di Erasmo D’Angelis
Fonte: Greenreport
Siamo primi nel mondo in una specialità non sportiva e poco invidiabile: l’annuncio della costruzione del Ponte sullo Stretto. Non un ponte qualsiasi, ma il “nuovo miracolo italiano” che si riproduce puntualmente quasi in ogni legislatura. Ma, dopo l’ultima débâcle del 2013 quando sotto l’austerity del governo Monti tutto finì in liquidazione e con perdite miliardarie, oggi con in vista la “bollinatura” del CIPESS, il “Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile” convocato d’urgenza, ripartirà l’ennesima corsa verso la miracolosa progettazione esecutiva e l’apertura del primo cantiere della fanta-opera. Palazzo Chigi sta per dare l’ultimo annuncio dell’ultimo via libera all’epico passaggio tra Scilla e Cariddi, il sogno leggendario fin dai tempi antichi poi entrato con schizzi e progetti e calcoli nei faldoni dei governi della storia patria dal 1866, anno del primo esecutivo del Regno d’Italia guidato dal generale Alfonso Lamarmora.
A sentire i nuovi sponsor dell’immaginifico Ponte sullo Stretto, sarebbe quindi tutto a posto e tutto pronto per un nuovo giro del mondo del più scivoloso progetto italiano. E Greenreport vi racconterà, nelle puntate che seguiranno, la lunghissima storia del Ponte fin dalla notte dei tempi di 2254 anni fa, dai tentativi nel passato remoto alle strambe vicende del secolo scorso con false partenze e fallimenti a ripetizione, la serie degli stop and go tra spacconate, progettoni, finti cantieri e ritirate strategiche.
Cercheremo di capire come e perché il Ponte riemerge sempre come se fosse un’Idra, il serpente mitologico greco-romano dalle molte teste che rinascevano anche se mozzate. Perché viene così testardamente riproposto dopo essere sempre stato affondato per mancanza di fondi o per l’impossibilità tecnica di realizzarlo su terre e fondali tra i più sismici del pianeta, per rovinose cadute dei governi proponenti o per guerre in corso o a causa di terrificanti terremoti che sbriciolavano qualsiasi manufatto rendendolo un rischio superfluo o quantomeno inopportuno. E anche perché è stato sempre considerato un brand positioning, un punto di forza vuoi per celebrare l’epopea di un re o di un regno, di un governatore o di un primo ministro, di un semplice ministro o di un intero governo.
Oggi, dopo aver riesumato la vecchia gara e rimesso in sesto la vecchia Spa “Stretto di Messina”, la concessionaria pubblica per la progettazione, la realizzazione e la gestione del collegamento stabile viario e ferroviario fra la Sicilia e la Calabria liquidata nel 2013, il diktat è di aggiornare in fretta il vecchio progetto e chiudere il fastidioso contenzioso avviato dal Consorzio Eurolink vincitore della commessa di Stato. L’ambizione è di lanciarsi senza più freni nella realizzazione dell’ottava o nona o decima “meraviglia del mondo”.
L’ultimo rendering ci mostra il Ponte come infrastruttura “strallata”, ovvero sostenuta da cavi portanti collegati a due torri, a campata unica. Sarebbe senz’altro la più lunga al mondo per complessivi 3.660 metri con la campata sospesa sul mare lunga 3.300 metri tra Villa San Giovanni e Messina. È sorretta da due torri alte 399 metri formate da due piloni collegati da tre grandi travi, un pilone a Ganzilli in Sicilia e uno in Calabria a Cannitello, nel punto più stretto dello Stretto. L’altezza del canale navigabile centrale per il transito di grandi navi è di 65 metri. Sul Ponte sono previste 6 corsie stradali, 3 per ciascun senso di marcia (2 + 1 emergenza), e 2 binari ferroviari per una capacità di attraversamento di 6.000 veicoli l’ora e di 200 treni al giorno. La resistenza al sisma è fino a scosse di 7,1 magnitudo della scala Richter, l’impalcato è aerodinamico di “terza generazione” e stabile fino ad una velocità del vento di 270 km/h.
