dalla pagina FB di Maria Elena Scandaliato, giornalista Rainews 24
Ripropongo a tutte e a tutti l’intervista a Gioacchino Criaco andata in onda martedì su Spotlive.
Ho avuto il privilegio e il piacere di discutere con lui (che è uno dei miei scrittori preferiti) per più di un’ora: le sue parole meriterebbero di essere trasmesse integralmente. Purtroppo non si può, ma posso, almeno, riproporre un piccolo estratto della nostra chiacchierata.
Per chi, come me, ha radici meridionali (nel mio caso siciliane e calabresi), le parole di Criaco sono state delle stilettate sul cuore.
“Ci stiamo estinguendo”, ha detto. Per quanto riguarda la mia famiglia l’estinzione è già avvenuta.
A Enna, la città di mio padre, non è rimasto quasi nessuno. I suoi cugini sono morti, o sono soli, o si trovano in strutture per anziani; i miei, tutti sulla quarantina, sono sparsi ai quattro angoli del pianeta. La casa di famiglia, al centro della città, l’abbiamo svenduta qualche anno fa, visto che non ci andava più nessuno (per fortuna mio padre non ha assistito alla cosa). Iniziava a perdere pezzi, anche se era lì da secoli. Oggi è un bed and breakfast. Stessa cosa per Cittanova, in provincia di Reggio, da dove arriva la famiglia di mia madre. L’esodo, in quel caso, era iniziato con i miei nonni, che già durante la guerra si erano spostati a Roma.
Cosa resta di quei luoghi, di quelle storie, che in definitiva erano e sempre saranno le mie radici? Restano i profumi, i sapori: il pane di Enna, che per me è il migliore al mondo; o i mostaccioli di Cittanova, con il miele e le mandorle, che da bambina ci mettevo un’ora a rosicchiarne uno. Restano i ricordi delle feste, quando le famiglie erano larghe e variegate; i panorami, le ombre mastodontiche degli ulivi in Calabria e i rondoni che tagliavano il cielo veloci, sulla Rocca di Cerere, con le loro grida struggenti, dolcissime e crepuscolari nell’aria fredda di primavera. Resta, in definitiva, il fantasma di una vita scomparsa, di un’esistenza “altra” che non ha nulla a che vedere con oggi, con le nostre famiglie mononucleari, dove gli aiuti si pagano, i pranzi si evitano, e dove le feste sono occasioni – per chi se lo può permettere – di fare un viaggetto, non certo di riunirsi intorno al tavolo. D’altronde, le nostre generazioni non hanno più fame, si fa la dieta e si mangia poco. Dal pranzo di Natale, di questi tempi, avanza sempre tutto.
Quello che dovremmo chiederci è: perché? Perché abbiamo permesso che ci facessero questo? Perché il Meridione non si ribella alla morte lenta e vigliacca cui i padroni l’hanno condannato, attraverso il loro comitato d’affari in Parlamento e a Palazzo Chigi? Lo stesso comitato d’affari che va a Sud solo in campagna elettorale, per raccattare voti dai loro collettori – più o meno delinquenti, ma esserlo o non esserlo cambia poco – e dai pochi “rimasti” che ancora si recano alle urne?
Qualunque forza politica credibile, che avesse davvero a cuore l’Italia, non potrebbe che mettere in cima alle sue priorità la (non più) vexata “Questione meridionale”. Una questione che un tempo attraeva menti luminose (Gramsci, Salvemini, Levi), ma della quale oggi pochi intellettuali si occupano davvero (a parte quelli che fanno le crociate su mafia, ‘Ndrangheta &co perché è una cosa che paga molto, in termini di visibilità).
Ecco: Gioacchino Criaco è uno di quei pochi. Ascoltiamolo









