Mafia-stato e Calabria. I Tegano, il giudice Tuccio e la Repubblica della ‘ndrangheta “incappucciata”

Il giudice Peppe Tuccio

Stiamo pubblicando ormai da tempo alcuni stralci del libro-inchiesta di Francesco Forgione “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta”. Dopo avere esaminato a fondo i rapporti tra il clan Piromalli e Marcello Dell’Utri per conto di Silvio Berlusconi, l’autore ci spiega la trasformazione della ‘ndrangheta e i suoi mille tentacoli che coinvolgono anche la magistratura e tutto il sistema che gira intorno alla Giustizia a Reggio Calabria. Roba che scotta e che si aggancia in maniera disarmante al caos delle toghe sporche di oggi. Compresi i traffici del Cavaliere e delle sue tv (non ultima la Rai…) con la massoneria, con il vecchio Psi e persino con il Vaticano, con la Calabria sempre protagonista. Ora ci attende l’ultimo viaggio, che ci porterà gradatamente al cuore del problema: la corruzione della magistratura.

Eppure Zumbo non è solo uno spione che si è messo al servizio di Gambazza (https://www.iacchite.blog/mafia-stato-e-calabria-lo-spione-dei-servizi-a-casa-pelle-tradito-dalla-cimice-a-sorpresa/). Lui vive e lavora a Reggio e nella città ha le sue principali attività pubbliche e segrete. ‘Ndrangheta nella Città dello Stretto vuol dire prevalentemente De Stefano-Tegano. Una buona parte della politica vuol dire la stessa cosa. Del resto da Pelle lui ci era arrivato con Ficara, che dei “Sangiovanni” è sempre stato alleato. Passate al setaccio tutte le sue attività, i magistrati scoprono che anche il Comune di Reggio aveva avuto bisogno di lui. Già prima, ai tempi in cui faceva il sindaco il futuro presidente della Regione.

Il 18 novembre del 2011, quando i militari della Guardia di Finanza mettono le manette ai polsi della moglie e della sorella del commercialista, si apre un altro capitolo della sua vicenda giudiziaria. Attraverso una serie di operazioni societarie i Tegano sono riusciti a controllare una grande parte del capitale sociale della Multiservizi, che è gestita al 51% dal Comune di Reggio e per il 49 da un socio privato. Si tratta della più grossa società mista operante con un bilancio che assorbe buona parte delle risorse comunali.

Grazie alle competenze finanziarie di Zumbo e alle consulenze di avvocato civilista della moglie, Maria Francesca Toscano, i Tegano, con la creazione di apposite società avevano conquistato il 33% del socio privato e, tra quote societarie e sistemi manageriali di “persuasione”, di fatto condizionavano mezza società. Per “manovrare” il restante 51%, problemi non ce n’erano. Al Comune, che è il socio di maggioranza, amici ne avevano tanti. E infatti, a chi avevano nominato direttore della più importante società comunale? A uno stimato professionista, Pino Rechichi, che nell’aprile del 2011 era stato arrestato perché considerato organico alla cosca Tegano, all’interno della quale non è che faceva il consigliori, come sarebbe stato naturale visto il suo ruolo politico e manageriale, ma secondo la Procura avrebbe fatto parte del gruppo di fuoco. Anche se su questo la Cassazione non ha confermato le accuse.

Dopo gli arresti dei professionisti, scattano anche i sequestri patrimoniali per una cifra da capogiro, 50 milioni di euro. La cosa si spiega. Gli uomini della cosca hanno traffici e attività illecite e “lecite” di tutti i tipi e, tra le altre, non è che gestivano una bocciofila, ma la società che fornisce tutti i principali servizi al Comune di Reggio, con 297 dipendenti e un fatturato di 18 milioni di euro annui.

Lo aveva detto papale papale ai magistrati anche Roberto Moio, il nipote del boss Tegano che ha deciso di collaborare con la giustizia: “La Multiservizi è gestita da noi Tegano, anche per via del fidanzamento tra il figlio di Peppe Rechichi con la nipote di mia moglie”. A famigghia è sempre a famigghia… ma l’intreccio non finisce qui.

