Dopo aver letto gli articoli che il vostro sito ha scritto sulle morti sospette a Villa degli Oleandri e Villa Verde, mi sono incoraggiata a scrivere. Vi volevo far conoscere anche la mia esperienza. Non a queste due strutture ma bensì a quella di Belvedere Marittimo. L’ex clinica Tricarico che oggi si chiama Tirrenia Hospital e che gestisce sempre Giorgio Crispino con sua moglie Bruna Scornaienchi.
Tramite un nostro parente che lavora in quella clinica, abbiamo saputo che una intera ala della struttura è dedicata a stanze a pagamento. Loro dicono che il reparto è di riabilitazione, ma è solo una facciata il nome perché in realtà quello è un vero e proprio ospizio. Un posto nel quale le famiglie portano gli ammalati che non riescono più a gestire a casa, visto che i posti letto sono solo a pagamento ed i pazienti ricoverati sono per lo più in situazioni irreversibili. Altro che riabilitazione.
Mia mamma non riuscivamo più a gestirla a casa. Avevamo bisogno di un posto che le prestasse attenzione per tutte le ore del giorno, sapevamo che la situazione era difficile e questo nostro parente ci ha indirizzato verso la clinica. Abbiamo visitato il reparto con mia sorella e mio marito poi ci hanno fatto parlare con la responsabile amministrativa, bravissima e gentilissima, ed abbiamo stipulato il contratto di settanta euro a notte. Già da subito le cose mi sono sembrate molto strane: il ricovero di mamma a livello burocratico è stato fatto di mattina senza alcuna privacy. Ho dovuto dare tutti i miei dati con davanti a me altri impiegati ed altri infermieri che entravano e uscivano da questa sala aperta all’entrata della clinica, ho potuto ascoltare quello che dicevano e di fronte a me c’erano altri ricoverati nella mia stessa situazione: dati sensibili a disposizione dei passanti. E il Garante della privacy dov’è?
Andiamo avanti. Portiamo mamma in reparto nel pomeriggio. Voglio accompagnarla dentro per vedere se è tutto ok e mi viene chiesto per accedere dentro il reparto di fare il tampone del covid al costo di 10 euro. Nessun problema se è per la tutela degli ammalati all’interno del reparto. Chiedo se dovrò farlo per ogni giorno e mi viene risposto di no, che quel tampone andava bene per tre o quattro giorni… Vado su tutte le furie: ma che presa in giro è questa qui? Io tornerò a casa mia, andrò in giro al lavoro, farò le mie cose, incontrerò persone… che senso ha dover fare questo tampone? Mi viene il dubbio che si debba fare per guadagnare i 10 euro ma mi interessa solo di mia mamma, ho una rabbia che urlerei, ma pago il tampone, aspetto l’esito negativo ed entro in reparto.
Era tardo pomeriggio, entriamo dentro e quello che mi assale è una puzza di urina mista a qualcosa andato a male che si sente per tutto il lungo corridoio. Una puzza che mi fa venire la nausea e che ancora posso sentire nelle mie narici se ci penso. Nel reparto troviamo i parenti di un’altra signora ricoverata in riabilitazione che ci spiegano come funzionava. Durante i pasti non viene data nemmeno una bottiglia d’acqua ai ricoverati. E ancora una volta non so come ho fatto a trattenermi ma non volevo farmi vedere agitata da mamma.
Ti sto dando 70 euro al giorno e devo pensare a portare io l’acqua da casa per mia mamma? Ma dove siamo? Ciliegina sulla torta… i parenti di questa signora ci dicono che, durante le notti, nel reparto non ci sono né medici e né infermieri. Non c’è nessuno se non un autista dell’ambulanza! Un reparto con più di 10 ricoverati in condizioni gravi che di notte viene affidato ad un autista… E se capita un’emergenza al Pronto soccorso o nel reparto cosa succede? L’autista lascia soli gli ammalati del reparto di ‘riabilitazione’ per andare a chiamare qualcuno negli altri reparti?
E se invece deve uscire con l’ambulanza agli ammalati del reparto chi ci pensa? E’davvero troppo, sono tentata di portare via mamma la sera stessa ma resisto, passo la notte sveglia a pregare che non succeda nulla e la mattina dopo vado a Belvedere a riprendermi mamma. Parlo con una infermiera molto gentile e mi chiede come mai avevo deciso di andare già via dopo un solo giorno. Nel mentre di tutto questo vedo i soli due poveri oss in reparto che volavano da una stanza all’altra visto che era un concerto di campanelli.
La puzza di urina è identica alla sera prima e vedo cumuli di spazzatura in dei sacchetti posizionati a terra, dico all’infermiera che avevamo trovato una soluzione diversa a casa e lei insiste, dice che mamma si troverebbe sicuramente bene con loro… allora esplodo e mi sfogo con questa infermiera: ma come si fa a gestire cosi un reparto? La povera donna mi risponde che queste sono decisioni della direzione sanitaria e che loro non ci possono fare niente, mi fa capire che gli conviene stare tutti zitti se vogliono lavorare. Anche in questo caso mi metto nei suoi panni ed immagino il clima che anche i lavoratori sono costretti a vivere. E’ palese che 3 sole persone non possono gestire un reparto ed ammalati così complicati.
Chiamiamo di nuovo l’ambulanza privata con la quale avevamo portato mamma la sera prima e ce la riportiamo a casa. Scrivo un messaggio a Crispino dove provo a spiegargli la situazione, poi provo a chiamarlo ma non mi ha mai risposto ma in quel momento sinceramente non me ne fregava nulla. La mia priorità era scappare via il più lontano possibile da un posto così squallido, un lager per chiunque.
Mamma ha vissuto con noi tutta l’estate e poi è morta ad ottobre. Ma sono fiera che io e mia sorella, facendo enormi sacrifici, le abbiamo fatto vivere in famiglia e nell’amore i suoi ultimi mesi sulla faccia di questa terra… consapevole del rischio che abbiamo corso se fosse rimasta lì non me lo sarei mai perdonata. A chi invece specula così sulla salute delle persone, non dico nulla. Sono sicura che ci penserà la giustizia divina.
Scusate per gli errori ma ho scritto di fretta e con ancora quella rabbia che mi assale quando penso a questa storia. Sentitevi liberi di pubblicare se lo ritenete opportuno e grazie per questa battaglia che state portando avanti.
Lettera firmata