Il Ponte sullo Stretto è solo un imbroglio propagandistico-finanziario (di Alberto Ziparo)

Il Ponte sullo Stretto è solo un imbroglio propagandistico-finanziario

di Alberto Ziparo

Fonte: Volere la luna

Non è cambiato molto anche con l’approvazione da parte del Cipess: il Ponte sullo Stretto è una partita che si gioca soprattutto, anzi quasi esclusivamente, sul piano propagandistico-finanziario, più di diverse altre grandi opere che pure presentano la medesima propensione. Questa però ha sempre posseduto una caratteristica in più: quella di rappresentare la figurina (o figurona) da agitare per ingannare e sottrarre risorse al Sud, e soprattutto alle due regioni interessate. Indirizzando ad arte attenzione e dibattito, rigonfiato dal fanfaronismo mediatico alimentato dal più grande gruppo editoriale della Calabria e della provincia di Messina, primo beneficiario di gran parte dei fondi spesi nei 55 anni di sopravvivenza della procedura, nonché da diversi ministri dei Lavori Pubblici prima e delle Infrastrutture più di recente. Spesso politici lontanissimi dai reali bisogni e interessi di Sicilia e Calabria, che credevano di risolvere tutto, almeno in termini di consensi, urlando le tre parole di Cetto la Qualunque (”Facciamo il Ponte”). Salvo poi scoprire di aver riaperto una nuova puntata di una telenovela che non fa più nemmeno ridere (se non si fa parte della ristretta consorteria dei grand commis di Stato che la gestisce); che anzi, nel tempo, ha trasformato l’ovvio scetticismo dei territori interessati in opposizione vasta e crescente, di chi ormai sa bene che, quando si agita di nuovo la figurina ponte, in realtà si preparano fregature.

Lo stesso partito dell’attuale ministro delle Infrastrutture ne era ben consapevole se un giorno del 2011, allorché Berlusconi, dopo aver confermato il “prosieguo della procedura”, dovette annunciare le dimissioni del suo dicastero per i problemi economici della fase, l’organo della Lega, titolò beffardamente “Il ponte porta sfiga!”. Qualche tempo dopo, allorché fu Renzi a rilanciare il progetto (salvo prodursi presto in una brusca ritirata, consigliatagli dai suoi luogotenenti calabri e siculi, ben consci del dissenso diffuso sull’operazione, dovuto, tra l’altro, alla consapevolezza degli inganni di un progetto irrealizzabile), fu proprio Salvini a farsi intervistare dal giornale leghista che titolava a tutta pagina: “Renzi vuole finanziare un progetto che gli stessi progettisti dichiarano irrealizzabile!”.

Oggi, da sponsor del Ponte, Matteo Salvini dichiara di aver cambiato idea. Ma qui c’è una forte contraddizione. Si può cambiare idea, per scarsa conoscenza o disinformazione, su temi i cui elementi certi sono di difficile comprensione: i problemi economici e finanziari, l’impatto ambientale e paesaggistico, le ricadute e i dissesti urbanistici e territoriali indotti, le questioni socioculturali. Ma come si fa a cambiare idea sulla fattibilità – problema eminentemente tecnico –, se gli stessi super esperti di allora, massimi conoscitori del progetto in quanto coordinatori del Comitato tecnico scientifico di progettazione, confermano ancor oggi, ripetutamente, il giudizio di non costruibilità dell’opera?! Anche in questi giorni, tecnici delle costruzioni di fama internazionale, consulenti del nostro come di altri governi e grandi imprese, già coordinatori – e per periodi non brevi – del gruppo di progettazione del ponte (in primis Remo Calzona), hanno spiegato perché questo progetto è irrealizzabile: troppi parametri critici, e non solo sulla sismologia ma anche sulla fattibilità della struttura del manufatto principale. Ciò in quanto ancora non esistono i materiali che servirebbero per molte delle prestazioni ad esso richieste, almeno nelle condizioni dimensionali e ambientali di fattispecie, come confermato da molti altri esperti ed ex progettisti del ponte, tra cui Emanuele Codacci Pisanelli.

