Calato, si spera, il sipario sulle fake news sulla morte di Papa Francesco, è iniziato il dibattito sulle sue possibili dimissioni. Mentre prosegue il ricovero di Bergoglio al Policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale, che sarà inevitabilmente lungo, il Collegio cardinalizio si infiamma sull’ipotesi, da Francesco sempre scongiurata, di un bis di ciò che fece Benedetto XVI. Qualche attento osservatore l’ha già ribattezzata in modo molto efficace “operazione Biden”. Ovvero una pressione interna al Collegio cardinalizio per costringere l’88enne Bergoglio, una volta guarito e rientrato a Casa Santa Marta, a cedere il passo e così ad affrettare l’inizio della Sede Vacante che, diversamente, inizierebbe solo con la sua morte. Francesco aria di pre conclave la fiuta e la denuncia pubblicamente da anni: “Sono ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene”. Non è, dunque, un caso se alla premier Giorgia Meloni, che è andata a trovarlo al Gemelli, ha detto: “Lo so che là fuori c’è qualcuno che dice che è giunta la mia ora. Me la tirano sempre!”. E ha aggiunto: “Qualcuno in effetti ha pregato perché il Pontefice andasse in Paradiso, ma il Padrone della Messe ha pensato di lasciarmi ancora qui”.
A rompere il tabù sulle dimissioni di Bergoglio è stato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente emerito del Pontificio Consiglio della cultura, 82 anni, quindi non elettore in un eventuale conclave. Un porporato ambrosiano che, però, ha sempre fatto chiaramente intuire di aver votato Bergoglio e non il condiocesano Angelo Scola nel conclave del 2013. Ravasi ha affermato: “Se è verosimile l’ipotesi che Papa Francesco si possa dimettere? Io penso che possa farlo perché è una persona che, da questo punto di vista, è abbastanza decisa nelle sue scelte. Finora ha ritenuto di continuare la sua attività, anche quando, per esempio, c’è stata la difficoltà del ginocchio, che ha cambiato il normale stile di relazione della figura pubblica con l’intera comunità ecclesiastica mondiale. In quell’occasione, ebbe quella famosa battuta secondo cui si governa con il cervello e non con il ginocchio. Quindi, c’è sempre stata la tendenza a combattere e a reagire, ed è anche una scelta legittima, perché ha potuto affrontare perfino viaggi in condizioni assolutamente difficili e impegnative, come quello nell’Estremo Oriente. Tuttavia, è fuori di dubbio che, se si trovasse in una situazione in cui fosse compromessa la sua possibilità di avere contatti diretti, come lui ama fare, di poter comunicare in modo immediato, incisivo e decisivo, allora credo che potrebbe decidere di dimettersi. Il Papa ha affermato esplicitamente di aver consegnato la lettera nelle mani del segretario di Stato dell’epoca, quindi si tratta di un atto formale”.
Ravasi ha, poi, aggiunto che la situazione clinica del Papa “rimane complessa, ma non critica”. “L’apprensione c’è stata, è vero, soprattutto quando si è manifestata la sindrome della polmonite bilaterale, che, in una persona con un polmone a cui è stato asportato un lobo in passato, rappresenta evidentemente una situazione piuttosto difficile da superare. Tuttavia, sembra che ora l’orientamento generale sia più positivo, considerando una struttura fisica complessivamente forte e abituata a superare interventi impegnativi. Le notizie verranno fornite di momento in momento, in una situazione che, comunque, rimane complessa. Tuttavia, non si tratta di una situazione critica, come sospettato da alcuni mezzi di comunicazione. Io uscivo dal Vaticano l’altra sera e già una giornalista mi chiedeva se avessi visto rientrare il Papa a Santa Marta per un motivo non positivo. Invece no, tutto normale”.
Le parole del porporato ambrosiano hanno subito trovato sponda nel cardinale Jean-Marc Aveline, arcivescovo di Marsiglia, 66 anni: “Tutto è possibile. Non ho letto quanto ha affermato il cardinale Ravasi, ma tutto è possibile. Stiamo vivendo questo momento con una certa preoccupazione, ma senza cercare di anticipare quello che potrà succedere”. E ha aggiunto: “Sono fiducioso nella sua lucidità, è libero: è una cosa che non si faceva troppo, ma ora c’è un esempio con il suo predecessore immediato e dunque se ritiene che sia la migliore cosa per il bene della Chiesa, lo farà. Non sono medico, non sono al Gemelli, ma non mi esprimerei al riguardo, anche perché non ho nulla da dire. Domando nella preghiera che il Signore ce lo conservi”. Il porporato francese, inoltre, ha sottolineato: “Il Papa era stanco. Fa parte di quelle persone che si riposano solo se vengono ricoverate”. Riguardo alle fake news sullo stato di salute di Bergoglio, Aveline ha commentato: “Non mi piace quando si specula sulla salute del Papa” e “finché non si hanno informazioni precise, soprattutto se si tratta di salute, è meglio rimanere discreti”. Gli ha fatto eco il cardinale Juan José Omella Omella, arcivescovo di Barcellona, 78 anni: “Non ho la vocazione del profeta: sappiamo che nella Chiesa la morte e la rinuncia sono previste dal diritto canonico, e ora c’è anche l’esperienza di Benedetto XVI, ma non so niente, non ho parlato con il Papa. Tutto è possibile, è a lui decidere, ma credo che sia importante vivere l’oggi di Dio. La malattia ci porta a dipendere dai medici, ma soprattutto da Dio, che conduce la storia di ciascuno e la storia dell’umanità”.
Di parere diametralmente opposto il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Bologna, da sempre fedelissimo collaboratore di Bergoglio con cui ha una particolare sintonia sia di magistero che di azione pastorale. Il porporato ha sottolineato che c’è preoccupazione per le condizioni di Papa Francesco. Ma anche un pizzico di ottimismo per il fatto che “siamo nella direzione giusta di un pieno recupero”. E ha aggiunto: “Certo, siamo tutti preoccupati, ma siamo anche convinti che tutte le cose che si dicono sono esattamente quelle che avvengono. Il fatto che il Papa abbia fatto colazione, abbia letto i giornali e abbia ricevuto delle persone vuol dire che siamo nella direzione giusta di un pieno recupero, che speriamo avvenga presto”. Dichiarazioni che scacciano via ogni ipotesi di dimissioni. Ma, indubbiamente, la pressione resta. Pio XII, san Paolo VI e san Giovanni Paolo II hanno a lungo meditato sull’opportunità delle dimissioni. Benedetto XVI è stato il primo Papa dei tempi recenti a metterle in pratica. Pio XII pensò di dimettersi durante la seconda guerra mondiale, quando il pericolo che Adolf Hitler potesse arrestarlo era abbastanza concreto: “Così i nazisti deporteranno il cardinale Eugenio Pacelli, non il Papa”, fu la sua spiegazione, consegnando la lettera di dimissioni che aveva preparato qualora i tedeschi avessero compiuto quello che solo Napoleone Bonaparte osò fare, ovvero arrestare il Pontefice. Diverso è, invece, il caso del Papa bresciano…. Fonte: Il Fatto Quotidiano