(di Andrea Scanzi – ilfattoquotidiano.it) – Totò Cuffaro ha un sogno: tornare a candidarsi alla presidenza della Regione. È un sogno meraviglioso, che tutti noi speriamo possa realizzarsi. Certo, appena uscito dieci anni fa dal carcere di Rebibbia, aveva garantito che non avrebbe mai più fatto politica, preferendo occuparsi in qualità di medico dei bambini del Burundi (che forse non meritavano anche quella punizione lì). Certo, c’è quella fastidiosa condanna in via definitiva a sette anni, per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio nel processo “talpe alla Dda”, con tanto di interdizione perpetua dai pubblici uffici, poi dichiarata estinta a seguito della riabilitazione. E certo, ora c’è pure una nuova indagine che lo vede coinvolto, stavolta per appalti truccati. Quisquilie: Cuffaro sogna e può sognare. Del resto, nessuno come lui si intende di sogni. Lo fece capire quando rilesse in maniera impareggiabile la frase storica del reverendo King. Ascoltiamolo: “Martin Luther Kinghi, sessant’anni fa, esattamente nel 1963, fece un grande discorso in cui disse “I am and drink”. Secondo Cuffaro, quindi, King disse: “Io sono e bevo”. Che a suo modo è una frase fantastica, un po’ Cartesio e un po’ Bukowski.
L’idea che uno col passato (ma pure il presente) di Cuffaro sia ancora in corsa, nonostante tutto o forse proprio per quel tutto, può ferire i più moralisti e giustizialisti. Gli stessi che, verosimilmente, rinfacciano ancora a Cuffaro quelle parole oltremodo indegne scagliate contro Giovanni Falcone, durante la maratona antimafia di Costanzo e Santoro, poco prima dell’attentato. E invece la parabola di Cuffaro è oltremodo emblematica, perché dimostra come l’Italia sia politicamente immutabile, insalvabile e gattopardesca oltre ogni immaginazione.
Ne è prova ulteriore l’eternità mediatica, ma direi pure politica, di un altro dinosauro diversamente incensurato: Roberto Formigoni. Uomo di squisita simpatia e ancor più gradevolezza, incidentalmente condannato in via definitiva a cinque anni e dieci mesi di reclusione per corruzione (in appello erano sette anni e sei mesi: poi intervenne in parte la prescrizione). Formigoni è oggi a un passo dai 79 anni e in tivù è già tornato come nulla fosse. Ora è tempo di rimetterlo in corsa come politico di razza. Ripartendo da dove eravamo rimasti: dalla presidenza della regione Lombardia. Rivederlo lì sarebbe sontuoso. E infatti qualcuno ci ha pensato. Tipo il segretario di Forza Italia in Lombardia, tale Alessandro Sorte, a margine del convegno del partito “Milano trasparenza e visione urbanistica” (tutti temi di cui Forza Italia è maestra, soprattutto la trasparenza). Ecco le sagge parole di tal Sorte: “C’è un braccio di ferro tra Fratelli d’Italia e la Lega per la presidenza della Regione. Tutti i nomi sono legittimi e tutti i partiti hanno le loro proposte. Se non dovessero trovare loro una sintesi, possiamo sempre richiedere a Roberto Formigoni di scendere in campo tra due anni e mezzo. Sono convinto che sarebbe un ottimo candidato del centrodestra. Ha vinto quattro volte su quattro contro il centrosinistra, ci può essere anche una quinta”. Bravo! Che idea bellissima. Idioti noi a non pensarci prima. Riesumare politicamente queste illibate nuove leve è proprio quel che ci vuole per combattere l’astensione, debellare la disaffezione alla politica e restituire entusiasmo agli elettori (chissà perché) disillusi.
Io anzi andrei oltre. Per esempio si potrebbe rilanciare una volta per tutte Dell’Utri, che in questo centrodestra starebbe da Dio. Oppure Verdini, troppo sprecato dietro le quinte: è tempo che un Renzi o un Salvini (cioè la stessa cosa) lo candidino seduta stante. Basta con le litanie puerili e infantilmente utopiche che straparlano di novità, etica e morale: l’usato sicuro non delude mai. Soprattutto se, nel frattempo, si è pure fatto qualche anno di galera.









