La Calabria a Sanremo, Aiello: “Porto al Festival la mia stranezza e la rivoluzione di Dalla, Battisti e Rino Gaetano”

di Ernesto Assante

Fonte: Repubblica

“Sono un tipo scomposto”. È una definizione singolare per un cantautore, ma Antonio Aiello, in arte semplicemente Aiello, classe 1985, da Cosenza, si sente così. “Anzi, mi ci sono sempre sentito”, dice, “uno strano, diverso, i miei amici mi prendevano in giro e mi dicevano che sembravo uno scappato di casa. Ma nella mia stranezza c’era la musica, era quella che mi faceva immaginare, costantemente, un futuro, un’altra vita”. Oggi un’altra vita Aiello se l’è conquistata, a furia di successi. Sono passati dieci anni da quando per la prima volta partecipò alle audizioni delle Nuove proposte di Sanremo senza riuscire a qualificarsi e adesso a Sanremo 2021 ci arriva con una nuova canzone intitolata Ora, ma nel ruolo di big, con alle spalle vittorie importanti come quella del Premio Lunezia, la candidatura ai David di Donatello come miglior canzone con la sua Festa, i clamorosi successi ottenuti con Arsenico e Vienimi (a ballare) e con il suo primo album “Ex Voto. “Non era una roba prevedibile”, tiene a sottolineare, “realizzare un grande sogno come questo non era facile. Ma ci sono e sono contento, molto”.

Cosa pensa le abbia permesso di arrivare a tanto?

“La mia più grande fortuna è stata quella di raccontarmi senza filtri, restando fedele a due concetti, a due messaggi, che io ritengo molto importanti, quelli di contaminazione e diversità. Sono messaggi positivi, privi di risentimento, due valori aggiunti alla mia personalità. Provo a essere diverso e a contaminare la mia musica, mi piace mescolare le carte quando scrivo, mettere insieme le mie radici popolari e i suoni urban, il pop e la canzone, il flamenco e l’elettronica, e farlo alla mia maniera. Ma allo stesso tempo mi piace che quando viene ascoltata si possa dire: è una canzone di Aiello”.

Sfuggire alle categorie e ai generi in questo Paese non è mai stato un vantaggio.

“Sì, certo, ti dicono che se sei un ibrido rischi di non essere forte da nessuna parte. Ma io ho davanti agli occhi un esempio luminoso, un’artista che era indefinito senza essere indeciso, ovvero Lucio Battisti, è stato tra i primissimi a mescolare sette, otto generi diversi. E ha avuto successo”.

Un obiettivo piuttosto alto.

“I miei tre grandi dèi della musica italiana per me sono Lucio DallaLucio Battisti e Rino Gaetano, rivoluzionari e contemporanei per sempre. Farli incontrare con i suoni e i temi di oggi è il mio sogno, mettere insieme quel modo di fare canzone con un mood elettronico, indipendente, internazionale. Non penso e non posso nemmeno lontanamente paragonarmi a loro, ma andare nella loro direzione è quello che mi piace fare, anche in questo caso a modo mio, mescolando il tutto con un pizzico di club culture inglese, la cultura latina e meridionale, quella più elegante di certo soul e r’n’b”.

È il momento giusto per proporre una simile contaminazione in Italia?

“In questa attesa prolungata, nella gestazione del mio percorso musicale, più lunga di quella di altri, sono però arrivato in un momento in cui l’approccio alla musica, alla creatività, richiede un certo tipo di approccio che per me è naturale. A partire da Arsenico, mi sono autoprodotto, mi sono lanciato da solo nel mare, senza salvagente. Poi mi ha aiutato una fortunata combinazione astrale e sono arrivato al successo assieme a una intera nuova generazione. L’approccio alla contaminazione è trasversale, la vedo in tantissimi altri giovani, mentre una fetta di musica è rimasta in un disegno più classico e in qualche modo più tradizionale. C’è un fermento molto bello e una grande curiosità da parte del pubblico”.

Perché partecipare a Sanremo?

“Semplicemente, con grande franchezza, perché voglio arrivare a più persone possibili e perché ho bisogno di sapere se la mia musica può fare agli altri quello che la musica degli altri ha fatto a me. La musica è stata compagna di vita, di viaggi, di notti insonni, di respiri e battiti di cuore. Sanremo offre un’occasione unica, quest’anno ancora di più, per dire che la musica è importante. E poi è l’unica occasione live che ci viene offerta, e non si può perdere”.

Ora l’ha scritta con in mente il grande pubblico?

“Direi di no, è una canzone vera, viscerale, stronza, nei suoni non solo nel testo. L’ho scritta durante il primo lockdown, chi l’ha ascoltata all’inizio si è commosso e ho pensato fosse potente cantarla su quel palco in questo momento. È un brano molto carnale che mi rappresenta totalmente, gli abbiamo messo il vestito buono delle grandi occasione, è un mix di cose che può piacere a tanti, ma non è stato cucito per il festival”.

Il titolo del suo nuovo album, Meridionale, solo qualche mese fa, sarebbe suonato come una sorta di dichiarazione politica. Lo è ancora?

“È una dichiarazione ad ampio spettro. Non sfuggo alla questione politica, non sono un ignavo, sfuggo dalla polemica ‘Nord contro Sud’ che mi sembra vecchia e inutile. È una faccenda personale, la tappa di un viaggio. Mi spiego meglio: il primo disco l’ho scritto per me, adesso invece mi presento a tutti, e io sono orgogliosamente meridionale. Sono nato in una terra, la Calabria, di cui si parla sempre male, anche giustamente, vista la malasanità, il malgoverno, la malavita. Ma è anche una terra orgogliosa, accogliente passionale, generosa, che io amo moltissimo. Non mi interessa, dunque, fare un attacco al Nord, io a Milano ci sto benissimo, mi sentirei uno sfigato a ridurre tutto a un dualismo come quello del quale si riempiono la bocca certi politici che hanno bisogno solo di creare ogni giorno un mostro diverso da combattere. Quindi il mio è un messaggio di buone vibrazioni, per dire essere meridionale è una cosa bella, che il Sud appartiene a tutti”.