Lungro. Lettera aperta del ‘Collettivo Stipaturi’ a ‘Piazzapulita’: “I meridionali non sono un popolo di fannulloni”

“Giovedì 19 gennaio scorso, su La7, nel corso del segmento finale della trasmissione Piazzapulita, veniva mandato in onda l’ennesimo servizio che riproponeva la ritrita tiritera sulla difficoltà dei ‘benevoli’ imprenditori – nello specifico quelli del comparto della ristorazione – di trovare manodopera, a fronte di un’alta disoccupazione, in una zona dell’Italia ad elevata presenza di percettori del reddito di cittadinanza (RdC), la provincia di Palermo.

La narrazione proposta da questa e analoghe inchieste degli sterminati talk-show di informazione, del tutto sovrapponibile a quella dei padroncini italiani, è che il RdC rappresenti un ostacolo alle assunzioni. L’esistenza di questa misura di contrasto alla povertà, a detta loro, fa sì che quello strato della popolazione, potenzialmente attivo, rifiuti le mirabolanti ben retribuite e numerosissime occasioni di lavoro, preferendo invece crogiolarsi sul divano di casa, alla portata di tutti oramai grazie alle offerte sempre più vantaggiose e agli sconti senza fine di Poltronesofà (che bello il capitale, quante opportunità ti mette a disposizione!!!).

Insomma, stringi stringi, la tesi propagata a reti unificate – salve rare eccezioni – è sempre la stessa: il sistema (con tutte le difficoltà del caso) regge, il lavoro c’è, voi lavativi non avete voglia di lavorare, non volete mettervi in gioco, non vi piace fare la gavetta! Tutto questo nonostante i dati messi a disposizione dall’INPS certifichino un deciso aumento dell’occupazione rispetto ai livelli pre-RdC.

Non neghiamo certamente l’esistenza di casi di gente che si rifiuta di lavorare preferendo a questo la percezione del reddito, il punto che troviamo inaccettabile è che in queste analisi non ci si soffermi minimamente sulle origini di questo fenomeno e sui problemi socio/economici di un determinato territorio. Porre in evidenza singoli casi di specie (come quelli nel servizio andato in onda) non può essere rappresentativo di realtà così complesse e problematiche; sono storie esemplari che subdolamente vengono usate per esasperare ed esacerbare gli animi, con l’effetto avvelenare i pozzi. Il risultato di questa narrazione, di fatto, è quello di mettere lavoratori contro disoccupati, disoccupati contro percettori, disoccupati contro altri disoccupati: una guerra tra poveri totale che non produce altro che una divisione sempre più aspra in seno alla classe lavoratrice che, sempre più indebolita, si ritrova meno capace di lottare per l’affermazione dei propri diritti.

Ma torniamo a Piazzapulita, alla puntata di giovedì scorso. Il dibattito scaturito dal servizio citato ci ha indispettiti e contrariati, sulle sue modalità di svolgimento non possiamo proprio esimerci dallo spendere alcune considerazioni. Similmente ad altri analoghi programmi televisivi la scelta degli opinionisti obbedisce a logiche ormai ben chiare: il loro contributo non si riduce a presentare le diverse posizioni sugli argomenti da trattare ma, per beceri motivi di audience, a loro è demandato il compito di tenere viva l’attenzione del pubblico con interventi e atteggiamenti spesso fuori le righe e al limite della decenza; come se non bastasse, l’intero dibattito è fuorviato da una estrema faziosità volta esclusivamente a far pendere le idee del pubblico a casa dalla parte degli interessi padronali. Quindi, accanto a paludati professori più o meno competenti e onnipresenti politici dei diversi schieramenti, il campionario degli aspiranti partecipanti è praticamente infinito: starlette in declino, politici trombati, psicologi, scienziati… ruffiani, paracadutisti, ufologi (per dirla alla Gaber).

Si trattava, dunque, di dare visibilità a tutte le energie messe in campo, ad anni di lavoro continuo e certosino spesi nella costruzione di quel tessuto sociale dilaniato dalla crisi economica, dal ritiro delle istituzioni e dal postideologismo, di restituire, perciò, un’immagine della Calabria lontana dagli stereotipi che ci vuole tutti abusivisti, ‘ndranghetisti, divoratori di nduja e ora, da qualche anno a questa parte, nullafacenti percettori di RdC.

