Il Telesio di Battiato: l’omogeneità nell’eterogeneità (recensione opera, Cosenza)
Franco Battiato in Telesio
Cosenza, Teatro Rendano, 7 maggio 2011
live report
Occorre iniziare questa recensione al Telesio di F. Battiato con la risposta che lo stesso diede ad una delle domande che ebbi l’occasione di porgergli in luogo dell’intervista realizzata a conclusione del mio lavoro di tesi sul sintetizzatore e il superamento della forma-canzone. Alla domanda: “Può resuscitare a suo avviso l’opera italiana dal torpore quasi secolare nel quale è sprofondata? Parlo della possibilità di andare oltre gli esperimenti fini a se stessi e di ricreare una produzione continuativa in tal senso. Se si, in quali forme?”, Battiato molto sinteticamente ma concisamente risponde: “Si! Telesio sarà un esempio”.
Quello a cui la sera di sabato 7 maggio 2011 ho avuto modo di assistere presso il Teatro Rendano di Cosenza è a tutta prima un insieme molto eterogeneo e variegato di elementi che trovano il modo di coesistere e di susseguirsi l’un l’altro senza traumi particolari grazie principalmente a quella che è la cifra stilistica dell’autore delle musiche, ossia il suo ben noto eclettismo. E tanto è eclettica questa quarta opera dell’autore siciliano che quasi si fatica a scriverne qualcosa o a parlarne, proprio come quando ci si trova a dover dar spiegazione di cose che si pongono al di là della logica comune.
Tutti i protagonisti, eccezion fatta per alcune piccole incursioni di Battiato stesso ad inizio e a fine opera, sono ologrammi, e con loro ologrammate sono anche le scenografie, in gran numero e molto differenti l’un l’altra. A scene di sola recitazione del bravissimo Giulio Brogi nei panni di Bernardino Telesio ne seguono altre in cui la voce sopranile di Paolo Lopez e quella incredibilmente delicata e austera di Divna Ljubojevic fanno da protagoniste su musiche che sembrano avere come poli espressivi il minimalismo da un parte e la musica barocca dall’altra. Alle danze a dir poco ipnotiche di Pandu Perdana (giavanese), di Sen Hea Ha (coreana) e di Dipoyono Achmad (indonesiana), danze che si muovono a volte su tappeti musicali incredibilmente rarefatti e discreti, tesi a risaltare i movimenti carichi di grazia e armoniosa bellezza dei danzatori, altre volte su canti di tradizione indonesiana senza accompagnamento strumentale alcuno, seguono gli interventi del coro misto, anch’esso olgrammato, solo o insieme alle due voci soliste.
Gli ambienti e le scenografie di Luca Volpatti appaiono e scompaiono, vengono dal nulla e tornano ad esso. E’ lo stesso Volpatti a scrivere: “Pensare ad uno spazio definito ove racchiudere la musica di Franco, che io sento musica senza limiti di spazio e di tempo, è cosa non semplice. In più questa volta la musica non è rappresentazione di un mito, ma racconto di un uomo, sempre sospeso tra il peso della terra (scienza) e la leggerezza del cielo (filosofia)”.
Insomma, un vero susseguirsi di stimoli di diversa provenienza a di diverso calibro: le danze, le riflessioni di Telesio, i canti corali e solisti, le incursioni dell’orchestra diretta dal M° Carlo Boccadoro, l’eterogeneità scenografica (dagli ambienti interni di casa Telesio a piccoli giardini primaverili dove il vento accarezza le foglie degli alberi, da cieli nuvolosi e luminosi arcobaleni a chiostri silenziosi). La filosofia del pensatore calabrese del XVI secolo trova così spazio e viene accolta dalla musica del cantautore-compositore siciliano, come recita del resto lo stesso testo dell’epilogo: “Bernardino Telesio, a tumulazione avvenuta, fu calato nella tomba storico filosofica. Stasera lo spirito della musica lo ha accolto”.
Due parole ora sulle musiche. In questo lavoro Battiato dà sfogo a tutte le sue risorse creative, inserendo, in alcuni casi anche embrionalmente, tutto quello che finora ha avuto modo di conoscere e sperimentare in altri ambiti creativo-produttivi, come quello della canzone d’autore, che trova con il nostro un punta di diamante. Tappeti silenziosi si alternano a momenti di grande euforia, e il silenzio totale prelude spesso allo svilupparsi graduale e lento di fenomeni sonori che sembrano provenire da dimensioni altre. La minimal music americana dei ben noti Glass e Reich, tanto cara al nostro compositore, è presente in questo lavoro fin dalle prime note dello stesso, ma accanto a fenomeni di tutt’altra natura e genere, come un brano sacro in stile madrigalistico ed eventi che hanno molto da condividere con lo Strawinsky della Sacre du Printemps. L’eterogeneità degli elementi che vanno a costituire questo Telesio trova dunque un preciso corrispettivo nelle musiche di Battiato, che imparentano e uniscono eventi sonori altrove e altrimenti inconciliabili.
L’ultima opera di Battiato è così un contenitore all’interno del quale prevale l’eterogeneità e l’apparente non-sense: opera, balletto (di tradizioni altre rispetto a quella europea), proiezioni video, tecnologia degli ologrammi e teatro di prosa trovano tutti pari opportunità e spazio nell’ultimo lavoro del catanese, nel quale la grande varietà non corre il facile rischio di scadere nella discontinuità, dove l’eterogeneo diviene omogeneo. Sarà questa la pietra fondante di un nuovo modo di fare e concepire l’opera di tradizione in Italia?
Ai posteri. . .