Il trionfo delle liste civiche non ha nulla di civico

di Pino Pisicchio
Fonte: Domani

Probabilmente alle prossime regionali avremo una nuova esplosione del civismo che non sarà, però, l’epifania della nuova politica, ma solo il linguaggio dei potentati locali e, insieme, il certificato di morte della forma-partito. Che spesso non ha più il coraggio di presentarsi sul territorio… 

Di quando in quando si infiammano episodi allucinatori che travolgono, in mancanza di realtà nuove, la politica cristallizzata dei giorni nostri. Così taluni miraggi possono assumere colori di speranza o apparire alternative al disfacimento della forma-partito che più in natura non si vede, avendo lasciato il posto a partiti personali e piccoli cesarismi un tanto al chilo. Il miraggio più tenace e ricorrente è la lista civica.

Parliamo di un fenomeno antico, che si rintraccia con profili di dignità sua propria anche ai tempi della prima repubblica, quando i partiti politici, quelli che facevano i congressi veri e contavano alcuni milioni di iscritti, avevano lo stesso nome sia a Roma che nel più remoto comune della Repubblica.

Le ragioni delle “civiche” erano molteplici: nei piccoli comuni, dove spesso s’incontravano, l’elemento conflittuale politico tendeva a stingersi e si privilegiava il profilo reputazionale dei candidati, in una chiave nettamente municipalistica. In quelli più grandi, invece, avevano più funzioni: in qualche caso segnavano la frattura tra personalità o gruppi appartenenti a partiti nazionali, in altri l’esuberanza delle candidature non consentiva l’accoglimento di tutti nella lista del partito e si promuoveva una proposta concorrente ma con funzione ancillare. In altri casi ancora si trattava di scelte strategiche legate al momento elettorale.

Di fatto queste liste sottraevano formalmente consensi ai partiti nazionali, soprattutto alla Dc, che perdeva alle amministrative qualche punto rispetto alle politiche, rompendo una simmetria che con le “civiche” sarebbe diventata matematica. Comunque le liste locali rappresentavano una netta minoranza rispetto a quelle che nel voto amministrativo si presentavano in rappresentanza dei partiti nazionali.

Oggi il rapporto si è capovolto. Sono disponibili statistiche che nelle ultime tornate elettorali, sia regionali che comunali, hanno raccontato le sue proporzioni. Nel 2021 le civiche che si presentarono al Comune di Roma raccolsero complessivamente il 60 per cento dei consensi; l’anno successivo andarono al voto 951 comuni che rappresentavano per numero di abitanti quasi un quinto del corpo elettorale italiano: messe tutte insieme le civiche raccolsero anche in questo caso la maggioranza delle preferenze dei cittadini: oltre il 56 per cento.

Assai interessante, poi, il peso delle civiche alle regionali, avendo riguardo alle liste di sostegno dei presidenti: andiamo dal 44,6 per cento di Zaia nel 2020 ( già nel 2015 la sua civica aveva preso il 23 per cento), al quasi 27 per cento del largo fascio di civiche che sostenne Emiliano nello stesso anno, al 17,8 per cento di Fedriga nel 2023,al più contenuto 13 per cento raccolto dalla civica deluchiana in Campania e si potrebbe continuare.

Considerato il basso numero dei votanti alle amministrative (si pensi al deprimente 37 per cento nel Lazio, al 42 per cento della Lombardia nel 2023 e al 44 per cento della Calabria tre anni prima, alla regionali e al 46 per cento di Torino e al 47 per cento di Roma alle comunali del 2021), verrebbe da pensare che la parte prevalente dei votanti sia stata trascinata alle urne dal voto di preferenza che ai livelli locali (e al parlamento europeo) continua a rimanere la regola mentre al livello nazionale c’è la cooptazione da parte del capo compilatore delle liste.

Tuttavia tutto quel fervore civico, che periodicamente fa pensare ad una nuova classe dirigente pronta a spiccare il volo, si spegne, nonostante i molti tentativi di recupero nazionale, senza lasciare traccia fuori dai cancelli locali. Perché non funziona?

Intanto perché non esiste una identità politica che si possa coniugare col civismo: sul piano nazionale ci provò Monti, con Scelta Civica, che non ebbe grandi risultati e si sbrindellò subito dopo le elezioni del 2013 in più rivoli. Perché non esiste una postura nazionale della lista civica, così come anche sul piano locale, almeno nelle comunità più grandi, le civiche si distribuiscono sulla riva destra e su quella sinistra della politica. E se ci fosse uno spazio nazionale significativo del centro avremmo probabilmente anche civiche centriste.

Probabilmente alle prossime regionali avremo una nuova esplosione del civismo che non sarà, però, l’epifania della nuova politica, ma solo il linguaggio dei potentati locali e, insieme, il certificato di morte della forma-partito. Che spesso non ha più il coraggio di presentarsi sul territorio.