Il Ponte “resuscitato”? Un regalo di Salvini a Webuild&c.

Matteo Salvini l’aveva annunciato (“Sarà il simbolo del genio italiano”) e bisogna dire che è stato di parola. Il governo resuscita davvero il Ponte sullo Stretto di Messina, o meglio tutta l’architettura giuridico-finanziaria che ha accompagnato la saga ultradecennale di un’opera che finora ha arricchito solo uno stuolo di manager e consulenti (la spesa ammonta a 1 miliardo).
Il ministro delle Infrastrutture s’è impuntato e così in Consiglio dei ministri ha portato un apposito decreto, non fosse altro per oscurare la delega fiscale cara a Fratelli d’Italia.

A LEGGERE LA BOZZA del testo (10 pagine, 7 articoli) sembra davvero di tornare agli inizi del 2000, alla Legge Obiettivo di Silvio Berlusconi e Pietro Lunardi, di cui il Ponte doveva essere il fiore all’occhiello.
Già nella legge di Bilancio, Salvini ha resuscitato la Stretto di Messina Spa, la società concessionaria incaricata di costruire l’opera imponendo la revoca della liquidazione che va avanti dal 2012, cioè da quando il governo Monti fermò l’opera considerata un inutile spreco di soldi scatenando un contenzioso con il consorzio Eurolink, capitanato da Salini-impregilo (oggi Webuild) che nel 2005 aveva vinto la gara per l’opera.
Dopo lo stop, Webuild ha chiesto allo Stato 700 milioni di euro sulla base di una penale che sembra il vero fulcro dell’operazione odierna.

Innanzitutto, il testo permette di considerare la Stretto di Messina (Sdm) come una società in house, il controllo passa in mano al ministero delle Infrastrutture di Salvini con il 51% del capitale al Tesoro (il resto ad Anas, Rfi e alle Regioni Sicilia e Calabria, cioè gli attuali azionisti).
Finita la liquidazione (entro marzo), verrà nominato il cda: l’ad e il presidente spettano al Tesoro, di concerto con il Mit. Nelle more dell’operazione, verrà nominato un commissario che sostituirà l’attuale liquidatore, Vincenzo Fortunato, ex braccio destro di Giulio Tremonti. Per il ruolo sarebbe stato indicato Aldo Isi, attuale numero uno dell’anas.
Ai nuovi vertici della Stretto di Messina il decreto garantisce già un regalo immediato: non si sa per quale motivo, ma Salvini ha deciso, e il Tesoro avallato, che per loro non varrà il tetto massimo dei 240mila euro di stipendio in vigore per tutti i colleghi della partecipate pubbliche non quotate.

La società potrà poi nominare un Comitato scientifico con compiti di consulenza tecnica e supervisione, a carico del bilancio societario. Si potrà ricapitalizzare la società (sono già previsti 50 milioni) con la possibilità che il controllo passi totalmente al Tesoro.
LA BUONA notizia – per tutto quel mondo di mezzo che da 40 anni punta a lucrosi incarichi e balla coi politici la danza infinita del Ponte – è che il ballo continua. La concessione viene ripristinata e Sdm avrà il compito di resuscitare e aggiornare il progetto di Eurolink a tempi di record, con l’obiettivo di arrivare “a un progetto esecutivo approvato entro luglio 2024”.
Se ci fossero intoppi, il ministero di Salvini potrà nominare un commissario sblocca-burocrazia con i poteri previsti per le opere del Pnrr. Al momento, pesaranno rò, esiste solo il vecchio progetto, erede dell’elaborato di fine anni 90, che non ha mai ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie, a partire dalla Valutazione di impatto ambientale e da sempre accompagnato dalle critiche e dai dubbi sulla tenuta statica dei massimi esperti del settore, anche quelli coinvolti nell’opera.

Il decreto impone al progettista (Parson, in causa con lo Stato anche lui) di redigere una relazione che si occupi degli aggiornamenti normativi e sarà chiesta una nuova Via, ma limitatamente alle prescrizioni che non erano state ottemperate prima del 2012 e quelle richieste dalle nuove norme accorse nel frattempo. Il resto del decreto è uno stuolo di procedimenti velocizzati a partire dalla conferenza dei servizi e dall’approvazione al Cipess cercando di legare le mani gli enti coinvolti nella tutela ambientale e paesaggistica. L’opera “strategica” finirà nell’allegato Infrastrutture del Def con priorità assoluta.
Il cuore dell’operazione riguarda però il contratto con Eurolink, che viene anch’esso resuscitato.

Qui il regalo alla Webuild di Pietro Salini, il costruttore più amato dalla politica, che è tanto smaccato quanto contorto: il decreto elimina infatti la norma di Monti che limitava l’indennizzo per i costruttori alle sole opere già realizzate più un 10% del loro valore (e non dell’intero appalto). La norma serviva a disinnescare la penale garantita a Eurolink nel 2008 dal governo Berlusconi che scattava proprio se il progetto non fosse stato approvato. L’obiettivo oggi è trovare un accordo con Salini per fargli costruire il ponte in cambio della rinuncia al contenzioso. In questo modo, però, viene ipotecata la possibilità per lo Stato di cambiare idea senza pagare penali stratosferiche. In primo grado Salini ha perso, ora ha una scappatoia.

LA CAUSA (PERSA) DI SALINI
700 MILIONI DI EURO – È il valore della causa che il consorzio Eurolink, guidato da Saliniimpregilo (oggi Webuild), ha intentato allo Stato dopo che il governo Monti decise di non costruire l’opera cara a Berlusconi. All’epoca l’esecutivo introdusse una norma per limitare le mega-penali dovute ai costruttori in caso di stop al Ponte volute da B. e Lunardi: si pagavano le spese già effettuate maggiorate di un 10%. Eurolink ha perso in primo grado, ora il dl Salvini reintroduce però le mega-penali di Silvio: un discreto regalo a Salini