La “Cultura” del PD? Il capitalismo liberista più sfrenato

La Soprintendenza di Cosenza

La domanda, quando governano il sedicente centrosinistra ed il PD, è sempre la stessa: cosa vorranno privatizzare e liberalizzare questa volta?

Nell’era renziana è evidente che la prima risposta debba essere: i beni culturali del “Bel paese”. L’indecorosa bagarre scatenata a proposito dell’assemblea dei lavoratori del Colosseo  ne è l’ulteriore e definitiva dimostrazione.

Così come nel caso dell’assemblea sindacale di Pompei, ad agosto, anche quella dei lavoratori del Colosseo ha dato modo al ministro Franceschini e a Renzi di attaccare i diritti acquisiti dei lavoratori.

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A nulla valgono le comunicazioni regolarmente inoltrate, come per legge, almeno una settimana prima da parte dei sindacati, a nulla valgono i diritti dei lavoratori che reclamano il mancato pagamento degli straordinari da mesi e la cronica assenza di personale qualificato.

Il Colos­seo è aperto tutti i giorni, da marzo a otto­bre anche di notte, ma sof­fre della sempiterna man­canza di personale dovuta ai tagli che tutti i governi degli ultimi due decenni hanno perpetrato ai danni dei Beni Culturali italiani.

Il bilancio del Ministero dei Beni Culturali è passato dai 2,7 miliardi di euro del 2001 (lo 0,37 per cento del bilancio totale dello Stato) a 1,5 miliardi del 2015 (meno dello 0,2 del bilancio), mentre, tanto per fare un solo esempio, il finanziamento dell’omologo ministero francese è di 4 miliardi, quasi tre volte.

La Nazione che detiene la maggior quantità del mondo di siti tutelati dall’Unesco (49 su 981), 423 fra musei e monumenti statali, 4.000 musei e monumenti che dipendono da enti locali o privati e, anche, più di 50.000 beni archeologici e architettonici vincolati, spende molto meno di quasi tutti i paesi avanzati per i propri beni e per la cultura italiana.

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Vorrei ricordare anche che nella tanto invidiata Inghilterra, la Natio­nal Gal­lery di Lon­dra ha ser­rato le porte per ben 50 volte in un anno di fronte alla minac­cia di un pas­sag­gio in mani pri­vate di quel Museo e che l’anno scorso, nella sopracitata Francia, i lavo­ra­tori della Tour Eif­fel a Parigi hanno chiuso per ben tre giorni il monu­mento più visi­tato del paese senza che, in nessuno dei due casi, vi sia stata la vergognosa campagna di un governo di centrosinistra e dei media alla quale stiamo assistendo in Italia .

Così come è avvenuto per tutte le altre strutture ed infrastrutture dello Stato che nel corso degli ultimi due decenni, Prodi & co., si sono accaniti -dopo aver rinunciato a ristrutturarli o, addirittura, si sono adoperati affinché non funzionassero- a dimostrare che erano improduttive e non redditizie, anche per i Beni della cultura le élites (politiche, giornalistiche e finanziarie) stanno cercando di dimostrare che la nostra secolare organizzazione della tutela e della valorizzazione del patrimonio non solo non funziona, ma va cambiata e, naturalmente, sostituita con un largo utilizzo dei privati, all’inizio, e con un affidamento totale, poi, ai privati: grandi imprese e multinazionali che operano nel settore.  

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Dopo aver ristrutturato, pochi mesi or sono, il Ministero dei Beni Culturali e affidato a 20 direttori altrettanti Musei da valorizzare, come se  l’unico scopo e fine fosse quello della monetizzazione del nostro Patrimonio, da ieri sono state soppresse, con un decreto ministeriale, le Soprintendenze archeologiche e la direzione centrale per l’archeologia (quella con a capo Famiglietti che ha bocciato la ridicola ricerca del tesoro di Alarico, per capirci), e si è passati a Soprintendenze uniche.

Soprintendenze uniche che, forse, potevano avere un senso se fossero state l’obiettivo fin dall’inizio e non un aggiustamento fatto in corso d’opera e a costo zero. Esse si dovevano accompagnare a direzioni generali divise per funzione, e dovevano essere guidate a rotazione da funzionari dalla diversa competenza, e non affidate ai leggendari “managers” del patrimonio.

