; libro edito da CRS Cairo editore, che sarà presentato domenica 17 novembre a Milano, teatro Parenti, alla presenza di Tommaso Labate che ne ha curato la prefazione.
Restanza potrebbe sembrare un termine dialettale, ma invece è un nome astratto, derivato da restante, participio presente del verbo restare, con l’aggiunta del suffisso -(z)a ed è l’atteggiamento di chi, nonostante le difficoltà e sulla spinta del desiderio, resta nella propria terra d’origine, con intenti propositivi e iniziative di rinnovamento; di chi si sente ancorato in un luogo, ma anche ed insieme spaesato nel predetto luogo, che intende proteggere e nello stesso tempo rigenerare radicalmente, un po’ odi et amo; un percorso traumatico, per certi versi, che descrive il viaggio di chi resta e di chi parte; la necessità di rapportarsi in modo nuovo con la terra d’origine per entrambi; che ci parla di quel paese necessario, che ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via, perché un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti, come diceva Cesare Pavese nel suo celebre scritto.
Ernesto Madeo e Rosina Santo parlano di tutto ciò, senza riserve; soprattutto non tralasciano di parlare delle loro origini umili, che probabilmente gli hanno permesso di sognare più forte; certo oggi è bello poterla raccontare la loro storia; ed è bello, soprattutto, per chi, come me, l’ha vista da vicino, perché oggi può apprezzarla di più.
Era il 1984, l’Italia aveva da poco vinto i mondiali di calcio ed a Macchia Albanese, la frazione più popolosa di San Demetrio Corone, sperduto paese della provincia di Cosenza, Ernesto, primogenito di una famiglia numerosa, pensava poco a studiare, nella sua mente c’era altro, che sicuramente si coniugava con lo studio, ma aveva a che fare anche con la cultura del lavoro, del sacrificio, appresa dai suoi genitori Francesco ed Anna, maestro muratore con la passione per la campagna, il primo; casalinga ed esperta di cucina e di tradizioni culinarie antiche, la seconda; tradizioni che sarebbe errato definire arbereshe, meglio speculare, preferisco contadine; Anna, come tante donne di quel Sud, era bravissima nell’antica arte di fare i salumi; Ernesto capì che poteva essere un opportunità per la sua famiglia e credette fortemente in quella opportunità, che vedeva insieme la famiglia, la semplicità delle azioni, il territorio, lo sviluppo.
Fu così che, investiti i pochi soldi che si guadagnava in estate facendo il cameriere al nord Italia e qualche altro spicciolo familiare in un piccolo appezzamento di terreno, iniziò il suo cammino.
Tralascio il resto della storia, davvero bella, davvero unica, per non togliere il gusto al lettore, ed arrivo ad oggi, allorché il loro sogno di Restanza, costruito con lacrime e sangue, che ha superato una serie infinita di ostacoli, di trappole, che soprattutto la politica, anche quella locale, gli ha teso, è sotto gli occhi di tutti: una serie di stabilimenti nella sua amata Macchia Albanese; più di duecento dipendenti con i quali si è instaurato un rapporto straordinario, e lo dimostra il contenzioso giudiziario che non esiste; esportazioni in tutti i paesi del mondo; premi e riconoscimenti un po’ ovunque.
Il traguardo è raggiunto! La nave viaggia in un mare sicuro! Il capitano ed il suo primo ufficiale decidono di lasciare l’azienda nelle mani dei loro giovani figli; e, come per incanto, al timone della nave arrivano Anna, che porta il nome della cara nonna e Francesco, che porta il nome del nonno, il maestro muratore che sognava un figlio dottore, come tutti i comunisti della sua generazione.
Ernesto e Rosina si godono la pensione? Nient’affatto!
La signora Rosina è sempre nel suo ufficio a decifrare carte; certo i tempi sono cambiati: l’azienda ha tanti consulenti, sono finiti gli anni in cui “cantava e portava la croce”, oggi il suo impegno è più snello.
Ernesto è il nuovo sindaco di San Demetrio Corone, e nel comune, nella sua squadra, ha portato quella cultura che ha consentito alla sua azienda di volare, la Cultura del fare: argomentazioni straordinarie, adeguate ai tempi, che il prof. Vito Teti ha spiegato in lungo ed in largo nel suo libro più noto, La Restanza; argomentazioni che richiamano un concetto di fondo, quello dell’intellettuale gramsciano, che deve costruire il nuovo mondo; che deve costruire non solo un uomo di pensiero, ma anche un organizzatore, sociale, culturale, politico; argomentazioni straordinarie, che spesso trasformano l’intellettuale gramsciano in un uomo solo, della cui solitudine ci ha parlato abbastanza di recente Nicola Fiorita in un bellissimo articolo su Il Quotidiano della Calabria; soli come sono stati Ernesto e Rosina nei periodi più bui della loro storia; lo stesso sentimento di Leonardo Sciascia, che nel 1955, nel carteggio con La Cava, scrive così: “Non guadagno un soldo, per la radio non ho fatto più niente, i giornali pagano con mille o duemila lire. E avrei bisogno di soldi per muovermi, la mia vera malattia è questa pena di vivere così”; ma nonostante ciò, rimane nella sua piccola patria, e da li scrive quelle opere straordinarie che consacrano la sua arte al mondo intero; lo stesso sentimento di Nino Dramis, che della sua vita salva il battesimo, ma che alla fine decide di far Ritorno al Sud; lo stesso pensiero di Ernesto e Rosina, che in altri ambiti, ma con la stessa forza, decidono di restare al Sud e di combattere contro tutto e tutti; un Sud dove manca la Sanità, la Viabilità, i Servizi, dove la gente non rimane ma emigra.
Ecco, restare al Sud per cambiare, proponendo nuovi progetti politici che vertono sulla cultura del fare per contrastare vecchi sistemi clientelari; che puntano a portare in una cornice universale, un progetto valido.
La Restanza così intesa acquista un carattere nuovo, proponendosi come motore di una riconfigurazione etica dell’esistenza, poiché per restare davvero, bisogna camminare, viaggiare; ma anche saper ascoltare; questo forse il segreto del loro successo, del successo di Ernesto e Rosina, l’aver dato la giusta importanza ai discorsi di due contadini, alla loro semplicità, alla loro forza; che li aveva protetti dall’esodo silenzioso che aveva subito tutta la loro generazione, ed aveva determinato quel paese vuoto, che per Vito Teti è la prova che da qualche parte nel mondo altri luoghi si sono riempiti di vite.
Ernesto e Rosina sono rimasti per cambiare, ed in questo, secondo lo spirito più puro degli arbereshe, non vogliono sentirsi in una riserva indiana; né hanno mai pensato di fare la danza della pioggia per attirare nuovi clienti; sono rimasti, hanno costruito partendo da un idea semplice, la loro idea; ed hanno atteso; in fin dei conti, la vita è un continuo mutare; dunque la malinconia, come madre del sentimento nostalgico, che investe la Restanza, significa ambire al ripopolamento e alla rivitalizzazione delle zone interne; perche restare, Restanza, potrebbe, anche, essere il grimaldello per far saltare il vecchio concetto di questione meridionale, negata a destra ed utilizzata a sinistra solo per i tornaconti elettorali di certi politici; una nuova questione meridionale che aggreghi i cittadini del Sud restanti; quelli che soffrono ma resistono, come è stato per Ernesto Madeo e Rosina Santo.
Adriano D’Amico