Il Ponte, assicurano, è anche sorretto da circa 10.000 elaborati tecnici dei quali 800 già aggiornati per rispondere alle richieste delle commissioni valutative Via-Vas del MASE Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del MIC Ministero della Cultura che hanno raccolto le molteplici osservazioni tecniche, scientifiche e di opportunità della spesa presentate da esperti, enti locali, associazioni ambientaliste e di altra natura, e trasformate in 239 richieste di chiarimenti e approfondimenti del MASE e in 11 del MIC dirette al Contraente Generale Eurolink e alla società “Stretto di Messina”, che hanno presentato nuovi studi e approfondimenti su dati aggiornati, modellazioni e rilievi faunistici, batimetrici e subacquei per ridare garanzie di sostenibilità dell’opera nel groviglio di complessità e rischiosità degli ecosistemi dello Stretto.
Il Ponte è soprattutto riemerso nei capitoli di una manovra finanziaria soprattutto grazie al suo nuovo main sponsor, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, alla faccia di quelli che con la storica puzza sotto il naso lo hanno sempre contrastato per mille buoni motivi. C’è da dire che la sua metamorfosi è la più sorprendente. Da irriducibile contestatore aggregato ai “No Ponte” nel 2016 in nome degli inviolabili interessi del Nord e “perché mi dicono parecchi ingegneri che non sta in piedi…perché non vorrei spendere qualche miliardo di euro per un ponte in mezzo al mare quando sia in Sicilia che in Calabria i treni non ci sono e vanno a binario unico”…
…ha salutato tutti i vecchi contestatori, annunciando oggi che: “Sarà un miracolo dell’ingegneria italiana, subito il via ai lavori dopo cinquant’anni di chiacchiere”, addirittura l’opera “più green del mondo”. Ma il Ponte, diventato icona e orgoglio del nuovo sovranismo, sarà costruito con i fondi dello Stato destinati al Sud.
E così, nel sogno di una notte di inizio inverno, il Ponte potrà blindare il governo Meloni, dopo aver messo a tacere anche gli scettici dell’opera di ogni latitudine presenti nel centrodestra.
Incredibilmente, è ridiventato priorità della spesa pubblica nazionale in questi tempi ancora di vacche magre e finanze risicate. La “sovranità” dell’opera numero uno del Paese sarà difesa con poteri speciali da Golden Power, come impegno strategico per l’esecutivo che punta la stratosferica fiches da 14.7 miliardi di euro, una cifra stellare e mai piazzata sul tavolo di una manovra finanziaria per una sola opera pubblica localizzata e non nazionale.
DIROTTATI SUL PONTE I FONDI SVILUPPO E COESIONE PER SICILIA E CALABRIA
Mai come oggi, però, l’infrastruttura è tornata sulla scena del marketing politico, come uno spot dalla portata finanziaria insperata pari a ben 14,7 miliardi di euro. Risorse che, tenacemente, Matteo Salvini, leader della Lega nonché ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sta abilmente accumulando dopo aver fatto resuscitare la società “Stretto di Messina”, che lanciò la prima e unica gara nel 2005, aggiudicata nel 2006 al costo di 3.8 miliardi di euro, e poi finì lì nel tortuoso procedere del tempo. La Spa fu inghiottita nel 2012 dalla stretta fiscale dell’Italia in piena austerity del governo Monti, con il Ponte scordato ma solo per un po’.
Perché il mito torna a espandersi come la “Gomma del Ponte”, il chewuing gum italiano ispirato a un altro ponte, quello di Brooklyn, ed è ripartito dopo un mezzo secolo di sprechi di risorse e di costanti fallimenti, di false partenze di mirabolanti progetti sia sopra che sotto il pelo dell’acqua, con campate infisse su fondali ballerini tecnologicamente campate in aria, tunnel sottomarini insidiati da maremoti e terremoti, promesse di alte velocità ferroviarie nell’attraversamento che stridono con le bassissime velocità non appena superate le sponde. Ma il brand riaccende sempre la fantasia, e la fantasia alimenta la narrazione e fa immaginare l’opera faraonica come salvifica per il Sud delle emergenze dimenticate.
Siamo dunque alla stretta cruciale, con l’opera maxima inserita nella Rete Te-T Europea.
