𝐈𝐥 𝐒𝐮𝐝 𝐮𝐧𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐢𝐥 𝐩𝐨𝐧𝐭𝐞
Appello delle realtà del Sud (firme in aggiornamento) verso il corteo no ponte del 29 novembre!
Vogliamo casa, lavoro, ambiente e sanità!
La mobilitazione contro il ponte sullo Stretto è, oggi, uno spazio politico cruciale per la resistenza e il riscatto del Sud. Teatrino politico di lungo corso, con interpreti che abbracciano la quasi totalità dello spettro politico, il ponte è da sempre accompagnato da un’aura mitica, che lo pone come infrastruttura necessaria per la risoluzione di tutti i mali del Meridione. Un’opera che non vedrà mai la luce (o, quantomeno, non nella sua interezza) è diventata, così, non solo meccanismo di costruzione del consenso, ma anche dispositivo politico portatore di un immobilismo strutturale nello sviluppo di intere aree del paese, tra mancati investimenti e risorse rubate alle vere urgenze dei nostri territori.
Queste urgenze, noi, le conosciamo bene. Dalla Puglia alla Calabria, dalla Sicilia alla Campania, passando per la Basilicata, la Sardegna e il Molise: tanti Sud, stessi problemi. Siamo la periferia d’Europa, sempre agli ultimi posti in ogni classifica sulla qualità della vita, sui servizi, sul lavoro, sulla salute. Pochi giorni fa l’Eurostat ha fotografato la realtà: 93 milioni di persone a rischio povertà nell’Unione Europea. E ai primi posti ci sono Calabria e Campania, insieme alla Guyana Francese. Questi numeri non sono statistiche fredde: sono la vita quotidiana di milioni di persone, di famiglie che faticano a sopravvivere, di giovani che non vedono un futuro.
In questo scenario, il ponte sullo Stretto è uno schiaffo.
È l’ennesimo insulto a chi abita territori abbandonati, depredati e desertificati, simbolo di una politica che continua a scegliere il cemento invece delle persone. Il Sud, da secoli, è un territorio di conquista. Prima colonizzato, poi sfruttato, oggi devastato in nome della “vocazione turistica” e della “posizione strategica”. Parole vuote, dietro cui si nascondono solo povertà, disuguaglianze ed emigrazione, ce lo raccontano, ad esempio, in modo inequivocabile, le carceri italiane, in cui la maggioranza dei detenuti è meridionale e migrante. Oggi a emigrare non sono solo i giovani, ma anche i meno giovani, per lavorare al Nord o all’estero, a produrre ricchezza altrove per stipendi da fame, inghiottiti da affitti che non lasciano respiro. Insegnanti, operai, infermieri, impiegati, postini, lavoratrici e lavoratori che partono e lasciano dietro di sé città e paesi svuotati.
Il Ponte sullo Stretto torna a essere il pretesto per imporre un modello di sviluppo fondato sull’aggressione territoriale e sull’estrazione di profitto dalle risorse e dalle biografie degli abitanti. Si tratta di un modello che esclude programmaticamente le comunità locali dai processi decisionali, ponendole di fronte a un’alternativa forzata: accettare il ricatto di promesse occupazionali e finanziamenti oppure subire la devastazione ambientale e sociale legata all’opera. È, in sintesi, un modello che espelle progressivamente la popolazione residente, poiché considerata un ostacolo al suo avanzamento.
D’altra parte le grandi opere seguono sempre la stessa logica: calate dall’alto, devastano i territori e ignorano chi li abita. È una logica disumana, cieca, che piega tutto al profitto. La stessa che ritroviamo nell’economia di guerra e nelle distruzioni che produce: logiche diverse per scala e orrore, ma accomunate dallo stesso meccanismo: devastare per poi ricostruire, distruggere per fare speculazione. Non è un caso se, mentre un genocidio è ancora in corso, già si parla del “grande business della ricostruzione” a Gaza, un affare da oltre 80 miliardi su cui si affacciano le stesse multinazionali del cemento, come Webuild, la stessa del Ponte sullo Stretto.
Oggi la lotta No ponte è molto più di una battaglia ambientale o locale. È un crocevia decisivo per il riscatto del Sud, un’occasione per tornare a essere voce collettiva. Davanti a tutto questo, siamo convinte che serva un’unità nuova, forte, popolare. La mobilitazione contro il ponte deve diventare il simbolo di un Sud che rimette al centro sé stesso, i propri bisogni, la propria dignità.
Per questo il 29 novembre scenderemo in piazza, a Messina, uniti e compatti in uno spezzone sociale con parole chiave che rispecchiano le vere priorità del Meridione. Lo faremo in dialogo e continuità con il corteo nazionale contro la finanziaria di guerra che si terrà in quella stessa data a Roma, nella Giornata di solidarietà con il popolo palestinese.
𝗜𝗹 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗹𝗼 𝘃𝗼𝗴𝗹𝗶𝗮𝗺𝗼. 𝗠𝗮, 𝗮𝗻𝗰𝗼𝗿𝗮 𝗱𝗶 𝗽𝗶𝘂’, 𝗻𝗼𝗻 𝘃𝗼𝗴𝗹𝗶𝗮𝗺𝗼 𝗽𝗶𝘂’ 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝘁𝗿𝗮𝘁𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗶 𝗰𝗼𝗻𝗾𝘂𝗶𝘀𝘁𝗮, 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗹𝘂𝗼𝗴𝗵𝗶 𝗱𝗮 𝘀𝗳𝗿𝘂𝘁𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗲 𝘀𝘃𝘂𝗼𝘁𝗮𝗿𝗲.
Vogliamo una sanità pubblica efficiente, capillare, di qualità.
Vogliamo infrastrutture sostenibili, che colleghino davvero le persone.
Vogliamo l’acqua nelle case, vogliamo scuole e ospedali che funzionino, vogliamo poter nascere, crescere e invecchiare con dignità, con servizi pubblici che non lascino indietro nessuno.
Vogliamo poter scegliere di restare o di partire, senza essere obbligati a scappare.
Vogliamo questo e molto di più.
Vogliamo tutto.
La lotta No ponte è la nostra lotta per il diritto a restare.
Assemblea No Ponte – Messina
No Ponte Calabria
Agorà – Decollatura (CS)
Antudo
Assemblea Popolare Ecologista (A.P.E.) – Palermo
Cambiamo Messina dal Basso
Centro sociale Anomalia – Palermo
Collettivo Addùnati – Lamezia Terme
Collettivo Scirocco – Palermo
COLPO “Mario Bruno” – Paola (CS)
CSC Nuvola Rossa – Villa San Giovanni
Equosud – Reggio Calabria
Fiom-Cgil – Messina
Global Movement to Gaza – Italia
La Base – Cosenza
Lampare BJC- Cariati (CS)
Mediterranea Saving Humans – Messina
Mediterranea Saving Humans – Palermo
Osservatoriomaree – Paola (CS)
Partito della Rifondazione Comunista – Federazione provinciale di Messina
Potere al Popolo – Calabria
Potere al Popolo – Sicilia
USB Calabria
USB Sicilia
Firme in aggiornamento









