La benzina tocca il massimo. Governo a vuoto anche sui prezzi

(VITTORIO MALAGUTTI – editorialedomani.it) – Niente da fare. Semmai qualcuno (pochi in verità) si fosse illuso che i nuovi cartelloni con i prezzi medi avrebbero frenato gli aumenti agostani dei carburanti, la realtà dei fatti ha tolto di mezzo ogni speranza. Anche quelle del ministro delle Imprese Adolfo Urso che ha voluto la norma che obbliga i gestori delle pompe a dar conto con appositi indicatori pubblici anche delle quotazioni medie di benzina e gasolio in ambito regionale (nazionale per i punti vendita sulle autostrade). Fatto sta che in sospetta coincidenza con l’impennata del traffico sulle strade, i listini dei carburanti hanno preso il volo, fino a stabilire i nuovi record dell’anno.

In autostrada si paga più di due euro (2,014) per un litro di super al self-service, mentre il diesel è arrivato a 1,917. Sulle strade ordinarie invece siamo intorno a 1,94 per la benzina, con un incremento di oltre dieci centesimi rispetto un mese fa, mentre per il gasolio, che ora viaggia intorno a 1,84 al litro, siamo a più 15 centesimi.

CARTELLONI A VUOTO

E cartelloni? Inutili, a quanto pare. In verità, fin da principio, la quasi totalità degli esperti del ramo avevano sollevato dubbi sull’efficacia della misura. Anche l’Antitrust aveva espresso perplessità per una norma dai «benefici incerti per i consumatori» perché, secondo l’Authority della Concorrenza, la media del prezzo regionale risulta «molto poco rappresentativa dell’effettivo contesto competitivo in cui opera un impianto di distribuzione di carburanti». Il 9 agosto scorso, intervistato da La Stampa, il ministro Urso se l’era presa con le aziende di raffinazione a cui «abbiamo già chiesto spiegazioni», disse. Chiamati in causa, i raffinatori hanno fatto notare con un comunicato che «i prezzi industriali di benzina e gasolio, cioè al netto delle tasse, si mantengono da inizio anno tra i più bassi in Europa».

Un copione già visto. La politica se la prende con presunte speculazioni degli industriali e questi ultimi rispondono ricordando che il carburante venduto in Italia è il più tassato d’Europa. Il peso di Iva e accise è pari al 54 per cento per la benzina e al 51 per cento per il gasolio.

LE PROMESSE DI MELONI

A questo punto è difficile non ricordare il video del 2019 in cui Giorgia Meloni denunciava lo «scandalo» delle tasse del governo italiano sui carburanti. «Noi pretendiamo che le accise vengano progressivamente abolite», scandiva in favor di telecamera la leader di Fratelli d’Italia, all’epoca all’opposizione. Del resto, anche Matteo Salvini, giusto l’anno prima, nel marzo 2018, in campagna elettorale aveva promesso di tagliare le accise sulla benzina una volta alla guida del Paese. Promessa mai mantenuta, anche se a partire dal 2018 la Lega ha sempre fatto parte della maggioranza di governo con l’eccezione dei 18 mesi del Conte 2.

A gennaio di quest’anno, Palazzo Chigi era stato investito dalle polemiche quando non rinnovò il taglio delle accise varato da Mario Draghi, innescando un forte aumento del prezzo. All’epoca l’esecutivo annunciò una serie di provvedimenti per stroncare future possibili speculazioni. Tra le nuove misure compariva anche il cartello con i prezzi medi, in vigore dal primo agosto. I benzinai reagirono con uno sciopero, perché, protestarono i sindacati di categoria, non volevano «passare per furbetti e speculatori». Chiuso l’incidente, non sembra che le novità introdotte dal governo abbiano avuto un qualche effetto concreto.

Ora siamo daccapo: è bastato che nei primi due mesi dell’estate i margini di raffinazione tornassero a crescere per trascinare al rialzo anche le quotazioni dei carburanti alla pompa. Con il risultato che in questi giorni la spesa degli automobilisti per il pieno di benzina ha raggiunto e superato (di poco) quella registrata a gennaio. Diverso il discorso per il gasolio, in forte ribasso sui mercati internazionali a partire dalla seconda metà dell’anno scorso. Ecco perché il prezzo del diesel resta inferiore a quello di gennaio nonostante gli aumenti dell’ultimo mese nei margini di raffinazione. Le previsioni per l’immediato futuro non lasciano molte speranze per un calo delle quotazioni, perché i tagli alla produzione decisi dall’Opec hanno provocato nuovi rialzi del petrolio a livello globale. In agosto, quindi, a meno di improbabili picchiate nelle prossime due settimane, non saranno certo i prezzi di carburanti a contribuire all’auspicata ulteriore diminuzione dell’inflazione, che a luglio ha solo rallentato il passo toccando il 5,9 per cento contro il 6,4 di giugno.

CIBO SEMPRE PIÙ CARO

Anzi, la spesa per il pieno andrà ad aggiungersi alla lunga lista di prodotti di largo consumo che proseguono nel loro trend al rialzo. L’Istat, nell’ultima rilevazione di luglio, aveva peraltro già segnalato che la benzina, dopo una lunga fase al ribasso, aveva fatto segnare un piccolo aumento (più 0,8 per cento) rispetto a giugno. Poca cosa, certo, rispetto all’inflazione registrata dal cosiddetto carrello della spesa, che nonostante la modesta frenata estiva, a luglio mostra ancora un rialzo a doppia cifra (più 10,2 per cento) rispetto al 2022.

Sono gli alimentari a trainare la corsa dei prezzi. Pomodori, patate, olio d’oliva sono aumentati di oltre il 20 per cento nell’arco di un anno. Per lo zucchero si arriva al 45 per cento. In risposta a questi rincari le famiglie riducono gli acquisti. E così nei primi sei mesi dell’anno la spesa in latte e derivati, fonte Ismea, ha fatto segnare un incremento del 18,8 per cento ma le quantità acquistate sono diminuite di quasi il 2 per cento.

Si sono molto ridotte, oltre il 10 per cento, anche le vendite di una frutta estiva come le pesche, che hanno prezzi in rialzo dell’11 per cento in dodici mesi. In diminuzione anche gli acquisti di pasta, «verosimilmente per l’ulteriore crescita dei prezzi di vendita».

Per dare un taglio a una spirale che rischia di proseguire anche in autunno il ministro Urso aveva convocato a luglio un tavolo di trattativa per arrivare a un «protocollo sul contenimento dei prezzi». L’iniziativa si è arenata a tempo di record. L’industria, cioè in pratica i grandi trasformatori di prodotti agricoli, si sono subito sfilati.

Al tavolo sono rimasti i rappresentanti della grande distribuzione, che si sono impegnati a riparlarne a settembre. Tutto qui.