Cosenza. Le talpe del clan Lanzino all’interno dei carabinieri. Protagonisti, retroscena e l’omicidio Bergamini

Tra il 2011 e il 2013 a Cosenza all’interno della caserma di via Popilia del comando provinciale dei carabinieri si è sviluppata una vera e propria “faida” tra gli appartenenti all’Arma. Non ne ha dato notizia nessun media, ad eccezione di Cosenza Sport, la testata di riferimento di Iacchite’, che si è imbattuta in questa notizia “pesantissima” mentre stava lavorando d’inchiesta sull’omicidio di Denis Bergamini.

In questa storia sono coinvolti il comandante Francesco Ferace (recentemente scomparso), i capitani Vincenzo Franzese e Lando e sette carabinieri che avevano avuto il coraggio di denunciare le attività poco chiare di un loro collega.

Quattro di loro, i marescialli Roberto Redavid, Leonardo Citino, Fabio Lupo e Giacomo Greco (ci sono anche il brigadiere Salvatore Scorzo, il brigadiere Giacomo Giordano e l’appuntato Andrea Marano) stavano lavorando al caso Bergamini. Ma prima ancora avevano svolto delicate indagini sul latitante Ettore Lanzino. E questa storia ritorna d’attualità oggi in coincidenza con la morte del boss Lanzino ed è inevitabile riproporla. 

I sette carabinieri, al culmine di questa brutta vicenda, hanno deciso di denunciare i loro superiori ovvero Ferace, Franzese e Lando, perchè avevano le prove che un loro collega, il maresciallo Tommaso Cerza, aveva confidato ai familiari di Lanzino che la loro abitazione era piena di microspie mandando all’aria il piano per la sua cattura.

LE TALPE DEI CARABINIERI

Lupo, Redavid, Scorzo e Greco nel giugno 2010 sono stati incaricati di svolgere indagini riguardanti la ricerca di Ettore Lanzino. Lavorano a stretto contatto con la Dda di Catanzaro e sono arrivati ormai vicinissimi all’obiettivo dopo un lungo periodo nel quale le indagini erano rimaste pressochè ferme. Il magistrato che coordina il loro lavoro è proprio Pierpaolo Bruni, che condivide con loro ogni progresso delle indagini e condivide pienamente tutti i metodi usati dai carabinieri per stanare il latitante Lanzino. In particolare, Pierpaolo Bruni avalla completamente le tesi investigative e apprezza le innovative soluzioni tecniche adottate.

Pierpaolo Bruni
Pierpaolo Bruni
“Ciononostante, a fine aprile 2011 – si legge negli atti depositati presso la procura della Repubblica di Cosenza – il colonnello Francesco Ferace, comandante provinciale dei carabinieri di Cosenza, ha disposto personalmente (e senza alcun raccordo o intesa con il pm Bruni, titolare delle indagini) la creazione di un’altra squadra di militari che si occupasse ugualmente della ricerca di latitanti con modalità investigative di tipo “tradizionale” consistenti nel contatto con le fonti confidenziali. A capo di questa squadra Ferace ha collocato il maresciallo Tommaso Cerza, che faceva già parte della squadra sotto le direttive della Dda di Catanzaro e che ovviamente conosceva tutte le attività captative disposte dall’autorità giudiziaria e ancora in corso di esecuzione per la ricerca del latitante nonchè le soluzioni tecniche adottate dai colleghi e i preziosi risultati conseguiti”.

Il 13 maggio 2011 i principali soggetti interessati dalle indagini hanno “scoperto”, guarda caso a sole due settimane dalla creazione della parallela squadra di ricerca, le più importanti “soluzioni tecniche” di pedinamento avviate nei loro confronti, il che determinava un primo forte decadimento dell’attività investigativa.

Ferace e Franzese
Ferace e Franzese

Il 17 maggio i contenuti di alcuni successivi brani di intercettazioni ambientali ascoltati e successivamente trascritti da Fabio Lupo, dal luogotenente De Cello, dal maresciallo Redavid, dal brigadiere Scorzo e dall’appuntato Greco, hanno messo in evidenza, con dovizia di particolari, un ulteriore gravissimo episodio.

“… Un carabiniere, e segnatamente quello che il colonnello Ferace aveva messo a capo della sua squadra di ricerca ovvero il maresciallo Tommaso Cerza – si legge ancora negli atti – avrebbe fatto conoscere al contesto familiare del ricercato Ettore Lanzino l’esistenza e la precisa ubicazione di microspie all’interno della loro abitazione, che sono state quindi rimosse dagli indagati vanificando interamente la totalità dell’indagine”.

La gravità dell’evento scoperto ha obbligato i quattro sottoscrittori della trascrizione ad informare tempestivamente la scala gerarchica. Il comandante della squadra, il capitano Lando, ha proceduto all’ascolto delle intercettazioni insieme al colonnello Franzese e i due ufficiali hanno confermato la correttezza dei sospetti identificando anche loro nel maresciallo Cerza il delatore.

Il boss Lanzino
Il boss Lanzino

La linea gerarchica, però, in maniera ingiustificata non ha informato l’autorità giudiziaria dell’accaduto se non due giorni dopo. Non essendo assolutamente comprensibile il perchè, il maresciallo Redavid ha ribadito al capitano Lando il dovere e non solo l’opportunità di informare temperstivamente il pm. Solo a seguito di tale insistenza, al luogotenente De Cello veniva poi riferito che il pm era stato finalmente ragguagliato.

