Cosenza, il grande bluff dell’operazione Garden: 10 ottobre 1994

Era il 10 ottobre 1994 – esattamente 28 anni fa – quando a Cosenza andò in scena la prima (e unica) operazione anti ‘ndrangheta, la celeberrima “Garden”.

Nel nostro archivio spieghiamo dettagliatamente com’è stata smontata, pezzo per pezzo, dalla procura della Repubblica di Cosenza in tandem con Franco Pino e con gli (innumerevoli) pentiti portati a Serafini e Spagnuolo prima e poi ai poveri pm Tocci e Facciolla (nel senso che non sapevano più come raccapezzarsi e al punto da gettare la spugna per l’inquinamento delle prove) da quei traffichini dei penalisti cosentini, guidati da Marcello “Mazzetta” Manna, il peggiore in assoluto. 

Ma non abbiamo mai spiegato, con dovizia di particolari, quale effetto aveva avuto e anche quale risonanza mediatica, pur se il livello politico non era stato toccato. A quello ci avrebbero pensato altre procure e altri pentiti, ai quali si aggiunse anche Franco Pino, perché l’obiettivo era il vecchio Giacomo Mancini (era diventato sindaco meno di un anno prima dell’operazione Garden). Lo avevano puntato, tanto per cambiare, gli ex comunisti, allora DS, che riuscirono anche a farlo sospendere, ma non vinsero la guerra e furono costretti a sorbirselo per altri dieci anni. Finché la morte non lo levò di mezzo.

Ma torniamo all’operazione Garden. All’alba del 10 ottobre 1994 la città si svegliò apprendendo dai media che c’erano addirittura 120 ordini di arresto da parte dell’antimafia di Catanzaro per i clan cosentini.

La Direzione Nazionale Antimafia di Roma e la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, avevano indagato a lungo e senza nessun aiuto da parte della procura cosentina, dove sguazzavano Serafini e Spagnuolo, su circa 20 anni di attività della ‘ndrangheta cosentina, con l’ausilio di alcuni pentiti.

Per la polizia avevano operato la squadra mobile della questura di Cosenza, la Criminalpol di Reggio Calabria e di altre province, il reparto volo di Reggio Calabria ed i nuclei prevenzione di numerosi centri italiani. I reparti dell’arma interessati, sotto la direzione della Regione Carabinieri ”Calabria”, erano i comandi provinciali di Cosenza e Catanzaro, il gruppo operativo ”Calabria” e i carabinieri del nucleo ”Cacciatori d’Aspromonte”. Furono impiegati elicotteri, unità cinofile e motovedette.

Bruno Siclari è quello con i baffi
Bruno Siclari è quello con i baffi

Scoprimmo allora che Cosenza non era l’isola felice che tutti immaginavamo, ma entrava a far parte dei grandi circuiti criminali, da cui invece sembrava esclusa.

Con questa affermazione il Procuratore Nazionale Antimafia, Bruno Siclari (il primo della serie, al quale poi successe Piero Luigi Vigna), aveva aperto nella questura di Cosenza, allora a via Guido Dorso, la conferenza stampa nel corso della quale furono resi noti i particolari del blitz, che portò a 116 arresti, su 118 ordinanze di misure coercitive, a carico di componenti dei clan cosentini Perna, Pranno, Pino e Sena.

L’operazione fu chiamata ”Garden”, dal nome della sala cinematografica nei pressi della quale, nel 1977, venne ucciso il capo carismatico della criminalità cosentina, Luigi Palermo, detto lo ”Zorro”.

omicidio palermoA partire da questo omicidio, il magistrato catanzarese della Direzione Distrettuale Antimafia, Stefano Tocci, aveva organizzato le indagini su oltre quindici anni di attività criminale, come riferiva il procuratore Siclari.

All’epoca di Luigi Palermo, a Cosenza, non vi era una vera e propria mafia, ma esistevano bande giovanili, dedite a furti, rapine e sfruttamento della prostituzione.

Il salto di qualità si è avuto quando il boss Franco Pino si è avvicinato alle cosche di Gioia Tauro, prendendo le redini della città. Siamo alla fine degli anni settanta. Con l’uccisione di Luigi Palermo, comincia la fase storica ed entrano le regole della ‘ndrangheta nella vita criminale cosentina. Intorno a Pino e Sena si forma il gruppo che osteggia quello dei Perna-Pranno. Dopo una sanguinosa guerra, nel 1986 si ha la pax mafiosa per intercessione dei grossi esponenti della criminalità mafiosa del reggino, in particolare dei Pesce e dei Piromalli.

I due gruppi si fondono e non badano più a rigide spartizioni del territorio. In quest’ultimo periodo i contatti con la criminalità reggina e con la camorra napoletana si fanno intensi, in particolare con i cutoliani, con scambi di favori.

Le indagini, con l’aiuto di alcuni pentiti, portarono alla individuazione degli autori di omicidi eccellenti (si parla di 40 uccisioni), consumati nel territorio cosentino. I collaboratori di giustizia (Staffa, Pagano, Nicola Notargiacomo) hanno ricostruito la storia fino al 1989.

Nella mafia cosentina però non venne fuori, come dicevamo, un connubio tra mafia-affari e politica. Vi erano soltanto alcuni accenni. Che nessuno approfondì, anche perché per Giacomo Mancini si era mossa la procura di Palmi con i suoi pm Boemi e Verzera.

Le indagini (diciamo così) furono rivolte ai patrimoni dei boss e quindi non potevano che essere smontate dalla procura cosentina. Gli inquirenti del tempo si illudevano che, mancando l’aspetto familiare, tipico delle ”’ndrine”, si potesse avere lo spazio per muoversi liberamente e invece non fu affatto così.

A quella leggendaria conferenza stampa erano presenti il generale Mario Cocco, comandante della Regione Carabinieri Calabria, il dott. Emilio Ledonne, della Direzione Antimafia, il dott. Ceccherini, prefetto della città, il procuratore Distrettuale Antimafia Mariano Lombardi, il sostituto procuratore Stefano Tocci, il dott. Aldo Festini, questore di Cosenza.

Gli indagati in totale furono 172, le ordinanze di custodia cautelare 118, gli arresti eseguiti 116, mentre 54 persone furono indagate a piede libero.

Pietro Pino
Foto tratta da “Cosenza: ‘ndrine, sangue e coltelli”

Il latitante eccellente fu Pietro Pino, fratello maggiore di Franco, che non è mai più stato trovato. La leggenda dice che si è cambiato i connotati e che vive in Brasile. Altri più prosaicamente affermano che vive tranquillo sulla riviera romagnola.

A 22 anni di distanza, c’è stata una seconda guerra di mafia, che ha messo al comando della malavita cosentina il clan Bella Bella e quello degli zingari e poi un ulteriore, sanguinoso regolamento di conti che ha lasciato al comando il clan Lanzino e quello degli zingari. Prima della confederazione dei clan che ci è stata spiegata proprio un mese fa dalla Dda di Catanzaro, che tuttavia non ha ancora completato l’opera.

I pentiti sono usciti fuori come funghi tanto da farci diventare la provincia con più collaboratori di giustizia (oltre un centinaio) d’Italia. Ma il livello politico – a parte i sindaci di Rende – non è mai stato toccato. Così come quello dello stato deviato (poliziotti, carabinieri e finanzieri “talpe” dei massomafiosi) e dei “colletti bianchi” affiliati alla massoneria deviata: avvocati, commercialisti e traffichini vari dislocati in tutti i luoghi sensibili per il continuo riciclaggio di denaro sporco. Aspettando un giudice a… Cosenza.