In Calabria votano sempre gli stessi “44 gatti”: il controllo del voto e dell’astensione è chirurgico e totale. Come un algoritmo

C’è un motivetto che ci ronza in testa: “quarantaquattro gatti in fila per tre, col resto di due”. Non è una nostalgia infantile: è il sottofondo musicale che accompagna la lettura dei dati sulla partecipazione elettorale in Calabria, dato imprescindibile per formulare qualsiasi analisi politica del voto, dove qualcosa risulta davvero strano. La colonna sonora perfetta per raccontare un’anomalia tutta calabrese: un caso elettorale che non ha eguali in nessun’altra parte del mondo. Ormai da dieci, lunghissimi anni.

Dal 2014 al 2021 i calabresi si sono recati tre volte alle urne. E con quella di ieri e oggi fanno quattro. Quattro tornate elettorali consecutive che presentano una coincidenza statistica che davvero suona strana: un 44% che ritorna identico, preciso, come il ritornello che ci ronza in testa. A dire il vero, il dato definitivo dei votanti di questa tornata elettorale si è attestato sul 43,14% ma siamo lì… Ed è quello dei “44 gatti”. Nel 2014 l’affluenza si ferma al 44,08%. Nel 2020 i votanti sono il 44,33%. Nel 2021 il dato è ancora praticamente identico: 44,36%. E così anche nel 2025 con il 43,14%. Pochi decimali di differenza tra una percentuale e l’altra: una fotocopia quasi perfetta.

Com’è possibile una coincidenza statistica del genere in quattro tornate elettorali? Un dato così preciso non può essere archiviato come semplice coincidenza. In nessuna democrazia reale l’affluenza resta identica per tre o addirittura quattro tornate elettorali consecutive. Le elezioni sono organismi vivi, converrete che è alquanto strano il ripetersi così preciso di questo numero. Anche perché, se si guarda alle elezioni precedenti al 2014, si scopre che l’affluenza non è mai stata identica, né prevedibile, né così stabile. Nel 2000 l’affluenza fu del 64,64%. Nel 2005 scese al 64,39%. Nel 2010 al 59,27%. Percentuali diverse, che si muovono, oscillano, e non sono mai identiche. Poi, dal 2014 in poi, tutto si ferma: sempre 44, sempre uguale, sempre perfetto. Anche quest’anno… 

Prima di cercare di spiegare questo strano fenomeno, è necessario capire però quanti sono davvero gli aventi diritto al voto in Calabria. Solo così si può attribuire un valore concreto a quel 44%: trasformarlo da percentuale in numero reale di persone. Secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Interno, alle elezioni regionali del 2021 gli aventi diritto al voto risultavano poco meno di un milione e novecentomila elettori, conteggiati comune per comune. Si tratta dei residenti effettivi, cioè di chi vive in Calabria ed è iscritto alle liste elettorali comunali. E per fare chiarezza, è bene precisarlo subito: da questo numero non va tolto nulla. Né gli iscritti all’AIRE né i cosiddetti fuorisede. Quelle due categorie esistono, ma non incidono sul conteggio degli aventi diritto così come è definito ufficialmente.

Gli iscritti all’AIRE – l’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero – sono circa 420.000 tra calabresi e discendenti che vivono in Argentina, Germania, Svizzera, Canada, Australia, e chissà in quale altro angolo del mondo. Hanno la cittadinanza italiana, ma non votano per le regionali: partecipano solo alle politiche e ai referendum e sono iscritti nella Circoscrizione Estero.

Quando un cittadino si iscrive all’AIRE, viene cancellato dalle liste elettorali del comune di origine e inserito in quelle estere: per questo motivo non rientra nel conteggio degli aventi diritto in Calabria.

Diverso è il caso dei fuorisede, cioè di chi mantiene la residenza in Calabria ma vive altrove: studenti, lavoratori, migranti interni. Difficile stabilire con precisione il loro numero effettivo. Secondo il Ministero dell’Università (USTAT), gli studenti calabresi iscritti ad atenei fuori regione sono circa 35–40 mila. A questi si aggiungono tra 70 e 90 mila lavoratori occupati stabilmente in altre regioni ma ancora residenti in Calabria, secondo le stime INPS e Svimez. Altre fonti non esitono, non esite un registro dei “fuori sede”. A fare la somma sono poco più di 100 mila persone, che anche qualora non esercitassero il proprio diritto di voto inciderebbero solo marginalmente sull’astensionismo complessivo.