Nulla di questo è avvenuto, nonostante l’impegno e la pazienza profusi da Vittoria; con lei, il suo collettivo e altre organizzazioni di lotta calabresi, abbiamo incrociato più volte il percorso politico, fatto di battaglie, sconfitte, incazzature; abbiamo organizzato convegni, dibattiti, proiezioni, manifestazioni. Eravamo in centinaia davanti alla cittadella regionale per chiedere “Salute, Lavoro, Dignità”; migliaia a Napoli il 5 novembre e 15.000 a Roma il 3 dicembre scorso per lo sciopero e la manifestazione nazionale a chiedere “Pace e Lavoro” nella totale assenza dei media nazionali, non una riga è stata spesa a riguardo, nessun accenno nei tg a diffusione nazionale.

Siamo persone semplici: abbiamo a cuore le sorti della nostra terra, abbiamo acquisito competenze, abbiamo energie, passioni, idee che vogliamo impiegare per la crescita materiale e sociale dei nostri territori. Non chiediamo null’altro. Non ci arrendiamo alla prospettiva di rilancio economico prospettata in ogni occasione che vorrebbe trasformare il mezzogiorno in un immenso parco giochi fatto di villaggi turistici, ristoranti, discoteche e pub dove far divertire i potenti d’Europa che ci fanno odorare la loro ricchezza e la loro benevolenza. Non ci stiamo! Non vogliamo diventare un popolo di camerieri, badanti, animatori turistici sfruttati e sottopagati!!

In virtù di quanto finora affermato abbiamo trovato disdicevole l’andamento del dibattito finale. Il paternalismo, il perbenismo, la sufficienza mostrati nei confronti di Vittoria (e di riflesso verso le migliaia di lavoratori che lottano ogni giorno) ci hanno fatto infuriare!! Per contrasto, la sua calma zen in risposta alle continue provocazioni dei vari Crepet, De Girolamo e degli imprenditori – siciliano e veneta, i padroni non sono poi così diversi dal nord al sud dell’Italia quando si tratta di difendere i propri interessi – che cercavano di farla ricredere dalle sue opinioni così contrarie al comune sentire, è stata davvero encomiabile, noi non avremmo retto a tanto.

Sarà stato facile per lei resistere anche perché dopo tutto, a differenza degli altri ospiti che non parlavano che per loro stessi, per atteggiarsi a maestri di vita ricordando gli anni bui della gavetta (che bella l’umiliazione, nel solco della nuova didattica del ministro Valditara) e ora ben ricompensati da conti correnti ben pingui, Vittoria non era sola. Con lei c’erano le compagne e i compagni del suo collettivo e non solo. C’erano Francesco e Anna, disoccupati e incazzati; Tommaso, da quasi vent’anni lavora all’Unical da precario in attesa di essere stabilizzato; Roberto, cantante lirico che si barcamena tra numerose audizioni nel tentativo di sbarcare il lunario; Carmen, studentessa, consapevole che, quasi sicuramente, per lavorare dovrà lasciare la sua terra; o Alessia e Marco, Concetta e Alfiere, che hanno scelto di far crescere i loro figli in Calabria nonostante tutte le difficoltà che questa scelta comporta; o Pierre e Pasquale, innamorati della montagna che si battono per preservarla da ogni speculazione; o Domenico, sindacalista e militante politico che ha fatto della lotta alla precarietà e allo sfruttamento il suo scopo di vita; o Mimmo, Cataldo e gli altri amici di Cariati che lottano da mesi per la riapertura dell’ospedale della loro cittadina e per una sanità più giusta; ma soprattutto tutti i disillusi, coloro che hanno momentaneamente abbandonato la lotta anche perché privati dalla propaganda degli strumenti necessari a comprendere appieno questo mondo e le leggi che lo regolano, finendo così stritolati da un sistema sempre più alienante e predatorio.

Ed è anche per questi ultimi che vale la pena continuare a lottare senza sosta per l’affermazione di un sistema sociale più giusto ed equo, lontani dai riflettori di un’informazione che, a fronte di qualche punto di share, è disposta a sacrificare la verità e la deontologia professionale. Ma, pur consapevoli della difficoltà e complessità delle sfide che ci attendono nel prossimo futuro, non arretreremo di un passo.

Ci troverete sempre lì, ai nostri posti”.

Collettivo Stipaturi – Lungro