Quello che tutti si chiedono in questi giorni è questo: ma la guerra c’entra con l’aumento vertiginoso del prezzo della benzina (che ha sfondato il muro dei due euro al litro)? A sentire il governo dei milgiori, parrebbe di sì. Ma è davvero colpa della guerra se il prezzo della benzina rischia di arrivare nelle prossime settimane, così come dice qualche “analista” economico, a 3 euro al litro?
Leggendo un po’ di rassegna stampa, per meglio capire le origini di questa impennata, siamo incappati in un articolo del Sole 24 Ore datato 4 febbraio 2020, scritto in piena “era” Covid, e in tempi non sospetti. Il famoso giornale “economico” ci offre, forse a sua insaputa, (nessuno due anni fa immaginava che Putin avrebbe invaso l’Ucraina), una chiave di lettura sull’aumento della benzina che poco ha a che fare con la guerra, anzi la guerra diventa il “pretesto” per giustificare un aumento che ha origini, come si legge nell’articolo, con lo stop della Cina all’importazione di petrolio (pari a un 20%). La Cina è il maggior importatore di petrolio al mondo e consuma 14 milioni di barili al giorno: in pratica il fabbisogno di Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito, Giappone e Corea del Sud messe insieme. Il calo di “domanda” di petrolio (la Cina oltre al nucleare ha investito molto in “energia pulita”) da parte del colosso asiatico determinò, a quel tempo, un drastico calo del prezzo della benzina che allora costava 1,574 euro al litro, e 1,466 euro al litro il diesel. Tanto da allarmare l’Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries) costringendola ad una riunione di emergenza per tagliare la produzione e arginare il calo dei prezzi.
In due anni il prezzo della benzina è cresciuto di quasi 60 centesimi al litro e, da una situazione di continuo ribasso, il petrolio, è passato, oggi, ad una situazione di continuo e costante rialzo. La considerazione è questa: non è che per recuperare i mancati introiti con la Cina (secondo gli analisti di Bloomberg il brusco calo del 20% della domanda di petrolio in Cina ha provocato una crisi finanziaria peggiore di quella avvenuta nel 2008-2009, mica cotiche!) i venditori di petrolio hanno colto la palla al balzo della “guerra” per farci pagare quello che da un po’ di anni a questa parte non gli entra più nelle tasche? Perdere il mercato cinese, equivale, come dice l’articolo, a perdere quasi tutto il mercato europeo: una cifra da capogiro. Da qualche parte i poveri petrolieri si devono pure rifare delle perdite subite. E gli italiani sono, come al solito, i caggi giusti da spennare, tanto in Italia non si lamenta mai nessuno.
A noi sembra che in tutto questo la guerra c’entri poco, se non per giustificare, con la scusa del “carburante” per i carri armati e gli aeri, così come dice il nostro “governo dei migliori” (che come tutti i governi precedenti non si è mai posto il problema di togliere le famigerate accise), il rincaro immotivato della benzina: c’è la guerra! E quando c’è la guerra si sa che tutto aumenta, la benzina, il gas, la luce, il pane.
L’effetto coronavirus si fa sentire anche sui listini dei carburanti. Con la domanda cinese di petrolio prevista in calo, infatti, cala anche il prezzo del greggio, condizionato dall’allarme per gli impatti sull’economia dell’epidemia.
Sulla rete italiana Eni e Q8 oggi hanno ridotto la benzina e il diesel di 1 centesimo, mentre le quotazioni dei prodotti petroliferi in Mediterraneo ieri hanno chiuso in discesa. Stando all’Osservaprezzi carburanti del Mise, il prezzo medio nazionale della benzina self service oggi è di 1,574 euro al litro. Il prezzo medio praticato del diesel è invece a 1,466 euro al litro.
Per i primi giorni della prossima settimana, inoltre, Figisc e Anisa Confcommercio segnalano addirittura la possibilità di ulteriori ribassi dell’ordine degli 0,5-0,7 centesimi al litro.
Secondo gli analisti di Bloomberg, in Cina la domanda di petrolio avrebbe subito un brusco calo del 20%: si tratta del maggiore shock subito dalla domanda di greggio dalla crisi finanziaria del 2008-2009 e potrebbe forzare la mano all’Opec e ai suoi alleati, che stanno considerando una riunione di emergenza per tagliare la produzione e arginare il calo dei prezzi.
La Cina è infatti il maggior importatore mondiale di petrolio, dopo aver superato gli Stati Uniti nel 2016 e consuma oggi circa 14 milioni di barili al giorno: in pratica il fabbisogno di Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito , Giappone e Corea del Sud messe insieme.