Il numero reale degli aventi diritto alle elezioni regionali calabresi resta 1.890.732, per essere precisi. Ed è dentro questa platea che il ripetersi, per ben quattro tornate elettorali  pari a 831.921 votanti — appare come un fenomeno strano: un dato troppo perfetto per sembrare casuale.

Ma come si fa a ottenere un risultato così chirurgico, identico elezione dopo elezione?
Come si controlla così precisamente un numero che, in teoria, dovrebbe essere libero e imprevedibile? Il mistero del 44% non sta nelle urne, ma a monte, nel modo in cui il voto viene costruito, calibrato, dosato. Perché in Calabria non serve truccare le schede per controllare il risultato: basta controllare il perimetro del consenso. E il ripetersi del 44% conferma che in Calabria, come in nessun’altra parte del mondo, il voto non si esprime: si controlla. Il sistema funziona come un ingranaggio perfetto. Da un lato, una rete di fedeltà amministrative e clientelari che garantisce un blocco di votanti stabili: dipendenti pubblici, personale delle partecipate, cooperative, imprese legate ai fondi regionali, famiglie che vivono di assistenza o di appalti. È la base matematica del potere, invisibile ma costante: l’algoritmo politico perfetto rigorosamente bipartisan che tiene in equilibrio la macchina del consenso, a prescindere da chi la guidi.

Ogni campagna elettorale non serve a convincere, ma a confermare. A riattivare la catena di comando che tiene insieme uffici, partecipate, enti e territori. Un sistema che non si limita a chiedere voti: li organizza. C’è chi li raccoglie, chi li pesa, chi li distribuisce secondo necessità. Un meccanismo del consenso che funziona come un bilancio: entrate, uscite, margini di sicurezza. Niente è lasciato al caso. Ogni comune ha i suoi referenti, ogni seggio i suoi addetti, ogni lista i suoi contabili. Il voto diventa un flusso amministrato: si conoscono in anticipo le sacche di rendimento, le zone da “coprire”, i pacchetti da garantire. Si calcola quanto serve e dove serve. E’ una scienza esatta: una somma che deve tornare, e che torna sempre. Così nasce il 44%. Non dal popolo, ma dalla struttura. Un risultato che non misura la partecipazione, ma l’efficienza del controllo. E in Calabria quel controllo ha assunto la forma di una costante matematica.

E a tal proposito c’è da dire che quel 44% non è un dato astratto. Sono persone in carne e ossa, una platea fedele che, qualunque cosa accada, non manca mai all’appello. Potrebbe scoppiare anche la terza guerra mondiale, e loro sarebbero comunque lì, puntuali, davanti al seggio. Non per convinzione, non per senso civico, ma per sopravvivenza. In Calabria il voto non è più un diritto: è una moneta di scambio. Chi vota lo fa perché da quel gesto dipende qualcosa di concreto — un lavoro, una proroga, un appalto, una promessa mantenuta o da rinnovare. È il voto del bisogno, non dell’idea. Un patto silenzioso che tiene insieme due mondi: chi comanda e chi dipende. E dentro questo patto non c’è spazio per ideali, valori o appartenenze. C’è solo una domanda che conta: “cosa ci guadagno?”,

Ed è da quella domanda che quel 44% si compatta in un unico blocco di fedeltà: un esercito silenzioso, disciplinato, che si muove in fila per tre, col resto di due, senza mai uscire dal coro. E poi c’è l’altra metà, quella che resta a casa. Il milione di calabresi che non va a votare, e che in teoria potrebbe cambiare tutto. Basterebbe andare a votare, una volta soltanto, per ribaltare il sistema. Ma non succede mai. Perché? Disillusione? Apatia? Rassegnazione? O semplicemente l’assenza di una vera alternativa politica, di una direzione capace di organizzare, unire, rappresentare? Senza una vera e sincera motivazione politica votare non ha più senso: chiunque vinca, continuerà a lavorare per lo stesso sistema. E i numeri dell’affluenza ne sono il riflesso più fedele: non cambiano mai, restano fermi come il potere che li genera.

A guardare i dati dell’affluenza di ieri alle 23.00, fermi intorno al 30%, uguali a quelli del 2021, c’era già da scommetterci: e anche questa volta il finale è stato lo stesso. Sempre 44 (43,17% cambia veramente poco) per la quarta volta consecutiva. A votare sono stati i soliti quarantaquattro gatti, in fila per tre, col resto di due. Un ritornello che ci toccherà risentire, con l’aggravante che — se altrove vale il proverbio “cambiano i musicanti ma non la musica,” — in Calabria non cambiano nemmeno i musicanti.