Cari colleghi,
Vi ringrazio per le espressioni che mi riguardano. Quanto al resto, mi proclamo colpevole anch’io di una leggerezza imperdonabile: non si deve permettere a nessuno di intascare il valore del nostro lavoro senza averne ricevuto il corrispettivo in denaro che appartiene a chi lavora e che non può parcheggiarsi nei portafogli altrui.
Non esigere di essere pagati sempre e puntualmente equivale a giustificare (rendere giusto) il taccheggio, il taglieggio e il borseggio, arti che peraltro richiedono un minimo di coraggio e di rischio mentre chi vi deruba intascando ciò che vi appartiene banchetterà con i vostri soldi ma lo farà deridendovi e disprezzandovi.
Questa condiscendenza non ha provocato alcuna gratitudine e meno che mai rispetto, ma al contrario ha fatto salire le azioni dell’arroganza e dell’impunità di fronte alle regole della convivenza civile.
Lì, ho imparato, comincia la cultura dell’anti-Stato e del malaffare.
Il vostro comunicato esprime malessere e io solidarizzo col vostro disagio. Ma trovo che, in buona fede, abbiate mancato di coraggio non per difendere me, ma per difendere voi stessi.
Spero che sappiate d’ora in poi imboccare la via del valore e dell’intransigenza, che include il rischio e la sconfitta.
Mi ha un po’ sorpreso la noncuranza con cui i colleghi giornalisti di altre testate che hanno voluto esprimermi sdegno e solidarietà abbiano poi preferito tacere. E mi ha stupito, ma anche fatto sorridere, la gara a complimentarsi con il millantato vincitore.
Non sono mai stato un moralista ma soltanto un uomo morale in privato.
Come si dice in inglese “I’m not judjemental” non mi trasformo in giudice, non mi strappo le vesti, non inveisco, non disprezzo.
Ma vi invito a trarre lezione da quel che (vi) è accaduto. Il mestiere di giornalista, questo sbandierato e super retorico “professionismo”, è fatto di una e una sola qualità etica: il coraggio.
Il coraggio di non pubblicare un comunicato dell’autorità senza sfidarlo andando oltre. Il coraggio di non urlare ma cercare silenziosamente le prove. Il coraggio di non sbracciarsi ai convegni, ma agire diventando una spina nel culo di qualsiasi potere perché questo è il nostro mestiere.
Io non porgo l’altra guancia e se è vero che c’è chi onora la natura guardando all’alba il volo degli uccelli, io la onoro sedendomi sulla riva del fiume alla maniera cinese.
Quando nel 1938 le democrazie occidentali cedettero al ricatto di Hitler, il futuro primo ministro inglese Winston Churchill commentò: “Per salvare la pace hanno sacrificato l’onore e avranno sia la guerra che il disonore”.
Pensare di salvare il posto di lavoro sacrificando il diritto alla retribuzione significa perdere sia il lavoro che l’onore.
Essere professionisti non equivale a gridarlo ma occorre camminare a schiena dritta e mento alto, tenendo in mano – come suggeriva il presidente Teddy Roosevelt – un nodoso bastone. Dignità e intransigenza, senza urlare e senza piegarsi. Questa la lezione che penso di poter trasmettere: io non mi sono piegato mai e mi trovo in ottima compagnia con me stesso. E anche con tanti di voi che in queste ore mi hanno inviato messaggi di alta dignità – specialmente le donne – e di speranza di tornare a lavorare insieme a testa alta. Senza tollerare soprusi, saremo di nuovo giornalisti insieme. È una promessa.
Un forte abbraccio dal vostro direttore
Paolo Guzzanti
tratta da scasciumeu
http://scasciumeu.blogspot.it/2017/04/cronachelle-di-una-morte-annunciata.html