Mafia-stato e Calabria. Le due versioni (e le stranezze) dell’arresto di ‘Ntoni Pelle Gambazza

Stiamo pubblicando ormai da tempo alcuni stralci del libro-inchiesta di Francesco Forgione “Porto Franco: politici, manager e spioni nella Repubblica della ‘ndrangheta”. Dopo avere esaminato a fondo i rapporti tra il clan Piromalli e Marcello Dell’Utri per conto di Silvio Berlusconi, l’autore ci spiega la trasformazione della ‘ndrangheta e i suoi mille tentacoli che coinvolgono anche la magistratura e tutto il sistema che gira intorno alla Giustizia a Reggio Calabria. Roba che scotta e che si aggancia in maniera disarmante al caos delle toghe sporche di oggi. Compresi i traffici del Cavaliere e delle sue tv (non ultima la Rai…) con la massoneria, con il vecchio Psi e persino con il Vaticano, con la Calabria sempre protagonista. Ora ci attende l’ultimo viaggio, che ci porterà gradatamente al cuore del problema: la corruzione della magistratura. 

Terra di nessuno

L’ultimo capitolo di questo viaggio ci porta in una terra di nessuno. E’ la tappa più difficile anche da raccontare, e ancora una volta comincia dalla Piana. Lungo la superstrada Ionio-Tirreno, prima di arrivare al valico più alto della montagna e passare da un mare all’altro, c’è Polistena.

Il paesone si trova ai piedi dell’Aspromonte ed è uno dei centri più importanti: ci si riversano gli studenti dei comuni vicini che frequentano le scuole superiori e c’è pure uno dei pochi ospedali della Piana dove arrivano buona parte degli ammalati di Cittanova, Cinquefrondi, Melicucco e Maropati. Da quando esiste, però, nessuno ricorda che un cristiano sia mai partito da Bovalino, altro paesone affacciato sullo Ionio, dall’altra parte dell’Aspromonte, per venire a ricoverarsi qui. Per arrivarci ci vuole quasi un’ora e se stai male a dieci minuti di strada c’è prima l’ospedale di Locri e poi quello di Siderno, che al tempo di questa storia la Regione non l’aveva ancora chiuso.

Invece, ‘Ntoni Pelle, Gambazza, il capomafia storico di San Luca e il capo crimine della provincia che abitava a Bovalino, aveva deciso che era meglio ricoverarsi all’ospedale di Polistena. E ha pure rischiato molto per arrivarci, con l’ernia strozzata che aveva e che andava operata d’urgenza. Si vede che a Polistena aveva amici fidati e con qualcuno se l’era pure parlata, perché, senza offesa, non è che uno viene qui perché tra i medici c’è Veronesi, già pronto e con i guanti infilati, che ti aspetta all’entrata della sala operatoria.

‘Ntoni Gambazza è latitante da nove anni, da quando gli hanno confermato una condanna a 26 anni di carcere per sequestro di persona, mafia e traffico di droga. Ormai è pure vecchio e continuare a scappare e nascondersi a 76 anni non è come farlo a 30, anche se lui c’era abituato e il latitante l’aveva fatto a tutte le età.

E’ venerdì 12 giugno del 2009 e comincia una storia, anzi due, dalla quale ne nascerà un’altra, o forse altre due. Perché le cose della ‘ndrangheta vanno sempre così e, a modo loro, sono sempre doppie. Tutti i giornali di sabato 13 scrivono dell’arresto di Antonio Pelle, Gambazza, preso il giorno prima dai carabinieri del Ros sotto il coordinamento di uno dei magistrati più esperti, e famoso anche per i suoi libri sulla ‘ndrangheta e le sue frequenti presenze in trasmissioni televisive.

