di Nicola Martino
Fonte: Il Meridio
La Federazione Metropolitana del cosiddetto Partito Democratico ha torto, Giuseppe Falcomatà ha torto.
Solitamente, quando due fazioni avverse si combattono sul campo è facile individuare quale delle due occupa la parte della ragione e quale quella del torto. Nella città del Nulla, però, anche questo assioma non poggia su alcun fondamento, essendo le vicende socio-amministrative reggine adagiate ormai da tempo sul terreno franoso della meschinità fine a sé stessa. Qualcuno, leggendo di “fazioni avverse” potrebbe anche immaginare si tratti di un refuso, di un errore o, nel migliore dei casi, di una provocazione. Nulla di tutto questo: cosiddetto Pd e sindaco di Reggio Calabria sono nemici acerrimi protagonisti di uno scontro che va avanti da anni, ma a cui nessuno intende porre fine, in un senso o nell’altro, perché poi a contare sono solo gli schifosi interessi personali di cui i due rivali sono meschini portatori. Il paradosso di questa situazione così umiliante per gli attori in campo è che, pur non centrando il bersaglio, leggendo le rispettive note diffuse in queste ore, la sostanza aderisce al vero.
La prima domanda da porsi, per meglio comprendere e comprenderci, è ben precisa: qualcuno saprebbe definire, con onestà, cosa sia il cosiddetto Pd reggino? Limitando la riflessione ai disgraziatissimi anni durante i quali Reggio Calabria è stata aggredita e bombardata dalle scarsezza qualitativa manifestata plasticamente dalle innumerevoli Giunte varate da Falcomatà, è possibile essere informati, di grazia, su una iniziativa, una proposta organica, un provvedimento strategico di cui il cosiddetto Partito Democratico si sia fatto latore a beneficio della città? Qualcosa per cui negli anni e nei decenni a seguire possa essere ricordato senza essere accompagnato da maledizioni?
Siccome la risposta, senza la benché minima ombra di dubbio, è un No categorico e rotondo, il cosiddetto Pd prende fiato e vita solo quando il sindaco lascia intendere siano stati sistemati sul tavolo incarichi ed assessorati, ruoli e deleghe. Finito il gioco delle distribuzioni, il cosiddetto Pd perde il dono della parola, come ha sempre fatto nel corso della nefasta stagione falcomatiana. Perché si fa presto a ripetere come pappagalli che “i partiti non esistono più, signora mia”, ma questa no è un’affermazione neutra: quale volete sia la conseguenza se non questa trasformazione in raffazzonati comitati elettorali che fungano da ring sui quali salire per contendersi una candidatura o un qualsiasi strapuntino garantisca di gestire consensi e prebende utili per ingrassare elettoralmente?
Quando un encefalogramma è piatto, come nel caso del cosiddetto Pd Metropolitano, è facile non accorgersi per undici anni che un “mio” sindaco” si sia distinto, da quel famigerato ottobre 2024, per “un uso personalistico del potere e un metodo politico invasivo”. Scoprirlo nel novembre 2025 non deporrebbe a favore di un quoziente intellettivo apprezzabile. In realtà, siccome è vero che il cosiddetto Pd aveva goduto di risvegli subitanei in altre circostanze simili, era capitato si lanciasse all’assalto del proprio sindaco, salvo battere in ritirata dopo un paio d’ore, giusto il tempo di mettere a posto il risiko degli assessorati. E pazienza se ancora i giornali non avevano ancora fatto in tempo a completare le analisi sulla schizofrenia di Falcomatà, come denunciato dal cosiddetto Pd. Il letargo poteva ricominciare fino alla prossima spartizione in cui, naturalmente, della disastrata Reggio Calabria, ultimissima per distacco in tutte le classifiche sulla qualità della vita, non fotteva niente a nessuno, a cominciare dai suoi cittadini scesi in piazza solo per farsi pubblicamente prendere per i fondelli dai medesimi figuranti persino sulle sorti di una squadra di calcio. Del resto ogni rappresentato si merita rappresentanti a sua immagine e somiglianza.
Non si può non notare che Falcomatà, nel dare ragione a sé stesso e alla sua decisione di sostituire assessori e azzerare CdA di società partecipate un attimo prima di accomiatarsi da Piazza Italia, in realtà legittima le critiche mossegli. Gli si imputa, infatti e per l’ennesima volta, di essersi comportato, sin dal momento del suo insediamento a Palazzo San Giorgio, come un monarca assoluto e lui, con candore risponde che mentre il Gruppo consiliare del cosiddetto PD scendeva da sei a quattro componenti, strafottendosene degli equilibri politici propri di una coalizione, ha modificato l’assetto della Giunta. Un Esecutivo comunale che non sarà da lui presieduta causa trasferimento, nel ruolo di “cavalier servente”, a Palazzo Campanella.
Ma lo stravolgimento interno a Palazzo San Giorgio, si vanta Falcomatà, ha fatto del cosiddetto Pd il padrone assoluto del poltronificio: sette assessori su dieci, comprendendo anche la new entry di Brunetti (dove lo metti sta, anche perché nemmeno sa dove lo mettono e nemmeno sa dove sta). Di conseguenza, cosa ha mai da lamentare il cosiddetto Pd? Ciò significa che se non fossero appartenenti a clan rivali, il cosiddetto Pd dovrebbe essere ben lieto di questa rancorosa voracità falcomatiana. A fare i diavoli a quattro, se solo non fossero appartenenti alla stessa razza di opportunisti pronti a svendersi per un piatto di lenticchie avariate, dovrebbero essere i presunti alleati che, con arroganza, il sindaco uscente ha messo in un angolo a raccogliere le briciole e gli avanzi sporchi del banchetto. Da ora in avanti, peraltro, non avendo nemmeno più l’alibi di dover tentare maldestramente di amministrare Reggio Calabria, Falcomatà si potrà dedicare in piena libertà a sparare ad alzo zero, da consigliere regionale di minoranza, contro la sua stessa parte politica e, a tempo perso e senza dare conto a nessuno, contro la Giunta Occhiuto. Un maestro della malapolitica fatta vendetta, un maestro della malapolitica fatta rancore: se non altro lui sarà ricordato per queste miserie e a queste miserie sarà per sempre legato.









