Lettere a Iacchite’: “Cosenza, egregio presidente le racconto come hanno lasciato morire mio padre”

Buongiorno,

non so bene come funziona ma io e la mia famiglia abbiamo scritto una lettera aperta in cui si racconta l’inciviltà che subisce, ovviamente con le dovute eccezioni, un paziente ricoverato all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza… ci piacerebbe che chi ne ha la competenza ne avesse la consapevolezza…
E per questo se possibile a voi, dare voce alla nostra storia. Le lascio qui il nostro racconto.

Egregio signor presidente Roberto Occhiuto,
vi voglio raccontare una storia, realmente accaduta pochi giorni fa, che ha lasciato la mia famiglia con mille dubbi e con tanti se e con la certezza che qui nella nostra amata terra qualcosa non funziona.

C’era mio padre, un onesto lavoratore, marito e padre amorevole di ben 9 figli, nonno di 22 nipoti nonché bisnonno di 6 piccoli pronipoti. Il suo stato di salute era buono per la sua età, non prendeva medicine nonostante i suoi 89 anni, giusto qualche acciacco dovuto agli anni e ai normali inceppi di una vita vissuta insieme alla sua amata famiglia.

Succede che il 30 dicembre purtroppo cade e subito i suoi figli allertano il 118 che lo trasporta all’Ospedale di Cosenza. Lo stesso giorno che lei ha fatto visita al nostro Ospedale ed ha potuto constatare coi suoi occhi le difficoltà del nostro sistema sanitario e sicuramente anche l’impegno di chi onestamente fa il suo lavoro.

A tratti lo abbiamo intuito anche noi eh, ma senza continuità. L’onestà e l’integrità di pochi non possono nulla contro la disonestà, e l’inciviltà dei tanti ma mi fermo qui per non svelarle l’amaro finale. Sin dall’inizio abbiamo intuito che non sarebbe stato semplice ottenere notizie, chiamate su chiamate per poi arrivare alla sera e venire a conoscenza che era stato ricoverato nel reparto di Ortopedia per una frattura scomposta del femore sinistro, e che successivamente gli era stata necessaria una trasfusione perché anemico.

Questa è stata l’UNICA comunicazione ufficiale del reparto dopodiché il silenzio. Ma noi essendo un grande famiglia, abbiamo insistito: telefonate su telefonate, sono certa di aver assillato i centralinisti che ringrazio per la pazienza. Delle volte siamo stati fortunati e siamo stati aggiornati sul suo stato di salute ottenendo poche informazioni, anche non precise, ma ci siamo fidati e accontentati. Ci dicevano: ci sono state altre trasfusioni, sarà operato l’8, forse il 10. NESSUNA COMUNICAZIONE UFFICIALE. NESSUN REFERTO inviato al mio numero.

Ci tengo a dire che siamo a conoscenza della situazione pandemica e che capiamo perfettamente che non sia semplice gestire il tutto, e che il reparto proprio in quei giorni sia stato chiuso per Covid ma voglio sia chiaro che i disagi di chi sceglie di fare il medico, abbiano dei corrispettivi nei malati e in noi familiari che aspettiamo invano notizie.

Il 10 gennaio riesco con non poca fatica e piantonandomi alla porta di Ortopedia (con green pass e tampone grazie alla riapertura del reparto) a parlare con un dottore al quale chiedo informazioni su mio padre rivelandomi che è stato operato quella mattina, proprio da lui. L’intervento è andato a buon fine, riesco a vederlo se pur solo per 5 minuti e la sua premura era sapere come stava mia madre, a breve capirà il perché.

Ancora silenzio da parte loro per alcuni giorni. Riprendono le chiamate e finalmente rispondono e sono IO che chiedo se e quando ci saranno le dimissioni. Il paziente è stabile, i valori sono nella norma è pronto per essere dimesso. È necessaria una struttura per la riabilitazione, e serve un’ambulanza per il trasporto. Così mi dicono. NESSUN REFERTO. Ci si attiva per fare il tutto al meglio e così il 14 gennaio ripasso in reparto e mi confermano che tutto procede per il meglio, mi fanno vedere su un monitor gli esami svolti a mio padre giorno 13 che confermano lo stato di salute in miglioramento, e anche l’esito negativo del tampone. Il giorno seguente viene dimesso. Parliamo del come. È stato dimesso NUDO, ricordo il giorno e il mese, 15 gennaio alle ore 10. Ah gli anni pure, 89.

Una copertina a coprirlo. Ci tengo a sottolineare che io stessa mi sono premurata nel corso dei giorni di degenza a portare più volte tutto il necessario per restare in maniera decorosa e al caldo all’interno delle camere ospedaliere. E panni sporchi e puliti insieme frettolosamente imbustati e in seguito gettati sull’ambulanza lo confermavano. Arriva così mio padre, a Villa Torano. Noi increduli, lui confuso, stanco, abbattuto dai giorni trascorsi da solo, e un video testimonia queste mie parole. Come se non bastasse, il medico della struttura rileva che era stato mandato in condizioni igieniche disastrose e con la gamba sottoposta ad intervento gonfia. Ora noi non siamo medici, sul foglio c’è scritto che l’ospedale non aveva specificato nulla riguardo la sua gamba a parte la normale riabilitazione e noi abbiamo supposto fosse normale tale gonfiore.