Occhiuto, Il Cinghiale, Sarra, Arena, compa’ Pinuzzu

Chi era il super consulente della Multiservizi nel periodo in cui amministrava il manager presunto pistolero? Un altro commercialista, Demetrio Arena, che, con una brillante carriera politica, nella primavera del 2011, diventa sindaco di Reggio Calabria. Anche il nuovo sindaco si troverà travolto da una bufera politico-giudiziaria. All’inizio di aprile del 2012 i carabinieri arrestano la suocera di un suo assessore, Luigi Tuccio, perché avrebbe coperto la latitanza di uno dei più importanti boss di Reggio.

Il nome della donna è Pina Santina Cotroneo e secondo i magistrati aveva favorito la latitanza di Domenico Condello, Micu u pacciu, colui che nel lontano 1985 aveva ammazzato l’altro grande boss, Paolo De Stefano. L’assessore all’urbanistica, che è anche il coordinatore della Pdl di Reggio, è un avvocato. Come tutti i politici che si aggirano nelle zone di frontiera con la mafia, ovviamente non sapeva nulla. Addirittura non sapeva, lui che fa pure l’avvocato, di essere cognato di Pasquale Condello jr., a sua volta imparentato con Nino Imerti, Nano feroce, l’altro grande boss storico della città. Praticamente aveva scoperto le sue “parentele” leggendo i giornali. Il caso esplode pubblicamente quando vengono rese pubbliche le motivazioni del decreto del ministro della Giustizia Severino, che assegna a Nano feroce il regime del 41 bis.

Tra le intercettazioni fatte in carcere che supportano la decisione del ministro, ci sono quelle tra il boss e la moglie, sorella della compagna dell’assessore: “… Digli all’avvocato di portargli i saluti a suo padre… che è stata una brava persona sempre… nei processi… anche quando faceva i processi… se poteva aiutare…”.

Ma chi è il padre dell’assessore che secondo Nano feroce nei processi una mano la dava anche a loro? E’ quel magistrato, Giuseppe Tuccio (recentemente scomparso, ndr), già incontrato prima, con il quale Aldo Micciché, telefonando dalla sua latitanza dorata in Venezuela ad Antonio Piromalli, diceva di essere cazzo, culo e camicia.

A dire il vero, anche la figura di Tuccio è a più facce, come tutto in questa storia. Negli anni Ottanta aveva presieduto il famoso “processo ai 60” e dopo qualche tempo gli avevano pure raso al suolo la sua villa in montagna. Poi si era candidato al Senato nella circoscrizione della Piana, nelle liste di una delle Dc più inquinate d’Italia, era arrivato al Tribunale di Reggio e ora se ne parlava come se ne parlava.

Nel 2006, subito dopo essere andato in pensione, il sindaco di Reggio Scopelliti lo aveva nominato “garante per i diritti dei detenuti”. Davvero il posto giusto, per un uomo che ha passato tutta la vita a mandare la gente in galera. Ovviamente che ne potevano sapere di tutte queste storie e della doppia vita dei loro uomini di fiducia i sindaci e i politici che gli avevano dato gli incarichi, li avevano tenuti nelle loro segreterie particolari o portati in giro durante le campagne elettorali? Certo, magari con alcuni si incontravano in qualche loggia, ma in quelle anche loro si “armavano” di grembiulino, cappuccio e compasso. E a Reggio le logge sono davvero tante. Che c’era qualcosa di strano o di penalmente rilevante?

Una terra di nessuno: questa è la palude dei rapporti tra mafia, politica e pezzi dello Stato nella Calabria della ‘ndrangheta. Come se fosse un pezzo di Repubblica parallela: la Repubblica della ‘ndrangheta. Tutti la conoscono, molti ci vivono immersi, altri ancora la manovrano, ma nessuno ne parla. Almeno fino a quando qualche magistrato non ne squarcia il velo. E quando accade è il momento dello stupore generale dei leader dei partiti e della bella società che non potevano sapere né immaginare…