Ma, davanti al nuovo bivio, postiamo una domandina semplice semplice: ma un Paese, come si usa dire, “normale”, non dovrebbe avere di questi tempi altri target di investimenti per garantire chi vive nello Stretto e dintorni? Lo Stato non dovrebbe intervenire per sanare gli sconquassi infrastrutturali di quella parte del nostro Sud che sembra rassegnato al sottosviluppo strutturale? Non dovrebbe ridurre le due expo permanenti in Calabria e in Sicilia che mettono in mostra gli inaccetabili ritardi nella gestione dell’acqua con servizi e infrastrutture indegni di un grande Paese nel terzo millennio e che causano crisi idriche a ripetizione, l’imbarazzo massimo per reti di ferrovie e di strade in condizioni ottocentesche, la rabbia per scuole o servizi sanitari al collasso, i costi mortali di un dissesto idrogeologico inchiodato allo “sfasciume pendulo sul mare” descritto un secolo fa da Giustino Fortunato. Ma, soprattutto, l’Italia del 2024 non dovrebbe porsi come obiettivo prioritario la riduzione prima possibile di fragilità suicide di una edilizia in gran parte figlia dell’abusivismo fai-da-te che non reggerebbe sottoposta ai movimenti mostruosi dal sottosuolo? Quel botto da una quindicina di miliardi, insomma, non potrebbero servire a riscattare il Sud per una volta aprendo cantieri per opere e interventi diffusi per prevenire o ridurre ogni pericolo con tanto lavoro e tanto business per i privati?
L’ultimo pronto soccorso finanziario alla costruzione del Ponte è comunque già arrivato sottoforma di un emendamento aggiuntivo della Lega alla legge di bilancio che autorizzerà la spesa complessiva dei 14,7 miliardi di euro da oggi al 2032, ma in gran parte saccheggiandoli dal “Fondo per lo sviluppo e la coesione”, in gergo tecnico-politico FSC, con tagli ai trasferimenti di risorse alle due regioni affacciate sullo Stretto nella programmazione 2021-2027. La nuova norma, a firma del capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari, prevede l’ulteriore esborso delle due regioni e recita: “Al fine di consentire l’approvazione da parte del Cipess, entro l’anno 2024, del progetto definitivo del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria…nelle more dell’individuazione di fonti di finanziamento atte a ridurre l’onere a carico del bilancio dello Stato, è autorizzata la spesa complessiva di 6.962 milioni di euro”. A questo scopo, continua “…è autorizzata la spesa di 6.132 milioni di euro, mediante corrispondente riduzione delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione, periodo di programmazione 2021-2027…Si tratta di fondi FSC aggiuntivi ai 1.600 milioni già prelevati dallo stesso Fondo a Sicilia e Calabria per finanziare il Ponte”. Inoltre, “per la realizzazione delle opere connesse alla realizzazione del collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria, come individuate dal Cipess sulla base delle proposte trasmesse dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti all’esito della Conferenza di servizi, è autorizzata la spesa complessiva di 500 milioni di euro, in ragione di 90 milioni di euro per il 2027, 180 milioni di euro per il 2028, 160 milioni di euro per il 2029, 70 milioni di euro per il 2030”.
I carissimi costi, quindi, ricadranno anche sulle finanze della Sicilia e della Calabria. Ma del resto, nel maggio 2024, la Regione Calabria aveva già “bloccato” 300 milioni, e la Sicilia 1,3 miliardi di euro dei 6,8 miliardi del suo FSC tra gli applausi scroscianti all’intesa celebrata nella stupenda cornice del Teatro Massimo di Palermo presenti il Presidente del Consiglio Meloni e il Presidente della Regione Schifani. Hanno rinunciato ad una bella fetta di finanziamento pubblico per opere urgenti, affidando le loro sorti alla magia dell’iconico Ponte. C’è da dire che in quell’accordo tra il governo nazionale e i due governi regionali, non era certo prevista la copertura di quasi metà costo del Ponte con il FSC del Sud.
Ma oplà, la magia è fatta. Accompagnata dalla seconda magia dell’evaporazione dall’orizzonte dello Stretto dei mitologici “privati investitori” sul Ponte, quelli che un tempo avrebbero dovuto compartecipare all’impresa facendosene carico per almeno il 40%.
TUTTO IN REGOLA?