La struttura nonostante il tampone negativo decide di isolare mio padre nuovamente, suppongo come previsto da un protocollo. Ancora da solo, ancora noi tutti lontani e impotenti. Perché se non si fosse ancora capito lui è sempre stato con sua moglie, i figli e i nipoti al suo fianco. Ma c’è una pandemia è dobbiamo accettarlo il distacco. Lo abbiamo ripetuto molte volte a mia madre, tra noi figli e ai nipoti. Ancora silenzio per 2 giorni nella struttura atta alla riabilitazione. Finché la mattina del 17 alle ore 6.00 mio padre ha un abbassamento repentino di pressione, e il telefono squilla. Si corre in struttura, si cerca di capire, ma l’unica soluzione è portarlo al pronto soccorso ma è evidente che la situazione è grave. Ci viene riferito a Villa Torano che le condizioni già all’ingresso erano critiche. Forse c’è un’infezione in corso? Ci dicono. Perché non dirlo subito? Perché l’ospedale ha effettuato le dimissioni così presto? Ci chiedono. E perché noi non abbiamo referti che ci dicano nei giorni che trattamenti ha subito, se ci siano state complicazioni o se erano necessarie cure specifiche post-intervento?

Domande che pongo anche a lei, perché sinceramente io e i miei fratelli non abbiamo saputo rispondere quella mattina ma nemmeno tuttora perché nessuno si è premurato di chiarirci la situazione.

Ma ritorniamo al racconto… Arrivato al pronto soccorso hanno fatto il possibile, così ci hanno detto. E noi ci fidiamo del loro impegno e della loro buona volontà. Ma non è stato possibile salvarlo. Così un marito, un padre, un nonno ci lascia. Da solo senza il conforto di tutta la sua famiglia. Non è stato l’unico, penserà e lo so bene, e fa male succeda così tante volte e non si possa impedire che accada.

Non parlo del nostro dolore, ma devo porle altre domande. Penso abbia capito l’attaccamento che noi tutti avevamo per lui e che tale affetto era reciproco. Mio padre era sposato da 66 anni con mia madre, un amore fatto di sacrifici e di gioie. La fede matrimoniale, simbolo della loro unione, era sacra per lui non se ne separava mai. Infatti, al suo ricovero la possedeva, la portava con orgoglio. Peccato che dal suo ricovero, le rammento giorno 30 dicembre, ora non si trovi più. Sparita, introvabile. Preciso che ci è già successo.

Come le raccontavo, il giorno prima del ricovero di mio padre anche mia madre è stata ricoverata nel reparto di Chirurgia d’Urgenza e anche a lei sono stati sottratti alcuni beni personali. Reparti diversi ma con lo stesso dono nel far scomparire oggetti a quanto pare. E per quanto riguarda le dimissioni di mia madre anche esse sono discutibili e nuovamente INDECOROSE. Anche lei è stata accompagnata fuori con una vestaglia e nulla più pur avendo il necessario o meglio parte di esso, perché alcune cose ribadisco sono scomparse. Ma una fede, si può arrivare a tanto? Ho da sottolinearle una nota positiva in merito al reparto di Chirurgia d’Urgenza, proprio a testimoniare il lavoro dei giusti, ogni terapia, cura effettuata su mia madre ci è stata comunicata via telefono e alle sue dimissioni ci hanno rilasciato tutto il necessario per il trattamento post ricovero e domiciliare. ATTENDO delle RISPOSTE, anche la fede chissà a lei riesca il suo recupero. Sa mia madre ci terrebbe ad averla con sé.

La qui presente testimonianza vuole aprirle gli occhi su alcune problematiche che i pazienti e le famiglie affrontano quotidianamente una volta che si interfacciano con l’Azienda Ospedaliera di Cosenza. Io le faccio i miei migliori auguri per il lavoro che svolge e svolgerà e condivido e apprezzo la sua voglia di far voltare pagina alla nostra Calabria. Per farlo, secondo il mio parere, ascolti sì la voce dei medici, ma soprattutto chi vive da degente situazioni spesso disastrose di mala sanità e che normalmente non ha voce in capitolo, specie come nel mio caso perché non può più farlo. Sono certa mio padre ne avrebbe raccontato delle belle, col suo caratteristico umorismo e ci avrebbe strappato una risata ma fatto anche riflettere sull’INCIVILTA’ subita perché bloccato a letto e SOLO.

Chiedo, anzi tutti noi chiediamo solo CIVILTA’, RISPETTO, DIGNITA’ e CURE adeguate per tutti, dai più piccoli sino a chi ha più anni e acciacchi sulle spalle. Sono una calabrese che crede ancora nei miracoli e spero lei non deluda le mie aspettative. Ovviamente allego i documenti che mi hanno rilasciato ambedue i reparti così anche lei potrà fare un raffronto.
In fede

L’intera famiglia D’Alessandro