(Giusy Franzese – lespresso.it) – Fa gola, perché con una platea di oltre un milione e duecentomila soci è un potenziale bacino di voti. Fa gola, perché con le sue entrate – e quelle delle partecipate – di centinaia di milioni all’anno potrebbe diventare un bancomat per i conti pubblici. Fa gola, perché controllando 11 società (e i relativi consigli di amministrazione) è un poltronificio dove sistemare gli amici, e gli amici degli amici. E i figli. Come il primogenito del presidente del Senato, Geronimo La Russa, che da tempo aspira a diventarne il presidente nazionale. Una poltrona che se ne porta dietro altre e che vale circa 800mila euro l’anno.
La prossima settimana scopriremo se il colpaccio è andato a segno. Il 9 luglio, infatti, ci saranno le elezioni per la presidenza dell’Aci, l’Automobile Club d’Italia. Due i candidati ufficiali: Geronimo La Russa e Giuseppina Fusco. Entrambi con esperienza nell’ente. Geronimo, avvocato, è presidente di Aci Milano, ha fatto parte del consiglio direttivo nazionale come vicepresidente della gestione di Angelo Sticchi Damiani, è vicepresidente di Sara assicurazioni (il gioiello della galassia Aci). Giuseppina Fusco, ex manager Eni, è presidente di Aci Roma, e fedelissima dell’ex presidente nazionale di cui è stata vicaria. Di lei si dice che sia competente ed esperta conoscitrice delle dinamiche interne dell’ente. Di lui si mormora di un caratterino non proprio docile e in molti sottolineano una scarsa empatia.
Chi vincerà? Il migliore, naturalmente. O forse no. Un cognome “pesante” può fare la differenza. E a volte è già di per sé una sorta di moral suasion. Di certo per potere spianare la strada al nuovo presidente – chiunque sarà – il governo ha rispolverato una norma (articolo 6 comma 2 della legge 14/1978) che ha comportato la decadenza di Sticchi Damiani, rieletto nell’ottobre 2024 con il 91 per cento dei consensi assembleari per il prossimo quadriennio. Sarebbe stato il suo quarto mandato. Sennonché il mese prima il governo aveva scritto all’Aci ricordando che per gli enti pubblici esiste un limite di tre mandati. Quindi l’elezione di Sticchi Damiani (che in base allo Statuto Aci deve essere confermata da un decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del Consiglio, d’intesa con il ministro vigilante che nel caso specifico è quello dello Sport) non si perfeziona. L’interessato inizia una guerra a colpi di carte bollate, si appella a un’altra norma che consente una deroga al limite dei tre mandati nel caso l’elezione avvenga con una maggioranza qualificata, fa quindi ricorso al Tar, ma perde. Nel frattempo il governo inserisce nel decreto di emergenza del 31 dicembre 2024 un’interpretazione della norma del ’78 in cui chiarisce che il limite dei mandati si applica anche agli enti pubblici aventi natura di federazione sportiva, qual è appunto l’Aci. Poi a febbraio scorso nomina un commissario straordinario. Sticchi Damiani non si dà per vinto, fa appello al Consiglio di Stato ma il 19 giugno scorso anche questo ricorso viene bocciato.
urante i 12 anni di gestione Sticchi Damiani (da marzo 2012) l’Aci è cresciuta. Il patrimonio netto è aumentato da 41 milioni a 251 milioni di euro. I bilanci hanno chiuso sempre con profitti (salvo l’anno del Covid, il 2020, che ha registrato una perdita di circa sette milioni di euro). Con gli utili maturati Aci ha consolidato la sua partecipazione di maggioranza in Sara Assicurazioni, acquistando il 15 per cento di azioni da Reale Mutua e il 5 per cento da Generali. Attualmente Aci detiene l’80 per cento delle azioni di Sara Assicurazioni. La stessa compagnia di assicurazione ha moltiplicato per cinque il suo valore di mercato: da 350 milioni a 1,8 miliardi di euro. Ovviamente anche il valore della partecipazione di Aci in Sara ha fatto un balzo: nel 2012 era circa 185 milioni, oggi è un miliardo e mezzo.
Insomma, risultati di tutto rispetto. Ma Sticchi Damiani, che pure è uomo vicino al centrodestra, stava iniziando a dare fastidio. Si era persino opposto alla norma, voluta dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti nella legge di bilancio 2025, che impone all’Aci un obolo annuo di 50 milioni di euro a favore delle casse dello Stato (art.1 comma 867 legge 207/2024 ). Una riluttanza poco gradita anche perché costituisce un brutto precedente per chi sta attenzionando alcune attività particolarmente redditizie dell’Aci. Come Sara assicurazioni (candidata a versare l’obolo di 50 milioni, di cui sopra). Oppure come la gestione del Pra, pubblico registro automobilistico, che il governo vorrebbe far passare sotto il cappello della Sogei, o della Motorizzazione Civile.