L’AUTORITÀ NAZIONALE ANTICORRUZIONE DICE NO, È UN AZZARDO E SI RISCHIA UN REGALO A PRIVATI. SERVE LA GARA PER VINCOLI UE SU SPESE
Giuseppe Busia, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, in una intervista del 10 maggio scorso ad Antonio Fraschilla su Repubblica spiegò con chiarezza i possibili rischi della corsa verso il Ponte: ”Sul Ponte esisteva un progetto di un privato che aveva chiesto i danni allo Stato per la mancata realizzazione. Avendo l’impresa perso il giudizio in primo grado, sarebbe stato molto più conveniente fare una transazione, acquistare per pochi soldi quel progetto e solo dopo, eventualmente, aprire una gara per aggiornarlo e migliorarlo. Invece, prima ancora di chiudere il contenzioso, si è scelto di utilizzare proprio quel vecchio progetto per il Ponte, così facendo lievitare le pretese del privato”.
E il 3 settembre del 2023, in un intervento al “Festival Restart” organizzato a Roma dall’”Associazione Antimafie da Sud”, espresse le perplessità dell’ANAC per il “rischio di un regalo a un’impresa privata“. Spiegò ancora, con molta chiarezza: “Noi avevamo chiesto di fare una gara, il governo ha deciso di fare un decreto. Una legge che ha fatto un gran regalo a un’impresa privata…Esisteva un progetto vecchio realizzato sulla base di una gara del 2004 che è partito da un costo di oltre 4 miliardi di euro, che poi è raddoppiato a 8 miliardi nel 2011. Su quel progetto c’è un contenzioso. Conveniva andare dall’impresa e dire chiaramente: è un progetto senza speranza, chiudiamo questo contenzioso, compro il progetto e poi lo metto a gara. Il fatto di non aver fatto questo… è qualcosa di estremamente rischioso”.
Per l’ANAC, quindi, sarebbe stata indispensabile procedere con una nuova gara, con “un progetto esecutivo unitariamente considerato, altrimenti si rischierebbe di approvare singole fasi del progetto senza essere certi che queste fasi vadano a collegarsi l’una con l’altra”. In quel caso, aggiunse Busia “la parte pubblica finirebbe per prendere su di sé rischi che non le competono ed i costi potrebbero aumentare oltre il limite fissato dalla normativa europea”. Ora, essendo il “limite” europeo pari al 50% del capitolato d’appalto iniziale, ciò non obbligherebbe a procedere con gara?
C’è da aggiungere anche l’incertezza attuale sui costi: se il Documento di Economia e Finanza inserisce la cifra di 14,6 miliardi come spesa complessiva aggiornata da oggi al 2032, dei quali 13,5 miliardi per l’infrastruttura-ponte più 1,1 miliardi per collegamenti ferroviari coast to coast più il resto per quelli stradali. L’Ad della “Stretto di Messina Spa”, Pietro Ciucci, in ogni caso nega violazioni di norme Ue e annuncia già i cantieri nel 2025. Ma la cifra esatta è attesa con la relazione sul costo finale dell’opera. In ogni caso, 13,5 o 14,7 miliardi, superano del 50% quel vincolo Ue per il capitolato d’appalto originario, e renderebbe la spesa palesemente in violazione delle norme europee. L’Italia vuole rischiare l’ennesima procedura di infrazione? Perché pende anche il ricorso annnunciato dal Wwf ha in sede europea per “l’assegnazione dell’opera senza gara di appalto avvenuta grazie ad una sottostima dei costi, la violazione delle direttive Habitat e Uccelli e quindi delle normative su Rete Natura 2000, la mancata applicazione della procedura di Valutazione Ambientale Strategica”.
Ma ecco come è lievitato il costo del Ponte dal 2005 ad oggi.
COME SONO AUMENTATI I COSTI DEL PONTE SULLO STRETTO |
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2005 | 3,8 MILIARDI DI EURO |
2009 | 6,4 MILIARDI DI EURO |
2011 | 8,4 MILIARDI DI EURO |
2012 | 8,5 MILIARDI DI EURO |
2023 | 11 MILIARDI E 630 MILIONI DI EURO |
2024 | 13,5 MILIARDI DI EURO 14,7 CON OPERE ACCESSORIE |
Si parte? Vedremo. Nel frattempo, dalla prossima puntata inizia un ripasso di storia di 2204 anni di tentativi per collegare le sismiche rive di Scilla e Cariddi dello Stretto. Sembra uscita dal libro delle favole raccontate ai bimbi prima di andare a letto.