di Saverio Di Giorno
Siamo stati nelle piazze, nelle stazioni, in giro. Ed abbiamo chiesto anche un commento ad un testimone d’eccezione. Avevamo scritto che sarebbe diventato un autunno caldo, adesso rischia di essere un nuovo 2001. Un nuovo movimento globale. Ma senza Diaz, senza infiltrati. Ecco perché in questo racconto dall’interno, anzi dall’esterno, dalle piazze, dai porti e dalle stazioni.
Roma. Apre la porta dicendo: “Mi ricordo che l’ultima volta ci siamo visti in Calabria”, è così inizia – con un mi ricordo – questo gioco di memoria con Ugo Foà è stato testimone delle leggi del nazifascismo e dice: “Netanyahu andrebbe processato, per vari crimini. Non condivido ovviamente la politica del governo di Israele”. Ebreo, famiglia napoletana, era un ragazzo quando nel ’38 d’improvviso non è potuto più andare a scuola e non usa troppi giri di parole. E sul dibattito intorno alla parola genocidio dice di condividere le parole di Grossmann che ne ha condiviso recentemente l’uso. Mentre dice queste parole nella sua casa a Roma, intorno, nelle piazze sono in agitazione, la stazione di Roma Termini è occupata. E così cade l’ultima scusa, l’accusa di antisemitismo, rifugio usato da chi vuole nascondere l’inadeguatezza del governo complice. Così cade: con un mi ricordo.
Qui i video dalle piazze, l’intervista e il racconto completo – https://youtu.be/mIBpyRJq62c
Intanto le chat e i gruppi da whatsapp a Telegram sono un continuo ribollire da quel 22 settembre 2025. È un continuo stato di allerta, tutti pronti a scendere ancora in piazza. Così l’altra sera quando mancavano poche ore all’attracco è circolato il messaggio: tutti alla stazione. E poi: tutti al porto. Ormai basta questo perché con poco preavviso in migliaia e poi subito in decine di migliaia si riescono a riunire ovunque. Sono un appuntamento. Un contarsi e non riuscirci tanti sono i numeri. Raramente le sigle sindacali e i gruppi più militanti trovano un accordo e un patto per rendere il fronte più largo possibile. E poi le chiamate collettive, assemblee pubbliche e in ognuna in contatto con quello che fanno i portuali, e poi le videochiamate dalle barche e dai movimenti europei.
Mentre tutto questo succede e le immagini scorrono sugli schermi dei telefoni e le chat si rincorrono di aggiornamenti. Si segue la Flotilla, scorrono le parole di Foà: “Eravamo nella lista ed è stato solo per puro caso, per le quattro giornate di Napoli che ci siamo salvati”. Alcuni cittadini si sono salvati per un sollevamento popolare. C’è da rifletterci. E poi ricorda i vuoti, la fame, le persecuzioni. Sarebbe forse troppo facile il parallelismo tra la fame di Gaza e la fame dei ghetti. Tra le scuole e i bambini strappati e la sua esperienza di bambini che non può più frequentare la scuola e si dispera. Li descrive come tempi di fame, di fughe e di mancanze. Ancora un “io ricordo”.
E qui la mente si ferma perché sarebbe facile come è sempre facile fare parallelismi storici che poi sono fallaci, che non si dovrebbero mai fare. Contravveniamo al divieto di parallelismo, perché stavolta sembra facile forse perché è facile. È facile perché lo dice il diritto internazionale, le organizzazioni non governative, l’ONU, le decine di testimonianze della carestia provocata, dei continui bombardamenti. L’impossibilità di pescare addirittura, dato il blocco navale illegale forzato dalla Flottilla. La bandiera bianca alzata dalla Croce Rossa, caso unico! che dice è impossibile continuare. L’impossibilità di far entrare aiuti a Gaza e il controllo che vieta di far entrare biscotti o miele perché nulla di troppo calorico o che porti il sorriso deve entrare.
Qui le immagini – https://youtu.be/mIBpyRJq62c
Mentre Foà parla viene in mente che Auschwitz è nella memoria fondativa di questo continente. Dall’abbattimento di quei cancelli è nata l’esigenza di creare qualcosa che potesse garantire un “mai più”. Perché quello che hanno pagato gli ebrei e altri 4 milioni di vittime, come ricorda Foà, diventi memoria collettiva. Il loro sacrificio ha fatto nascere un termine – genocidio – e soprattutto le relative conseguenze penali, come strumento, come monito per riconoscerlo altrove, per dare asilo ad altre vittime e dargli strumento in più.
Quelle piazze onorano la memoria. Fanno quello che con la memoria bisognerebbe fare: usarla. Dire: io ricordo. E oramai succede. Da settimane. Da quando è divenuto chiaro che la questione Palestina era uscita dai circoli, dai presidi e dai militanti di lunga data. Da quando anche gli elettori di questo governo dicono sommessamente, senza farsi troppo sentire, che l’atteggiamento di servilismo per finanziare un genocidio non è corretto. Anche perché qualcuno se la ricorda – a proposito di memoria – la Meloni di Azione Giovani nel 2009 che sosteneva la causa palestinese e denunciava i crimini di Netanhyau (ben prima del 7 ottobre). La ricordano la Meloni del 2015 quando era la “sinistra” di Renzi che si inchinava a Israele e Meloni chiedeva il riconoscimento della Palestina, mentre ora lo nega.
È lo stesso Foà che, deluso, dice ancora un io ricordo: “Ricordo la nascita dello Stato d’Israele e la speranza di noi ragazzi. Abbiamo sperato in una classe dirigente capace di convivere. Quando qualcuno ci ha provato è stato ammazzato dall’estremismo israeliano, un colono (si riferisce a Rabin nda). È andata di male in peggio”. È ancora volta la sua memoria che va molto più indietro dell’incancrenito e stracitato 7 ottobre e lui arriva agli anni ’70 a quando dice ancora; “ricordo quando manifestavamo contro l’imperialismo degli USA in Vietnam”.
Forse è questo il vero parallelismo, quello che riguarda il capitalismo e i suoi guardiani. Quello che ha bisogno di olio nei porti, treni carichi e fabbriche in produzione e sta soffrendo i blocchi. Già il mese scorso si scriveva che sarà l’inizio di un autunno caldo, che la Palestina aveva unito le istanze degli sfruttati che non ci stavano ad essere sfruttati per finanziare l’omicidio di altri più sfruttati. Un autunno caldo è quello che arriva e non solo per le piazze, ma soprattutto perché il governo non cerca di capire, anzi: dileggia, insulta, precetta. Non solo autunno caldo.
Anzi occorre che al governo ci pensino. Conviene davvero arroventare così tanto i ferri? Dove porta? Ecco, al ministro dei trasporti e degli interni che dicono che saranno identificati, che ci saranno conseguenze penali, surriscaldando il clima. Saremo in piazza, sui binari, ai moli. Avete la firma mentre gli appuntamenti sono pubblici. Ma una domanda: potete farlo per migliaia di persone? No, perché, non sono più i soli drappelli di militanti facili da isolare e identificare. Siete stati abituati a questo, ma non è più così.
Rischia di essere un nuovo 2001, una nuova Genova. Ancora una volta il mondo dal basso si organizza, spontaneamente. Imprevedibilmente. Ma stavolta ha imparato. Non ci sarà un’altra Diaz.