È in questo contesto che spunta il commissariamento dell’Aci: con il decreto del 21 febbraio 2025 il governo dichiara decaduto il presidente (e l’intero cda) e nomina come commissario straordinario il generale dei Carabinieri in congedo Tullio Del Sette. A fronte di “gravi motivi” può farlo. Sono motivazioni economiche? No. Il bilancio 2024 presenta in effetti una perdita di oltre 44 milioni di euro ma in seguito a due “eventi straordinari” peraltro avvenuti nel 2025, in particolare la chiusura sfavorevole di un vecchio contenzioso con la Regione Siciliana per la riscossione delle tasse automobilistiche (sentenza di febbraio 2025 della Corte di Appello di Palermo) e il rinnovo del contratto di lavoro per i dipendenti. «Senza tali eventi, l’esercizio avrebbe registrato un utile, anziché una perdita», si legge nella relazione di bilancio.
Resta però il braccio di ferro sul limite dei tre mandati consecutivi. Il predecessore di Sticchi Damiani, l’avvocato Rosario Alessi, di mandati ne ha fatti cinque e nessuno ha mai sollevato dubbi sulla legittimità delle sue elezioni. Ma i tempi cambiano, e anche i governi. E così a inizio marzo arriva il commissario straordinario il cui compito principale, oltre alla gestione ordinaria, è quello di traghettare l’ente verso nuove elezioni. Quelle del 9 luglio, appunto.
Al di là della condivisione del principio che pone un limite al numero dei mandati alla guida di un ente pubblico, in questa vicenda è forte la sensazione che il governo abbia voluto fare da regista per le nuove elezioni attraverso un “traghettatore” di fiducia. Non manca chi ricorda che il generale Del Sette conosce molto bene Ignazio La Russa, avendo collaborato con lui quando era ministro della Difesa ai tempi del governo Berlusconi IV (il generale era il capo dell’ufficio legislativo del ministero). Ma queste sono pure suggestioni. Intanto la gestione commissariale ha prodotto alcuni risultati di rilievo. Negativi, purtroppo. Tra questi spicca la perdita del gran premio di Formula Uno a Imola. Spetta all’Aci, infatti – in quanto federazione nazionale per lo sport automobilistico riconosciuta dal Coni e su delega della Fia (federazione internazionale dell’automobile) – promuovere e disciplinare le manifestazioni sportive del settore attraverso per esempio l’emanazione dei regolamenti e l’omologazione dei percorsi di gara con relativi investimenti. In questo ambito le gare del Gran Premio di Formula Uno di Monza e di Imola sono le manifestazioni più importanti.
Costano, con contributi pagati anche dalla collettività, a fronte di entrate dirette incassate quasi tutte dall’organizzazione internazionale. Ma, tra annessi e connessi, i ritorni economici per il territorio sono importanti, di circa 400 milioni di euro per Monza, e di oltre cento per Imola. E poi c’è il prestigio del Paese ospitante.
Dal prossimo anno, però, il circuito di Imola è fuori dalle gare della F1. Il contratto è scaduto quest’anno e non è stato rinnovato. Nel calendario ufficiale per il 2026 pubblicato a giugno dalla Fia, al posto di Imola c’è Madrid. La Spagna quindi conquista due appuntamenti (Montmeló e Madrid), all’Italia resta solo Monza. Eppure il presidente e ad della Formula Uno, Stefano Domenicali, in una lettera inviata a fine dicembre scorso a tre ministri (Sport, Trasporti, Economia) aveva avvertito che il cambio di interlocutore all’Aci poteva far saltare il rinnovo del contratto con Imola. «La realizzazione di un Gp di Formula Uno – si legge nella lettera – dipende soprattutto dall’accertata capacità del nostro contraente di realizzare tutte le attività progettuali, infrastrutturali, gestionali, organizzative, commerciali, legali nei tempi molto stringenti, discussi e definiti». Evidentemente, l’organizzazione ha preferito non rischiare. Il governo lo sapeva, ma non ha fatto nulla per evitare che accadesse. La vera posta in gioco, viene da pensare, è la poltrona di presidente dell’Aci. C’è da sperare, adesso, che non accada qualcosa di simile per il circuito di Monza. Il contratto scade nel 2031. Condizione necessaria è il rispetto dei piani di investimento previsti nel secondo programma di adeguamento infrastrutturale del circuito. Domenicali anche a questo proposito nella lettera del 30 dicembre scorso non nascondeva le sue preoccupazioni. Di certo per la patria del Cavallino rampante perdere anche Monza sarebbe una vera disfatta.