Nel frattempo, i carabinieri provvedono a realizzare un cd da inviare alla sezione fonica del Racis di Roma per un accurato filtraggio e guadagnare tempo. Ma trovano una brutta sorpresa: Franzese affida ad altri militari l’ascolto del documento. Eppure, anche questi altri militari confermano in pieno i sospetti sul maresciallo Cerza.

“… Contrariamente a ciò che la logica e il senso di giustizia imporrebbero per instaurare le condizioni ambientali necessarie a garantire la ricerca della verità e il corretto accertamento dei gravi fatti rilevati, nessun tipo di provvedimento, anche solo di tipo cautelativo, veniva adottato dalla scala gerarchica nei confronti del militare sospettato, che invece continuava a capeggiare la squadra di ricerca latitanti creata dal colonnello Ferace, avendo altresì libero accesso alla sala intercettazioni e potendo consultare nottetempo e in ogni momento le pratiche dell’indagine tecnica…”.

Il 13 giugno i quattro carabinieri che avevano trascritto le intercettazioni scrivono un’annotazione di polizia giudiziaria basata sui verbali di trascrizione effettuati all’interno della quale, tra l’altro, scrivono:

Ferace
Ferace
“… In definitiva, l’atteggiamento assunto dagli ufficiali Ferace, Franzese e Lando ha palesato, in considerazione della pluralità delle condotte omissive tenute, la concorsuale intenzione di celare o sminuire i gravissimi fatti ravvisati…”.

Anche perchè, nonostante la presenza di un atto ufficiale, non è stato ancora preso nessun provvedimento nei confronti del militare delatore ovvero la “talpa” del latitante all’interno dell’Arma dei carabinieri di Cosenza.

LE RITORSIONI

Di contro, a sole due settimane dal deposito dell’annotazione di polizia giudiziaria, tutti i militari che l’hanno firmata, ad eccezione di De Cello, sono stati artatamente allontanati dal Nucleo Investigativo. Le omissioni e gli abusi da parte del colonnello Ferace, del colonnello Franzese e del capitano Lando, sono talmente evidenti che sono stati acuiti dall’inevitabile intervento legale da parte dei carabinieri allontanati.

Non appena i militari si sono rivolti ad un avvocato per patrocinare e tutelare i loro diritti e per ripristinare un ordine violato, il colonnello Ferace ha ripreso a vessare i protagonisti di questa incredibile vicenda. Sono stati sufficienti gli atti stragiudiziali rimessi dall’avvocato Sabrina Apollinaro ad indurre il comandante provinciale a pronunciare frasi ingiuriose e minacciose cercando di forzare la volontà dei militari, addirittura istigandoli a commettere un reato ai danni del loro difensore al fine di neutralizzare l’intervento legale promosso.

Mario Occhiuto e Dario Granieri
Mario Occhiuto e Dario Granieri

Sabrina Apollinaro è dirigente nazionale e presidente regionale dell’Unac e ha provato a dire, invero senza successo, al colonnello Ferace la gravità dei suoi atteggiamenti. Ha anche parlato con il procuratore della Repubblica di Cosenza, Dario Granieri… il quale, a parole, le ha assicurato un intervento presso il Csm che non c’è mai stato.

Il 29 settembre 2011 i carabinieri trasferiti sono stati richiamati dal comando provinciale e fatti ritornare agli identici servizi precedenti al trasferimento. Poche ore dopo, tuttavia, hanno presentato formale denuncia alla procura della Repubblica di Cosenza nei confronti di Ferace, Franzese e Lando e improvvisamente sono stati definiti “incompatibili” con le attività di ricerca (si fa per dire…) del latitante Lanzino.

Quattro mesi dopo (gennaio 2012) Redavid, Citino, Lupo e Greco sono stati destinati al caso Bergamini. Ma intanto si metteva in moto la consueta, gioiosa “macchina da guerra” della procura di Cosenza, che puntualmente archiviava tutto. E così, nel mese di ottobre del 2012, i carabinieri vengono nuovamente trasferiti. Dopo qualche mese (finalmente!!!) i carabinieri arrestano Ettore Lanzino, che se ne stava tranquillamente in un appartamento a… Rende.

Ma la verità, anche se con ritardo, viene (quasi) sempre a galla. Il 30 aprile 2014 il Consiglio di Stato ha dato ragione al maresciallo Roberto Redavid, accogliendo il suo ricorso contro l’illegittimo trasferimento. E a catena sono arrivati anche gli altri giudizi a favore dei carabinieri: Citino, Lupo, Greco e tutti gli altri.

E’ doveroso ricordare che pendeva ancora, all’epoca, davanti al Tribunale di Cosenza, una denuncia per diffamazione contro Cosenza Sport presentata (e che ve lo diciamo a fare?) da Ferace, Franzese e Lando. Ma il Tribunale di Cosenza, come tutti sanno, non è un luogo di giustizia, al limite – ma è proprio un complimento – solo un porto delle nebbie. Ora la Cassazione – grazie al certosino lavoro dell’avvocato Nicola Mondelli – ha annullato la sentenza di condanna (8 mesi di reclusione!!!) del Tribunale di Cosenza e della Corte d’Appello, rinviando il processo ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro. A futura memoria. Sempre. (g. c.)