Il pentito Cortese: “Le bombe a Reggio e l’intervento di Pittelli sul processo d’appello”

L’anello di congiunzione tra ‘ndrangheta, massoneria e istituzioni. È questo il “sistema” o “Cosa nuova” descritto dal collaboratore di giustizia Maurizio Cortese le cui dichiarazioni sono state depositate nel maxi processo Rinascita Scott. Un organismo, a detta del pentito reggino, che sarebbe intervenuto anche indirizzare il processo sulle bombe alla Procura generale di Reggio Calabria nel 2010. E qui sarebbe entrato in scena l’avvocato Giancarlo Pittelli condannato in primo grado a 11 anni nel maxi processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Cortese, sentito dai pm della Dda il 18 gennaio 2023, ha sostenuto di essere entrato in contatto con questo “sistema” mentre si trovava in carcere nel 2010. Sarebbe venuto a conoscenza dell’esistenza di «logge massoniche coperte come ad esempio quelle insistenti a Cosenza ed a Catanzaro, di cui fa parte, tra gli altri l’avvocato Giancarlo Pittelli».

A settembre del 2010 Cortese sarebbe venuto a conoscenza di essere stato indagato per le bombe alla Procura generale di Reggio. “Mi fu pertanto detto da un appartenente al “sistema” di fare in modo che il mio processo fosse spostato a Catanzaro dove avrebbero potuto sistemare il mio processo mediante l’intervento di Pittelli”. Il pentito ricorda che la richiesta avanzata dai suoi avvocati venne respinta e lui allora intraprese uno sciopero della fame. “Tuttavia, le stesse persone che mi avevano detto di fare spostare il processo mi dissero di stare tranquillo e di interrompere lo sciopero della fame, dal momento che, come sostenevano, il processo avremmo potuto aggiustarlo in appello anche a Reggio”. Cortese racconta poi di essere stato avvicinato da altri esponenti del clan mentre era detenuto che gli consigliavano di nominare Pittelli. E così fece.

“Pochi mesi dopo la nomina di Pittelli mi trovai fuori dal carcere ed all’esito del giudizio di appello, ottenni un considerevole sconto di pena di circa una dozzina di anni, anche grazie all’esclusione della qualità di capopromotore della cosca. Quando sono stato scarcerato – si legge nel verbale di Cortese – dissi ai Brandimarte di fare un regalo a Pittelli da parte mia e poi seppi che fu consegnata all’avvocato la somma di 40mila euro”.

Fuori dal carcere poi Cortese avrebbe avuto contatti con un carabiniere “amico” e appartenente ai servizi di sicurezza. “Mi confermò il riuscito aggiustamento del processo per il tramite di Pittelli precisando però che vi era stato il decisivo interessamento ed intervento da parte sua e del “sistema” cui apparteneva, perché altrimenti – disse – Pittelli non avrebbe potuto fare magie…”.