Il regno di don Luigi Pennino

Dall’epoca fascista e fino agli anni Sessanta, Cosenza diventa il regno di Luigi Pennino, cresciuto nella città vecchia. Noto a tutti come “don Luigi”.

Francesco Caravetta, nel suo “Guagliuni i malavita”, lo descrive come scaltro e determinato ed è il primo che impone il “pizzo” alle prostitute di Santa Lucia e agli ambulanti al mercato e mette in moto una macchina imponente di furti in città e in provincia.

“Don Luigi era uno abituato a farsi rispettare, sempre pronto a impugnare il rasoio per “sfregiare” chiunque non osservasse le buone maniere e le “regole” della “onorata società”… Il padrino era un abile istrione per i furti: ad esempio, era solito fingersi fotografo per scegliere con cura gli obiettivi da colpire… Pennino, atteggiandosi a mammasantissima ostentava un anello con brillante, simbolo di potere mafioso e di ricchezza”.

(Mamma ‘ndrangheta, Arcangelo Badolati)

“Amante della vita elegante e spendereccia – dirà di lui il maresciallo Pelaia – frequentava abitualmente caffè e ristoranti…”. Vestiva bene e gli piacevano le donne: un tenore di vita decisamente troppo alto per uno che dichiarava di fare il fotografo ambulante.

Lo tradisce Ponzano nel 1931 e don Luigi va in galera ma non per molto. Torna in libertà più forte di prima. Nel 1936 commette il suo primo omicidio al culmine di una lite nel corso di una partita a bocce.  Poi entra in crisi il suo rapporto con Francesco De Marco, detto “U Baccu”, il suo principale luogotenente. Don Luigi lo uccide in duello sulla discesa del Crocefisso con tre pallottole al petto.

Dopo aver eliminato il rivale, Pennino nelle vesti di capobastone bruzio incontra nel 1949 il capo dei capi di Cosa Nostra Calogero Vizzini, imputato in un importante processo nel Tribunale di Cosenza. Diventa leggendaria la passeggiata tra i due su viale Trieste di fronte all’hotel Imperiale. Con tanto di saluto mafioso.

Don Luigi Pennino resterà capo indiscusso della malavita fino agli anni Sessanta e non morirà di morte violenta.