L’accorpamento delle tre tradizionali branche della tutela (Archeologia, Monumenti e Storia dell’Arte) in un unico ufficio periferico, ed in un’unica Direzione Generale centrale, altro non è che l’avvenuta supremazia della forma sulla sostanza.

A nessuno si può chiedere di essere esperto in più discipline diverse fra loro; e, di conseguenza, il responsabile dei nuovi uffici dovrà fidarsi di quanto gli viene sottoposto oppure fare di testa sua.

Nel primo caso si addossa responsabilità che non potrà valutare; nel secondo correrà il rischio di aberranti azioni. È prevedibile, quindi, che regnerà un plumbeo “silenzio-assenso” su tutto: così che sarà possibile avere mano libera nella trasformazione del territorio senza tener più conto di limitazioni e vincoli, come molti, a cominciare da alti livelli istituzionali, desiderano come si evince dal famigerato decreto “Sblocca Italia” che ripropone il berlusconiano silenzio-assenso di 60 o 90 giorni per concedere o no concedere licenze edilizie, permessi di ristrutturazione, scavi in prossimità di siti archeologici et cetera.

In Calabria, delle 39 di tutta Italia, ci saranno solo due Soprintendenze: la “Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Catanzaro, Cosenza e Crotone”, con sede a Cosenza, e la “Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia”, con sede a Reggio Calabria.

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Chi saranno i nuovi nominati, dal governo, salvifici “managers”? Saranno archeologi, architetti o storici dell’arte? E uno storico dell’arte sarà capace di decidere sulla orrenda ristrutturazione, tanto per dire, del Castello di Cosenza o sullo scavo di Sibari? 

Un’altra ragione di questo imbroglietto è quella di creare, dal nulla, posti dirigenziali per creare altri dieci musei e siti archeologici autonomi, da rimettere presto a bando internazionale: per avere altri dieci fedeli terminali del potere politico. Non è, forse, peggiorata la situazione del Museo di Reggio Calabria nel quale, dopo la nomina del nuovo super-direttore, Carmelo Malacrino, i visitatori, nonostante i 33 milioni di euro spesi per il restauro di Palazzo Piacentini, sono in forte calo?

Il fine ultimo di tutto questo iper-movimentismo di Franceschini è quello di portare a termine la distruzione dell’apparato della tutela e della valorizzazione da parte dello Stato, come, del resto, si dimostra in Calabria, a Scolacium, dove uno dei più importanti siti archeologici della Magna Grecia sta per essere chiuso al pubblico per mancanza di custodi.

In tutta la Calabria ci sono pochissimi archeologi, storici dell’arte e architetti a tutelare un ricchissimo territorio e invece di assumere personale qualificato e custodi fanno una riforma della riforma senza nuove assunzioni, se non quelle degli immancabili “managers”.

La riforma è tutta “fuffa” populistica e liberista. Stanno smantellando una delle poche cose che il mondo ci invidiava per avere la possibilità di dire che non funziona e sostituirla con i privati, come hanno già fatto per molte altre cose (ENI, ENEL, SIP, Poste…)

Per trovare una simile contrazione della tutela dei beni culturali si deve tornare alla legge del 1923, che istituiva Soprintendenze uniche: un assetto che dette pessimi risultati, e che fu radicalmente cambiato dalla legge del 1939. Legge fatta, dunque, durante il fascismo, ma che, ciononostante, era molto innovativa e  tutelava in maniera molto forte il nostro Patrimonio culturale. Con il centrosinistra, prima, e con Renzi, ora, siamo tornati addirittura alla sottomissione dei Soprintendenti ai prefetti, come nel 1860, grazie alla legge sulla Pubblica Amministrazione di quel genio del ministro Madia.

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Dicono che, in privato, Dario Franceschini accusi Renzi di voler distruggere le Soprintendenze e la tutela dei beni culturali (anche per motivi personali dovuti alla sua sindacatura fiorentina, quando un Soprintendente cercava di impedirgli di fare quel che gli piaceva con il Patrimonio della città, come nel caso di Ponte Vecchio in pratica ceduto gratuitamente alla Ferrari), e che lui, Franceschini, fa il possibile per resistere, e per salvare le une e l’altra. Naturalmente è vero solo che Renzi vuole distruggere il ruolo dello Stato nella tutela dei beni culturali e Franceschini lo asseconda: il poliziotto cattivo e quello buono.

Ecco cosa succede quando governa il PD: escono dalle gabbie (le leggi) gli “spiriti animali” del capitalismo liberista più sfrenato.

Iacchite’