Il ministro e la società mentono quando sostengono che il nuovo Comitato tecnico scientifico avrebbe superato tali problemi. Negli stessi documenti progettuali è registrato che l’apposita Commissione tecnica ha solo rinviato la dimostrazione di fattibilità alla futura progettazione esecutiva (mai effettuata perché, secondo i citati esperti, avrebbe dimostrato l’esatto contrario del necessario, ovvero la non costruibilità dell’opera). I tecnici della stessa Commissione, con questo comportamento tanto singolare quanto anomalo, hanno invero assunto una posizione assai discutibile, non solo perché hanno contraddetto colleghi di grandissimi spessore tecnico-scientifico ed esperienza anche sul ponte, ma perché hanno evaso una regola da manualistica d’ingegneria: si procede con la progettazione esecutiva, che tra l’altro copre una quota assai rilevante del totale (nel caso il 14%, circa due miliardi di euro), solo allorché con il progetto definitivo si è dimostrata la fattibilità certa del progetto, di cui l’esecutivo esplicita per l’impresa che opera solo le migliori modalità di realizzazione. Nel caso in questione tale dimostrazione non c’è mai stata: anzi l’elaborazione tecnica prevalente indicava l’esatto contrario!

Potrebbe bastare questo a spiegare perché siamo ai limiti della truffa, certamente ai danni dei cittadini italiani, anzitutto siciliani e calabresi, ma anche dello Stato. Ma ci sono altri elementi che confermano il colossale eterno imbroglio.

In primis si annuncia l’avvio dei lavori nei prossimi mesi, ma ad oggi non esiste ancora giuridicamente il General Contractor, cioè il raggruppamento di imprese che dovrebbe effettuare i lavori. E manca proprio per effetto del decreto del maggio 2023 che “resuscita il programma di attraversamento stabile con relativa procedura” (pur con molti passaggi dubbi, oggetto di indagini dalla magistratura amministrativa, civile e penale anche per la pioggia di esposti e ricorsi che è caduta su questo e molti altri atti relativi al progetto).

Il decreto, infatti, stabiliva che il General Contractor Eurolink (mandataria l’impresa Impregilo, poi Salini/Impregilo, adesso WeBuild, e già il cambio di natura giuridica del mandatario obbligherebbe a nuova gara, ennesima irregolarità della procedura; mandanti due imprese italiane fallite e rivendute a pezzi e due straniere oggi rappresentate solo dai legali) non poteva giuridicamente ricostituirsi se e finché le imprese non avessero rinunziato al contenzioso legale aperto con lo Stato al momento della cancellazione di progetto e procedura, della caducazione dei contratti e della messa in liquidazione della società concessionaria, operate dal Governo Monti nel marzo 2013: contenzioso che si è ulteriormente complicato con la bocciatura in primo grado delle imprese ricorrenti (“Sapevano dai loro tecnici dell’irrealizzabilità del progetto, ma hanno seguitato con l’azione giudiziaria”) e il relativo appello, corredato da reciproche denunce di inadempienza tra ministeri e imprese. Nonostante il passaggio al Cipess, ad oggi tale rinuncia non è avvenuta.

Iprossimo appuntamento è fissato al Tribunale di Roma ad ottobre, ma non è detto che allora la controversia sarà risolta. Quel che è certo è che le imprese hanno chiesto alla concessionaria (che avrebbe accolto la richiesta: Il Fatto Quotidiano, 20 maggio 2025), una cifra pari al 10% del costo totale dell’opera (circa 1,4 miliardi di euro) in caso di recesso, ovvero di interruzione della procedura, more solito inevitabile per quanto detto. Anche se oggi la società smentisce, sostenendo che in questi giorni avrebbe fatto firmare i contratti alle imprese per una penale pari a poco più della metà della cifra indicata: il mistero è costituito da contratti firmati da imprese che ancora non esistono… Forse si dovrebbe stare più attenti e non auto smentire le proprie balle già mentre le si dicono. In ogni caso la penale scatterebbe all’atto di interruzione della procedura “qualsiasi siano i motivi e gli attori che hanno determinato la stessa”. Della serie: “qualche mese di ammuina e ci spartiamo un bel bottino!”. Si rischia di andare ben oltre la truffa ai danni della collettività e dello Stato.

