Limido, le due “marce” su Cosenza e quella risata che “seppellisce” amici e nemici

Gabriele Limido

La notizia della morte di Gabriele Limido ha rattristato la città di Cosenza. Non per qualità politiche che non aveva, rappresentando la patetica categoria del post fascismo, ma per una carica umana che in fondo gli riconoscevano tutti, anche gli avversari, e che gli consentiva alla fine persino un accenno – a dire la verità spesso non riuscito e involontariamente comico – di ironia. Mi era capitato di intervistarlo più volte a Cam Teletre gestione Cataldo Fernandez alla fine degli anni Novanta e all’inizio dei Duemila e pur polemizzando a volte anche aspramente, alla fine ci ritrovavamo a ridere perché in ogni caso lui combatteva contro un gigante che non avrebbe mai potuto neanche scalfire: Giacomo Mancini. Limido successivamente aveva lasciato Cosenza ma la sua figura era ritornata ancora di grande attualità circa dodici anni fa.

Nell’autunno dei 2011, dopo che la destra aveva conquistato sia la Regione che la città di Cosenza (con il contributo decisivo della massomafia), Peppe Scopelliti e tutta la destra calabrese organizzarono una “marcia” e una grande manifestazione (con concerto finale) a Cosenza. Un articolo dell’epoca di Michele Giacomantonio spiega alla perfezione quale voleva essere il suo significato e, a più di dieci anni di distanza, chiarisce anche come si passa dalle stelle alle stalle. 

“La marcia su Cosenza che la destra sta organizzando con cura maniacale è molte cose assieme. E’ l’affermazione trionfale di una vittoria ancora recente alle regionali, è il simbolo del controllo quasi completo del territorio, dopo aver espugnato Cosenza la “rossa”, è una estensione del modello Reggio, fatto di esaltazioni e feste, sempre utili a mimetizzare debiti nascosti – quelli del comune di Reggio – e successi mancati alla Regione. Ma a ben guardare è anche una sorta di rivincita. Si guardi il percorso scelto, da piazza Bilotti, una volta piazza Fera, fino a palazzo dei Bruzi. Lo stesso che tentò di compiere, in parte deriso, Gabriele Limido quando al comune sedeva Giacomo Mancini.

Erano gli anni in cui la destra il potere e le poltrone li aveva già conosciuti, era stata al governo del Paese e della Regione, ma Cosenza restava una cosa diversa. Limido era un consigliere regionale del Lazio, fedelissimo di Fini, catapultato in Calabria per certe sue antiche origini da queste parti, mandato a governare la riottosa federazione cosentina. Pensò di ricompattare i colonnelli di qui attorno a una battaglia anti manciniana, destinata a sconfitta certa e un giorno organizzò una manifestazione, subito richiamata, con scarsa fantasia e dubbio gusto, “una marcia sul comune”. Giacomo Mancini, che era sindaco della città, non se lo filò per nulla e con una alzata di spalle fece sapere che i post fascisti “il comune l’avrebbero potuto guardare con il cannocchiale”.

Era un modo per dire che, almeno fino a quando c’era lui, la destra a palazzo dei Bruzi non ci sarebbe nemmeno andata vicino. Ma significava pure che materialmente la manifestazione si sarebbe dovuta fermare parecchio lontana dalla casa comunale. E così fu: il percorso accordato al corteo rimase vincolato dall’allora piazza Fera a metà corso Mazzini, giusto in vista del municipio. E lì Limido, credendo di fare dell’ironia, diede corpo alla maledizione manciniana. Giunto in vista del comune, stando in testa alla marcia, si fece passare un binocolo e scrutò, come un generale davanti alle sue truppe, il palazzo cui mai sarebbe giunto…”. 

Giacomantonio aggiungeva, all’epoca, quindi già 12 anni fa, che.. “di Limido non sappiamo più molto, se non che successivamente passò con i duri e puri di Storace, ma se qualcuno gli facesse sapere che quella figura un poco buffa sarà presto vendicata, ne sarebbe contento…”. 

Oggi questa frase diventa in qualche modo beffarda.

La marcia su Cosenza a ben guardare era una manovra tipica del modello Scopelliti, fatto di eventi di distrazione di massa, spesso assai costosi, ma così efficaci. Scegliere Cosenza per la celebrazione del trionfo scopellitiano voleva dire regalare la ribalta e le prime pagine alla città e alla provincia che non solo avevano avuto di meno, ma che addirittura erano state ampiamente impoverite dalle politiche regionali. Della serie: vi chiudiamo gli ospedali, riduciamo i posti letto, tentiamo di sottrarvi il denaro per l’edilizia sociale, dirottiamo altrove i fondi, ma qui veniamo a fare una bella festa.

Alla fine la festa l’hanno fatta a lui… E siamo sicuri che se avessimo commentato insieme a Limido l’esito finale del modello Reggio ci saremmo fatti una bella risata amara. Una risata che avrebbe “seppellito” idealmente tutti, amici e nemici. Ciao Limido, che la terra ti sia lieve. (g. c.)