Lettere a Iacchite’: “Cosenza, l’Annunziata è un buco nero”

Buchi Neri

Un anno fa il mio amatissimo nonno è stato cancellato dal buco nero dell’Annunziata uno dei tanti nella nostra Calabria. Recita Wikipedia un buco nero per le sue caratteristiche “non è osservabile direttamente. La sua presenza si rivela solo indirettamente mediante i suoi effetti sullo spazio circostante..”. Così è per il nostro ospedale un non luogo di cui troppo spesso osserviamo solo le conseguenze dolorose sulla nostra pelle.
Nonno è entrato in quell’ospedale e non è uscito vivo. Ci è entrato da solo, ci è morto da solo e come le peggiori delle profezie la sua più grande paura si è realizzata: morire da solo in un ospedale.
Dentro di noi, figli e nipoti, si è instillato il peggiore dei sensi di colpa: forse dovevamo tenerlo a casa, forse dovevamo dare voce all’indicibile sospensione di ogni diritto di cui è stato protagonista.

Perché – è vero – c’era il COVID che come un colpo di grazia si era abbattuto su quella disgrazia che è la sanità calabrese, ma forse non era proprio normale che ci è stata preclusa ogni possibilità di parlare con nonno, di essere informati sulle sue condizioni, nessuno ci rispondeva al telefono e per avere sapere qualcosa alla fine anche noi siamo caduti nella terribile spirale del chiedere ad amici di amici che conoscevano un’ infermiera o quel medico che alla fine poco o niente sapevano su nonno. Dal buco nero una sola telefonata quella che ci informa che nonno era morto. Noi tutti increduli perché prima di quel momento nessuno ci aveva comunicato la gravità della situazione. Il mio non era solo il dolore naturale di una nipote, c’era il senso di vuoto lasciato da quel buco nero dell’ospedale Annunziata di Cosenza che aveva cancellato ogni diritto, ogni dignità. E nella testa echeggiavano quei racconti del paese che ho sentito e risentito tante volte nella mia vita in cui il diritto alla cura al massimo era il piacere che qualcuno ti concedeva e soprattutto se anziano e senza amici di amici non c’era scampo. Perché in fondo se sei vecchio sei sacrificabile, l’Annunziata e soprattutto alcuni dei suoi reparti vantavano un bel curriculum in questo senso.

Dopo quasi un anno, ora all’Annunziata c’è nonna e noi tutti abbiamo fatto finta di non pensare.. quasi rimosso le circostanze in cui nonno è morto.
Qualcosa è cambiato: ora al telefono qualcuno risponde. Devi farlo squillare un bel po’ nella giornata, ma alla fine qualcuno dietro alla cornetta c’è. Nella statistica delle telefonate abbiamo avuto la fortuna di incrociare solo una ‘scortese’ (così la definitiva mia zia) che ci ha attaccato il telefono in faccia perché aveva da fare. Comunque siamo stati informati che all’Annunziata non si fa come nella maggior parte degli altri ospedali d’Italia, dove con green pass e tampone di controllo un familiare può entrare, ma per qualsiasi cosa puoi chiamare e puoi consegnare indumenti e altre cose il martedì e il venerdì in guardiola.
Mia zia e mia sorella si sono munite di borsone e telefonino con la speranza di consegnarli a nonna e sentire la sua voce. Si sono mosse all’orario che ci hanno detto in reparto e alle 14 erano alla guardiola dell’ospedale in attesa che qualcuno recuperasse le cose di nonna. Ma sono state risucchiate ancora una volta nel buco nero dell’inefficienza, della sospensione di ogni buon senso e di ogni diritto, in quei non luoghi dove tutto è lasciato al caso o all’animo delle persone.

Mia zia e mia sorella sono state là fino alle 19, con quella granitica convinzione che loro dovevano fare avere le cose a nonna. Nessuno è sceso dal reparto e di fronte alle sollecitazioni della povera guardia giurata che si trova a fare da tramite la risposta è stata che non potevano e di aspettare. Un’attesa Vana perché chi doveva nel suo orario di lavoro svolgere il compito di prendere quelle cose non l’ha fatto. Il borsone e il telefono sono arrivati a nonna solo grazie alla pietas della guardia giurata che finito il turno si è offerto di portarli lui in reparto. Domani nonna la operano e negli ultimi messaggi che ci siamo scambiati su wapp il pensiero comune di grandi e piccini è stato quello di affidarci alla preghiera, un miracolo è più probabile. Mentre scrivo piango le lacrime amare di chi sa che ci vuole la rabbia e la voce ma alla fine pare mancarci la forza di credere che le cose possano cambiare e ci limitiamo a sussurrare nella speranza di un svegliarci un mattino e di ritrovarci una meravigliosa costellazione al posto di quell’orrendo buco nero che è l’ospedale di Cosenza.

Lettera firmata