Lecchini, staccate quelle lingue (di Marco Travaglio)

(Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – Il momento del distacco è sempre traumatico. Specie per la lingua del lecchino incollata alle terga del leccato. Tantopiù se il lecchino programma la lingua per anni di leccaggio e poi è costretto a troncare bruscamente l’attività: è il celebre anilingus interruptus. Massima solidarietà dunque ai leccaDraghi che non riescono a smettere. E, mentre i Migliori salutano con l’ultima boiata (a 5 giorni dal voto, non sappiamo ancora gli eletti perché al Viminale hanno perso il pallottoliere), lo candidano ai ruoli più improbabili, pur di allontanare l’amaro calice. Breve riepilogo.

Tenutario di una fantomatica Agenda omonima, smentita da lui stesso. Proprietario a vita di Palazzo Chigi per usucapione, a prescindere dall’esito elettorale, che però premia i suoi avversari. “Capo del centrosinistra” (Riformista 22.7), che purtroppo non lo sapeva e schierava Letta. Capofila di un’“area Draghi contro l’area Putin” (Renzi dixit), due aree sconosciute anche nel comparto edilizio. Leader di un “movimento presente nel Paese che ora dobbiamo trascinare” per volontà di Ceccanti, che poi non trascina neppure se stesso e viene trombato.

Premier investito da Calenda di un “Draghi-bis a maggioranza Ursula con FdI e Lega senza 5Stelle” (decisivi per eleggere Ursula, mentre FdI e Lega votarono contro), anzi “senza FdI, Lega e M5S” (ma soprattutto senza numeri).

Titolare di “un ruolo dopo il 25” per espresso desiderio di Letta, che però non avrà un ruolo dopo il 25. Globetrotter che “vola negli Usa a rassicurare gli investitori” e “l’Onu su Lega e FdI” (Stampa, 5.8 e 18.9). Protagonista di un “asse invisibile con Meloni” (Stampa, 2.9). Autore di un testamento che lascia a Letta “l’eredità di Draghi” (Letta dixit), mai trovato come l’agenda. Nuovo Fregoli che si traveste da Daniele Franco, anzi “SuperFranco” che va “confermato” al Tesoro; oppure da Colao, che “Letta prova ad arruolare come erede di Draghi” (Foglio, 13 e 17.9).

“Garante della continuità dell’Italia agli occhi del mondo” (Stampa, 20.9). “Regista della transizione” (Rep, 29.9), che poi è ciò che fanno tutti i premier scaduti prima di sloggiare. Firmatario di un “patto Meloni-Draghi” per farle da “garante” e portare all’Ue il verbo della leader (muta, o afona, o semplicemente timida): “Kiev e conti pubblici, Meloni starà ai patti” (Rep, 28.9), smentito dall’interessato con toni seccati: “Non ho stretto alcun patto né preso alcun impegno a garantire alcunché”. Monito piuttosto netto, che rivela un certo fastidio del premier verso i suoi cortigiani. E ricorda quello altrettanto liberatorio rivolto al casinò di Montecarlo dal Megadirettore Clamoroso Duca Conte Pier Carlo ing. Semenzara al rag. Ugo Fantozzi: “E la smetta di toccarmi il culo!”.