Il monumento a Cosmai è una boiata pazzesca!

Siamo a Cosenza, Viale Cosmai. Se non siete del luogo oppure ci vivete come studenti universitari, nel giro di qualche mese vi accorgerete di trovarvi precisamente nella parallela di Viale Parco, riferimento geografico per iniziare a far luce sui punti nevralgici di questa caotica città che, come una scacchiera, impedisce ai guidatori di aggirarsi tranquillamente verso la propria meta senza prima aver ponderato le proprie mosse.

Camminando a piedi per Viale Cosmai, (forse il vostro fine ultimo è raggiungere la famosa “autostazione dei pullman di Via delle Medaglie d’oro”), noterete subito via Francesca e Giovanni Falcone, via Paolo Borsellino e scorta.

Le traverse che vi conducono in direzione di viale Mancini-Viale Parco porteranno sempre nomi di grande rilievo, ma secondo la “massa” un tantino inferiore rispetto ai due grandi magistrati. Ergo leggerete via Beppe Montana, via Rocco Chinnici, via Ninnì Cassarà.
Siamo a Cosenza, nel luogo dove sono state “ubicate”, forse più per dovere ma non morale sicuramente, le targhe che a mo’ di cimelio ricordano i caduti in nome della giustizia per mano della criminalità organizzata.
Perché questi nomi, spesso vuoti per chi circola alla ricerca di un parcheggio, sono stati collocati proprio in questa determinata zona della città?

Sergio Cosmai
Sergio Cosmai

Semplicemente perché nel lontano 12 marzo 1985, Sergio Cosmai, (adesso è giunto anche il momento di fornirvi il nome di battesimo) vice direttore delle case circondariali di Trani, Lecce, Palermo e direttore di quelle di Crotone, Locri e Cosenza, venne brutalmente “appallottolato” da alcuni sicari, travestiti con delle parrucche.
Se cercate su Google Sergio Cosmai, non troverete che una scarna voce su Wikipedia che vi rimanderà alla pagina delle vittime di ‘ndrangheta: mero elenco di nomi, senza neppure un volto.
Da quel poco che ci racconta Wikipedia possiamo immaginare la scena del delitto, i mandanti, le onorificenze ricevute.
Dopo tutto questo lungo preambolo sulla retorica e i luoghi comuni di cui spesso le nostre città sono intrise, vorrei soffermarmi sul monumento in memoriam.
Si erge con imponenza sulla rotatoria che dirama il traffico da Cosenza verso Rende e viceversa, accanto al parco Nicholas Green. Una grande aiuola verde e al centro, tre giganti stilizzati in ferro, bronzo, insomma, il materiale impiegato per erigere statue alternative e che possano resistere alle intemperie e all’arsura cosentina.
Questi tre signori sono stati scolpiti e modellati nell’atto di uccidere qualcuno. Non hanno un’arma, ma con le loro mani simulano una pistola, la stessa calibro 38 che 30 anni prima avevano imbracciato per compiere il loro “dovere”.
Da anni vivo e respiro l’aria di Cosenza e leggo nel suo voler rendersi culturalmente interessante, la pretesa di “addobbare” le proprie strade, i propri corsi principali e parchi con delle strutture alternative, quasi oserei dire postmoderne. Cosa volesse rappresentare inconsciamente l’ideatore di questo monumento va al di là di qualsiasi commento oggettivo, lasciando intuire nel visitatore quell’amaro in bocca, quel famigerato “il troppo che storpia”.
Forse l’essenza del contesto potrebbe essere celata nell’immaginario del visitatore-automobilista, che se a conoscenza della vicenda e di come si era svolto l’assassinio, potrebbe per qualche attimo intravedere in mezzo al traffico il cadavere ancora caldo del direttore, grondante di sangue, rimasto immobile nella sua autovettura.

I più magari lo “vedranno” a terra in una pozza di sangue, o peggio ancora non percepiranno neppure la sua “presenza”, oltre a non riuscire a leggere l’epigrafe incisa sul metallo del “guardrail” della rotatoria.

Alessandra Pappaterra

associazione culturale Liberalamente Rogliano