La Corte dei Conti dovrà vagliare tra i molti elementi incerti un altro aspetto critico fondamentale, sollevato da più parti tra cui la stessa Anac: il decreto del maggio 2023 ha resuscitato l’affidamento di un appalto a privati (rappresentati da un contraente generale che non esisteva giuridicamente al momento dell’approvazione del decreto stesso e non esiste tuttora) aggiudicato nel 2005 per un valore di 4,5 miliardi di euro oggi triplicato (13,5 miliardi di euro). A parte le bizzarre singolarità della vicenda, ciò è vietato da diverse norme. Tra l’altro da una precisa direttiva comunitaria che stabilisce che non si possono riaffidare direttamente appalti senza nuovi bando e gara, nel caso di aumenti del valore del contratto superiori al 50%, qui ampiamente superato. Il Governo si giustifica con il progressivo aumento dei prezzi, che peraltro resta lontano dal valore del nuovo contratto.

I decreti di “rappezzamento” di questo e delle molte altre falle programmatico-normative e dei molti buchi procedurali sono assai sciatti e anche per questo spesso inattuabili, tra emendamenti e cancellazioni. Certamente però servono per l’obiettivo principale dell’operazione: l’annuncio propagandistico al momento dell’emanazione.

Il progetto del Ponte fa acqua da tutte le parti. A cominciare dal fatto che costituisce la riproposizione con qualche aggiornamento di elaborati redatti nel 2011, o ancora prima nel 2003 e in qualche caso addirittura nel 1993! Nell’aprile 2024 la Commissione Via del Mase l’aveva sostanzialmente bocciato, con oltre 260 prescrizioni e richieste di modifiche. Per superare tale scoglio il Governo ha pensato bene di…. cambiare la Commissione: sostituendo la gran parte di tecnici esperti con yes man di partito. Nonostante questo, il Via/Mase non ha potuto dare un’approvazione piena, ma altre raccomandazioni e il rinvio all’UE per alcuni problemi. Per proseguire nella procedura, aggirando il giudizio UE, il Governo ha allora dichiarato il Ponte “infrastruttura di emergenza senza alternative”: una altra solenne balla. E, per sovrammercato, l’ha dichiarata “necessaria a fini bellici”: ancora un falso subito contestato.

Si agitano gli espropri; ma delle opere complementari da realizzare prioritariamente in aree soggette ad esproprio non esistono nemmeno progetti di massima, solo schemi.

Si procede soprattutto per annunci. Che devono coprire non solo magagne e strafalcioni del progetto, nonché sottrazione di risorse a siciliani e calabresi, ma anche ciò che in realtà è successo finora. Per le diverse puntate della telenovela, compresa quella in corso, sono stati spesi ad oggi circa 650 milioni di euro (così si legge negli atti della società), dovuti soprattutto a spese di gestione societaria e presentazioni con pubbliche relazioni del progetto. Con straordinari emolumenti dei componenti del CdA della stessa concessionaria. Ad ogni puntata il ministro di turno, allorché capisce che non può fare molto altro, si concentra sulla pubblicità e nell’inserire almeno qualche suo cliente e sodale nel Cda societario.

Anche in questo, come in quasi tutti i casi di grandi opere, le spese reali superano di gran lunga quelle ufficiali. A fine 2024 L’Ufficio Studi della Camera, in un rapporto sulla programmazione infrastrutturale, ha dichiarato che negli ultimi 25 anni, dalla legge Obiettivo in avanti, sono stati stanziati per grandi opere “di emergenza e somma urgenza” 483 miliardi di euro, di cui oltre 390 effettivamente spesi. Si è però tradotto in lavori, anche solo iniziati o interrotti e solo in qualche caso completati, solo il 44%di tale somma! Quindi oltre 250 miliardi di euro sono stati trasferiti dalle risorse pubbliche soprattutto al mercato finanziario e finalizzati ad altro, alle spalle della società italiana.

Alla denuncia e alla critica di questa e di altre simili contraddizioni e distorsioni nel comparto grandi infrastrutture, non solo sui disastri ambientali e sociali, sarà dedicato un convegno nazionale organizzato ad Avigliana (in Val Susa) nel prossimo ottobre dal Coordinamento contro le Grandi Opere Inutili e Imposte.