La storia di Rosita Terranova, una mamma che combatte per vite migliori

L’essere mamma di un bimbo gravemente disabile mi ha insegnato che agire in tempo é tutto. Aspettare che il tempo aggiusti le cose é un lusso che non ci possiamo permettere. Mi rendo conto che la mia vita e quella di mio figlio dipendono esclusivamente dalla politica ovvero, dalle scelte dei politici. Ad oggi devo purtroppo constatare che, per loro, garantire una buona qualità di vita ai disabili e a chi si prende cura di essi non è una priorità. Non é neppure argomento di campagne elettorali.

Queste le parole molto significative di una mamma che ogni giorno lotta perché vengano tutelati i diritti del proprio figlio disabile Antonio Maria. Si tratta di Rosita Terranova, fondatrice dell’Associazione Ro.M.A. (Rosita Mara Andrea, Rosita Mamma Antonio, Rosita Megalomane Assoluta o Rosita Mamma Audace), proprio perché con la sua tenacia e forza persegue un sogno: “regalare una vita migliore a chi è nato farfalla senza ali e per questo non ha mai potuto volare”. L’associazione è divenuta un punto di riferimento per tutti coloro che vivono, combattono e sperano accanto a chi soffre.

Le sue battaglie vanno avanti da anni e da anni puntualmente si ritrova a sbattare contro un muro, in una città la cui amministrazione, invece, si pronuncia tanto attenta e sensibile in tema di disabilità.

Il suo bambino “non parla – ha dichiarato mamma Rosita – non cammina, non vede bene, non sente bene, ha un fortissimo ritardo cognitivo e non è autonomo in nulla. Il suo meraviglioso corpo manda messaggi a ciò che rimane del suo cervello che, però, non vengono codificati. Non esiste cura per la sua patologia, la leucomalacia periventricolare cistica, si spera solo che le terapie riabilitative che fa possano aiutarlo a migliorare. La sua fortuna è che non capisce la gravità della sua condizione, la mia fortuna è sapere che forse non lo capirà mai”.

Vi raccontiamo la sua storia fatta di inganni, promesse, sorrisi di facciata e false speranze da parte di un’amministrazione che continua a sostenerne, invece, il contrario. Rosita lotta come mamma e come associazione, che poi s’identificano nella stessa cosa, la sua non è una vita comune, purtroppo l’amara realtà è questa, non la si può chiamare vita ma la speranza (e anche la nostra, motivo per il quale raccontiamo la sua storia) è che esista ancora un futuro per crearsela, un futuro diverso dalla quotidianità.

La società cosentina – ha dichiarato – esercita una violenza più grande di tutte: costringere una persona a vivere una ‘normalità’ che per natura non gli può appartenere. Per me non esiste uguaglianza, cioè per natura, per indole non possiamo essere tutti uguali, ma combatto affinchè a tutti venga data in egual misura la possibilità di vivere secondo la propria normalità.

Ma cosa significa normalità qui a Cosenza?La cultura – risponde – della maggior parte dei cittadini cosentini costringe le persone come noi a vivere un handicap costante, una disabilità continua. Cosenza come tutta la Calabria ha una cultura radicata di non rispetto e di non avere la volontà di prendere in considerazione la vita di queste persone.

Nella pratica di tutti i giorni, per mamma Rosita è come essere rincarcerata nella propria casa, perché la città (per quanto ne dica la nostra amministrazione) non permette di fare nulla:a partire dai marciapiedi, anche quelli rifatti, sono alti; per cui alzare una carrozzina per andarci sopra è faticoso, se poi deve alzarla la persona stessa che è sulla carrozzina è impossibile. Alcuni marciapiedi hanno la rampa non in prossimità delle strisce quindi non puoi avere neanche il lusso di attraversare da una parte all’altra, per accedere ad un altro marciapiede devi fare il giro. Gli autobus non sono previsti di pedana, così come anche i parcheggi, su viale Giacomo Mancini ad oggi non ci sono parcheggi per disabili. I vari amministratori del Comune di Cosenza si ostentano a dire che in tutti gli uffici pubblici della città non ci sono barriere architettoniche, non è così. Se pensiamo poi alla sede Asp, di altra competenza non comunale.. ci sono la maggior parte degli uffici Asp pieni di barriere architettoniche, tra cui la sede centrale, dove ci sono solo scale, non c’è ascensore. E parliamo della sede dove vi è l’ufficio del dirigente. Chi è sulla sedia a rotelle difficilmente potrà accedere agli uffici e non è neanche soluzione umana quella secondo cui sono i medici o un impiegato che scendono giù a parlare in strada perché la privacy non esiste in quel caso.

Qui non si tratta di una mamma frustrata, ma si parla di una cittadina come le altre che paga le tasse e non riceve i servizi che le sono dovuti per legge, anzi combatte per le cose più semplici.Ciò perché non c’è volontà di farlo, secondo molti non c’è un ritorno economico, il valore che si dà a queste persone è meramente economico. Nessuno investe o se lo fanno è per altri motivi. Il mondo della disabilità è un mondo parallelo, scomodo, da cui la maggior parte delle persone pensano non si può trarre profitto.

Mamma Rosita va avanti da sola, noi la sosteniamo e ci affianchiamo nella sua battaglia, con la speranza che prima o poi Cosenza non consideri più la disabilità come una vita di rinuncia (come lo è attualmente), negazione di ogni diritto o scelta, ma come una vita vera da vivere.

Valentina Mollica