Luigi Ciotti: “La liberazione di Brusca è una vittoria dello Stato”

Per il direttore editoriale de lavialibera, fondatore di Libera e Gruppo Abele, il dolore e il risentimento dei familiari per la liberazione di Giovanni Brusca è perfettamente comprensibile. Ma per lo Stato la giustizia non può essere vendetta e “bisogna credere nel cambiamento delle persone”

“Lo stato d’animo dei famigliari delle vittime di mafia è comprensibile e legittimo. La maggior parte di loro attende ancora verità e giustizia”, riguardo alla liberazione di Giovanni Brusca “concordo con il Procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, quando dice che l’uscita dal carcere di Brusca non è una sconfitta ma una vittoria dello Stato”. Con queste parole Luigi Ciotti, rispondendo a un’intervista di Vittoria Prisciandaro su Famiglia Cristiana, ha commentato la liberazione del killer di Cosa nostra, poi collaboratore di giustizia. Ciotti, facendo riferimento alla sua esperienza personale, aggiunge “bisogna credere nel cambiamento delle persone, nella capacità di riscattarsi dal male, il male subito ma anche il male compiuto”.

Perché la liberazione di Brusca non è uno scandalo
Ciotti elenca alcuni elementi da tenere presenti:

1) “Dalla scelta di collaborare di Brusca lo Stato ha tratto innegabili vantaggi, come è stato riconosciuto da figure importanti della stessa magistratura. La sua confessione ha infatti permesso una grande quantità di arresti e un netto indebolimento della Cosa nostra stragista dei “Corleonesi”.

2) “Decidendo di collaborare Brusca sapeva bene a cosa andava incontro, conoscendo dall’interno l’organizzazione criminale di cui svelava i segreti. Andava incontro a una condanna a morte perché la mafia non perdona chi tradisce, a maggior ragione se il “traditore” è stato una figura non secondaria dell’ organizzazione”.

3) “La legislazione sui “pentiti” e “collaboratori di giustizia” è stata voluta fortemente da Giovanni Falcone. Certo si è trattata di un’extrema ratio, ma si è rivelata efficace con la mafia così come si era rivelata efficace con il terrorismo politico. La giurisprudenza deve misurarsi a volte con vicende storiche che richiedono nuovi parametri perché ci pongono di fronte a mali che non possono essere combattuti con strumenti ordinari.

4) “Concordo con il Procuratore nazionale antimafia Cafiero de Raho quando dice che l’uscita dal carcere di Brusca non è una sconfitta ma una vittoria dello Stato. Lo Stato deve dimostrare una levatura morale superiore a quella dei suoi avversari o attentatori, e questa superiorità si dimostra anche attraverso una giustizia che non sia vendetta, che garantisca da una parte una giusta pena, dall’ altro uno spiraglio di speranza per chi sconta la pena e dimostra nei fatti di essere cambiato, di stare dalla parte della giustizia. Del resto si tratta di un principio sancito dall’articolo 27 della Costituzione laddove si parla di pene che devono tendere alla “rieducazione” del condannato”.

Nessuno è irrecuperabile
Luigi Ciotti fa poi riferimento alla sua esperienza personale: “Bisogna credere nel cambiamento delle persone, nella capacità di riscattarsi dal male, il male subito ma anche il male compiuto. In 56 anni d’ impegno sociale ho visti percorsi di cambiamento e di conversione. Nessuno è irrecuperabile. Certo bisogna richiamare alle responsabilità e stimolare crisi di coscienza, delineando al contempo le opportunità offerte da un cambiamento radicale di vita non solo in termini di vantaggi materiali ma di libertà interiore, possibilità di vivere una vita più libera perché più giusta e più vera. Certo non è facile, e proprio nel mondo delle mafie le conversioni si contano sulle dita di una mano. Ma credo che si debba tentare. Mi auguro che Brusca si sia incamminato in questo cammino di ricerca di verità, non solo sui delitti di Cosa Nostra, ma sul suo esserne stato complice ed esecutore”.
Alla domanda sulla sensibilità della comunità ecclesiale su questi temi e sulla sua evoluzione, Ciotti elenca una serie di tappe importanti, dalle parole di don Luigi Sturzo nel 1900 a quelle di Giovanni Paolo II nel 1993, finendo con le parole di Papa Francesco nell’omelia della Santa Messa celebrata il 21 giugno 2014 alla Piana di Sibari in Calabria, “quando definì la mafia “adorazione del male” e dunque i mafiosi “scomunicati”, non in comunione con Dio”. Cita anche, come “molto importanti”, “il documento della Conferenza episcopale calabra, Per una nuova evangelizzazione della pietà popolare”, il documento dei Vescovi della Capitanata sulla mafia foggiana, Giustizia per la nostra terra, e il documento contro il fenomeno della camorra dei vescovi della Conferenza episcopale della Campania: Per amore del mio popolo non tacerò (1982), la lettera dei vescovi di Sicilia a 25 anni dall’appello di San Giovanni Paolo II: Convertitevi!
Non solo tappe positive però, perché “permangono eccessi di prudenza, rigidità, zone d’ombra”. Resiste “l’idea che si possa essere cristiani senza un impegno per la giustizia sociale né un forte senso delle responsabilità civili dà luogo, in certi casi, a inquietanti forme di indulgenza – e perfino di copertura – verso forme di religiosità del tutto strumentali, come quelle esibite da alcuni esponenti delle cosche mafiose. Ecco allora la necessità, per la Chiesa, di continuare a saldare con forza il Cielo e la Terra, la dimensione spirituale con l’ impegno sociale e, pur nella specificità del proprio ruolo, di far sentire la sua voce contro le mafie e tutte le forme di “mafiosità” – corruzione, egoismo, indifferenza – che spianano la strada al potere delle organizzazioni criminali”. Con un augurio finale: “Auspico che nell’annunciato Sinodo della Chiesa Italiana vengano affrontati anche i temi legati a mafie e corruzione”.

Tratto da: lavialibera.libera.it