Lettere a Iacchite’: “Cassano, il voto smaschera tutti: una lezione di dignità popolare”

CASSANO, IL VOTO SMASCHERA TUTTI

C’è un momento in cui ogni storia politica si ferma e si guarda allo specchio. A Cassano, quel momento è arrivato con queste elezioni. E lo specchio, stavolta, non ha restituito sorrisi di circostanza o foto ritoccate, ma facce stanche, strategie scoperte, ambizioni bocciate. Le urne hanno parlato, e lo hanno fatto con brutalità: chi ha seminato apparenza ha raccolto indifferenza, chi ha costruito castelli di consenso o su dinamiche familiari ha visto tutto sgretolarsi sotto il peso della realtà.

Qualcuno ha pensato che bastasse mettersi in lista per sentirsi già eletto, o che i video giornalieri su Facebook come resoconto delle cose fatte, fossero sufficienti a costruirsi credibilità. Ma la gente, stavolta, ha voluto vedere chi c’era davvero dietro le parole, e ha punito chi ha sottovalutato l’intelligenza dell’elettorato.

C’è poi il caso clamoroso della lista costruita, nemmeno troppo velatamente, per spingere un cognome già noto: quella lista è stata una macchina elettorale al servizio di un solo nome. Un’operazione chirurgica: tante donne candidate, tutte a raccogliere voti per uno solo, il figlio di Papasso. Il risultato? Lui primo eletto, le altre dietro. La lista “amore per Cassano” andava nominata “amore per la continuità di potere”, travestita da spirito civico. Certo, i voti a Papasso (ed alla Fasanella, visto che viaggiavano quasi insieme) sono arrivati, ma molti meno di quanto si aspettassero. Le manovre sono state scoperte, la spinta non ha funzionato come previsto. Il messaggio è chiaro: la gente non si fa più usare.

E a proposito di Papasso, c’è un errore strategico che ha segnato questa campagna: la gestione della comunicazione. La Gaudiano, di fatto, è sembrata più una presentatrice che una candidata. A parlare nei comizi era sempre e solo Papasso. Lei sul palco, sì, ma come cornice. La candidata silenziata nella sua stessa corsa: una campagna elettorale condotta come se fosse un’appendice del passato, non una proposta per il futuro. E così, inevitabilmente, ha perso. Perché la gente ha visto, ha sentito e ha capito.

Non meno grottesca è stata la mossa di chi ha provato a camuffarsi dietro liste civiche, sperando che il simbolo di partito restasse in secondo piano. Il travestimento, però, ha retto poco. L’elettore ha riconosciuto il gioco, ha annusato la finta autonomia e ha deciso di voltare pagina. Anche figure storiche, oggi arrancano. Segno che la pazienza è finita.

Ma il caso più paradossale resta quello di Mimmo Lione. Una figura che ha già amministrato le Terme di Cassano, che oggi guida un altro impianto termale nella provincia di Reggio Calabria, e che si è presentato agli elettori con un curriculum pieno. Ma c’è un problema: i voti. Perché se hai avuto incarichi di prestigio e hai fatto bene, la gente ti premia. Se invece ti ritrovi con risultati marginali, significa che non hai lasciato traccia, che il tuo lavoro – agli occhi della comunità – non vale quanto pensavi. È la prima volta che in Italia un amministratore attivo di un impianto termale si presenta al voto… e viene ignorato. E questo qualcosa vorrà pur dire.

E davvero Papasso pensava di vincere le elezioni con Lione, lo stesso Lione che nel 2012 si era candidato a sindaco proprio contro di lui? Come pensava che i cittadini potessero credere in un’alleanza del genere? Dall’avversità al matrimonio di convenienza: il trasformismo che si spaccia per strategia. Ma la gente vede, ricorda e – soprattutto – non perdona.

A nulla sono servite nemmeno le candidature di chi, avendo ricevuto incarichi e favori, doveva “ripagare” con la stessa moneta: il voto. A nulla sono servite le accoppiate costruite a tavolino per far eleggere persone vicine al sistema. Il meccanismo si è inceppato, la logica dello scambio è stata rifiutata. Il popolo ha rigettato l’idea che tutto sia dovuto, che tutto sia controllabile.

A nulla è servito che le vincitrici dei concorsi si siano candidate in prima persona o abbiano spinto i nipoti a buttarsi nella mischia: la popolazione, con grande lucidità, ha restituito il favore… punendole alle urne. E poi c’è chi, dopo aver fatto il salto della quaglia con l’agilità di un acrobata da circo, ora tenta di rifarsi una dignità come se bastasse una mano di vernice fresca per coprire le crepe. Si ripresenta con disinvoltura, pronto a presentare il nuovo sindaco, dimenticando, o fingendo di dimenticare,  da che parte stava ieri rispolverando la sua figura dell’altro ieri.

Ma non manca un altro caso. Sette anni di potere, visibilità, incarichi strategici. Vicesindaco, assessore al bilancio, uomo di governo e riferimento del Partito Democratico sul territorio. Antonino Mungo ha avuto tutto: il tempo, i ruoli, le leve. Eppure alla resa dei conti, quella vera, davanti agli elettori gli resta in mano una manciata di voti. Poco più di cento. Nemmeno il minimo sindacale. Un crollo verticale, che ha il sapore amaro della bocciatura definitiva.

Non basta sventolare l’etichetta di “uomo di esperienza” né affidarsi all’ultimo minuto a qualche analisi improvvisata o comparsa sul territorio. Il responso è stato netto, sonoro, quasi imbarazzante. E arriva proprio da quella popolazione che avrebbe dovuto conoscerlo, riconoscerlo, premiarlo. Invece, lo ha ignorato.

E qui sta il vero paradosso: di solito chi governa, chi gestisce il potere — parte da una posizione di vantaggio. Mungo, invece, parte… e arriva in fondo. Ultimo. Come se tutti quei titoli, quelle deleghe, quei bilanci discussi e ridiscussi fossero evaporati davanti all’unica cosa che conta: la fiducia popolare.

Questa tornata elettorale non ha solo sancito vincitori e vinti, ha fatto qualcosa di più: ha scoperchiato le dinamiche, ha tolto il trucco ai meccanismi di potere, ha ridato voce a una cittadinanza che, finalmente, ha voluto scegliere con la testa e con la pancia.

Cassano, il primo paese delle zona ad essere consegnato al centrodestra. Perché alla fine, raccogli ciò che semini. E chi ha seminato arroganza, esclusione e dispetti, sperando che i cassanesi – come se nulla fosse – gli riconsegnassero le chiavi del Comune, ha ricevuto in cambio ciò che meritava: una lezione di dignità popolare. I veri artefici della sconfitta non sono stati gli avversari politici, ma proprio coloro che, accecati dalla presunzione, hanno creduto che bastasse il rancore per ottenere il consenso. Cassano ha scelto di guardare avanti. E lo ha fatto da sola, senza padroni e senza burattinai.

Lettera firmata