Egregio Direttore,
ho deciso di rendere pubblico ciò che mi è accaduto per evitare che altri pazienti subiscano quanto ho dovuto affrontare io, a causa di incompetenza, scarsa professionalità e totale mancanza di umanità. Mi chiamo Francesco Pezzulli e sono un paziente dializzato. Dopo un lungo ricovero all’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza, al momento delle dimissioni, mi è stato assegnato il Centro Dialisi dell’Ospedale di Rogliano per proseguire il trattamento tre giorni alla settimana.
Fin dal primo giorno, ho capito che frequentare quel centro non sarebbe stato semplice. L’ambiente si presentava sporco e igienicamente trascurato. Un dettaglio, purtroppo, eloquente: le lenzuola dei lettini non venivano cambiate al termine di ogni seduta. Più volte sono stato costretto a sdraiarmi su lenzuola sporche di sangue del paziente precedente, senza che il personale medico mostrasse alcuna preoccupazione, nonostante le mie ripetute segnalazioni. In un contesto normale, non ci sarebbe nemmeno bisogno di sottolineare l’importanza dell’igiene, soprattutto in un centro dialisi dove il rischio di infezioni è altissimo. Ma non a Rogliano. Qui il personale medico si limita ad accendere e spegnere le macchine, ignorando i rischi legati alla scarsa igiene. Del paziente, al centro Dialisi di Rogliano, ho capito subito, poco importa.
Inizio le sedute e qualcosa subito va storto. Faccio presente alla dottoressa Angela Mordocco, responsabile del servizio, che la ferita dove è innestata la cannula per la dialisi si era allargata e questo mi creava problemi. Così la dottoressa ordina all’infermiere di applicare un punto di sutura per chiudere la ferita. Passa qualche giorno e nessuno del personale medico, nonostante le mie insistenze, si preoccupa di controllare lo stato della ferita. Anzi, alle mie sollecitazioni, la dottoressa mi risponde che non c’era bisogno di rimuovere il punto di sutura e che non dovevo preoccuparmi. Dopo alcune sedute, inizio ad avvertire forti brividi di freddo che si trasformano in intensi stati febbrili. Le mie condizioni si aggravano, dopo ogni seduta, sempre di più, e tutto sotto gli occhi del personale medico, che nulla fa per porre rimedio. Non si preoccupano di niente. Le mie lamentele non le ascolta nessuno. I pazienti sono abbandonati a se stessi. Così mi trovo costretto, nei giorni a seguire, ad affrontare il viaggio da Cosenza a Rogliano con 40 di febbre. Ogni seduta diventa un calvario.
Le mie condizioni fisiche e cliniche sono gravi, ma la dottoressa, nonostante constati il perdurare dello stato febbrile, continua a non fare niente. Non si preoccupa di capire il perché del perdurare della febbre. Chiedo alla dottoressa di sottopormi a qualche esame per capire la causa della febbre alta che perdurava da settimane, e chiedo anche un elettrocardiogramma perché avvertivo forti dolori al petto, ma mi rifiuta ogni tipo di cura e assistenza. Continua a dire che va tutto bene. Non si preoccupa di niente, nonostante abbia accertato le miei gravi condizioni fisiche. Continua ad attaccarmi alla macchina, senza porsi il benché minimo problema. La mia sofferenza non la sfiora nemmeno. Alla sua scarsa professionalità si aggiunge anche la totale mancanza di umanità. Passano le sedute e le mie condizioni peggiorano, senza che questo desti preoccupazione al personale medico. Fino a quando, una mattina, al posto della dottoressa, si presenta un nuovo medico. Colgo l’occasione e gli faccio presente che sono settimane che ho la febbre che oscilla tra 39 e 40. Il medico mi dà un’occhiata e, subito dopo, emette la sua diagnosi: urge ricovero per un avanzato stato di infezione.
Senza che nessuno si preoccupi di chiamare un’ambulanza, mi reco al Pronto Soccorso di Cosenza accompagnato dai miei familiari, con in mano la diagnosi del medico di Rogliano. Vengo subito ricoverato e sottoposto a vari esami che certificano che è in atto una diffusa infezione partita dalla cannula della dialisi applicata al petto. La scarsa igiene e il non aver curato la ferita hanno fatto partire un’infezione che si è propagata per tutto il corpo. Da allora sono ricoverato all’ospedale di Cosenza, dove ho già subito tre interventi per sistemare in un’altra parte del corpo la cannula. L’infezione, che per negligenza della dottoressa si è radicata, non accenna ad andare via. Ho rischiato seriamente di morire per setticemia. E questo perché nessuno in quel posto ha fatto il proprio dovere.
Il Centro Dialisi di Rogliano, per come è gestito e per come vengono trattati i pazienti, andrebbe chiuso subito.
Egregio Direttore, il mio obiettivo non è solo denunciare un caso personale, ma richiamare l’attenzione su una gestione sanitaria che non dovrebbe essere tollerata in un paese civile. La vita di un paziente non può essere messa a repentaglio per sciatteria e incompetenza. La mia esperienza deve servire da monito, affinché nessun altro sia costretto a subire lo stesso calvario.
Francesco Pezzulli









