Il mondo è dei ricchì e gli Usa ce lo dicono. Noi lo sappiamo ma nessuno scende in piazza

Il mondo è dei ricchi e gli Usa ce lo dicono
di Filippo Santelli

Fonte: Repubblica

Il giorno dopo il trionfo di Trump, in una seduta di Wall Street euforica per la prospettiva di tagli alle tasse, il patrimonio delle dieci persone più ricche del mondo è aumentato di 64 miliardi di dollari. Per mettere insieme la stessa cifra un lavoratore medio americano dovrebbe faticare oltre un milione di anni, un italiano parecchi millenni di più. E così in un’elezione decisa dal popolo dei dimenticati, in attesa di capire se la ricetta Trump li beneficerà davvero, di certo e da subito hanno vinto i ricchi. Ma la cosa ancora più paradossale, sostiene l’inviato di Repubblica Riccardo Staglianò nel suo ultimo libro, è che questo paradosso non ci indigni neppure più, che a malapena ne parliamo, che abbiamo smesso di provare a correggerlo.

Hanno vinto i ricchi, titolo del volumetto edito da Einaudi, ci sembra semplicemente la normalità: un trionfo ideologico, prima ancora che economico. Se la tendenza è globale, il libro di Staglianò parla dell’Italia ed è diversi libri in uno. Prima introduce, come personaggi di un dramma, i numeri che fotografano il problema, dai salari fermi da trent’anni alla povertà ai massimi. Poi racconta come tutto ciò sia il frutto di precise scelte politiche: destrutturare il mercato del lavoro, indebolire contrattazione e sindacato, riformare il fisco allontanandolo sempre più dai principi di redistribuzione e progressività. Sì, i governi Berlusconi hanno molte colpe, ma il centrosinistra non si salva.

Il risultato è un Paese divaricato, in cui ricchi e poveri vivono esistenze parallele che non si incrociano mai, e che Staglianò racconta in intermezzi di puro reportage. Mentre a Forte dei Marmi champagne e crudi di pesce fanno andare d’accordo perfino ucraini e russi, nelle periferie di Milano o Palermo italiani e stranieri tentano di arrivare a fine mese contando ogni euro, in bugigattoli dove i letti sono sempre occupati: chi lavora di giorno ci dorme di notte, e viceversa.

Dando un nome a queste persone, guardandole in faccia, è impossibile non pensare che sia giusto chiedere agli ultraricchi un contributo maggiore, anche perché a malapena se ne accorgerebbero. Il problema, sostiene Staglianò, è che nella nostra narrazione i poveri diventano quasi sempre una massa un po’ paurosa e molto divanata, fino a meritarsi la propria sfortuna. Ed è qui che il libro mostra la sua ultima anima, quella più ficcante da pamphlet. Quella che si chiede perché non siamo tutti in piazza. Perché aliquote del 70% sui redditi più alti, normali fino a cinquant’anni fa, oggi suonino radicali. Perché la parola patrimoniale sia l’unico vero tabù del dibattito politico. Perché il centrosinistra non inchiodi questo tema al centro della sua agenda e il sindacato non lotti giorno e notte per salari più alti anziché limitarsi a promuovere un referendum per reintrodurre l’articolo 18.

Mica facile capire perché. C’entra una narrativa ormai consolidata sulle tasse odiose, secondo cui ogni imposizione che parte dell’alto prima o poi sarebbe destinata a colpire tutti. Nel complesso in Italia le tasse sono alte, vero, solo che le pagano quasi tutte i lavoratori dipendenti. C’entra di sicuro il fatto che il Paese vive sempre di più di rendite e sempre meno di redditi, in un circolo vizioso che vede la classe media arroccata a difesa di quel tanto o poco di ricchezza familiare che le resta.
I correttivi ci sarebbero, tutte cose di buon senso: salario minimo, tasse più alte su rendite finanziarie e utili societari, un’imposta di successione degna di questo nome, visto che oggi è tra le più basse d’Europa.

E ci sarebbero strumenti redistributivi, parolone che significa investire di più in scuola e sanità. Quasi ovunque nel mondo, sostiene Staglianò, si sta tentando qualcosa. Gli studi sulle diseguaglianze di Piketty e allievi hanno stimolato un’agenda che chiede di tassare di più le multinazionali e gli ultramiliardari. Qualche goveerno classicamente progressista, come quello spagnolo, lo ha pure fatto. Perfino negli Stati Uniti diversi miliardari ritengono scandaloso versare meno imposte dei loro segretari. Certo, bisognerà capire in che misura il trionfo di Trump toglierà spazio a queste istanze. Di sicuro in Italia, con un governo che ha abolito il reddito di cittadinanza, respinto il salario minimo, promosso una tassa piatta sugli autonomi, cioè la categoria che evade di più, la normalità è sempre rimasta la stessa. Quella in cui vincono i ricchi.