Con minuzia di particolari, la cattura del boss è raccontata, sotto l’annuncio “esclusivo”, sul sito dell’unico giornalista che ha seguito l’operazione e ha realizzato un filmato in diretta poi concesso al Tg1: “I militari in mimetica del Gruppo Cacciatori Calabria e i carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale del generale Giampaolo Ganzer erano già da qualche giorno sulle sue tracce. Venerdì 12 giugno alle 16,30 gli uomini del Ros e i militari dello squadrone eliportato Cacciatori hanno varcato la soglia del vecchio ospedale tra lo stupore dei pazienti. Il comandante della sezione anticrimine di Reggio Calabria, tenente colonnello Giardina e alcuni suoi uomini hanno incominciato dal piano terra, ispezionando con freddezza e precisione stanza per stanza. Alle 16,40 incominciano a passare in rassegna i degenti del primo piano, il reparto post operatorio. Passano pochi minuti, sono le 16,45, si apre la porta numero 6 e si chiude un capitolo della storia della ‘ndrangheta.

Il colonnello Valerio Giardina

L’ultimo grande vecchio della cosiddetta Onorata società ha aperto gli occhi, ha guardato la moglie Giuseppa che gli stava a fianco e per un attimo è sembrato spaesato, la donna lo ha abbracciato. Gli uomini del Ros di Reggio lo hanno riconosciuto nonostante fosse smagrito. “Pelle Antonio?” ha chiesto il colonnello Giardina al vecchio capo per formalità. “Stia tranquillo è tutto a posto, siamo i carabinieri“. Dal racconto della cronista, sembra quasi che il boss li stesse aspettando e dal loro arrivo si sentisse rassicurato.

L’articolo però spiega che l’operazione era cominciata all’1,46 della notte di giovedì 11 giugno 2009 con il pedinamento della moglie e del figlio di Gambazza a bordo di una Mercedes che da Bovalino era arrivata a Lamezia, poi aveva raggiunto Cosenza, e poi ancora Lauria, in provincia di Potenza. Alle 7,14 di giovedì mattina i militari decidono di sospendere l’osservazione per timore di essere scoperti. La Mercedes riappare a Bovalino nel primo pomeriggio, senza la moglie del capo che, come d’incanto, i carabinieri vedono ricomparire a casa sua, sempre giovedì. “Come spesso accade, nella cattura dei latitanti la strada da seguire sono sempre le donne…” scrive sempre la giornalista, “in questo caso è stato l’amore della moglie che ha svelato il nascondiglio del carismatico boss di San Luca. Uno scambio di telefonate sospette ascoltate in cuffia dagli investigatori, la partenza precipitosa della compagna di vita del vecchio boss hanno fatto scattare l’operazione…”.

I giornali del sabato riportano tutti fedelmente questa versione ripetuta anche nella conferenza stampa convocata a Reggio alla presenza dei vertici dell’Arma e della procura. Si aggiunge un altro particolare, a dire il vero un po’ scontato: Gambazza era ricoverato sotto falso nome. Questa la versione “ufficiale”.

Però ce n’è un’altra, un poco più ufficiale della prima perché è anche scritta nelle “carte”. ‘Ntoni Pelle si era presentato al Pronto Soccorso dell’ospedale di Polistena alle 10,40 di venerdì e aveva fornito le proprie generalità, quelle vere. Pelle Antonio, nato a San Luca l’1 marzo del 1932. Nella scheda di ingresso, sotto i dati anagrafici veniva dichiarato “affetto da ernia inguinale sinistra strozzata”. Alle 10,35 dal Pronto Soccorso veniva trasferito al reparto di chirurgia e alle 13,30 entrava in sala operatoria. Da qui usciva alle 14,30 e veniva tratto in arresto alle ore 15,00.

Perché c’è una differenza di un’ora e mezza tra le due versioni e perché nessuno ha chiesto se c’era un ammalato registrato a nome Pelle? Ma la stranezza vera è un’altra. Pelle è rimasto per cinque giorni agli arresti nell’ospedale di Polistena. Soltanto alle 8 del mattino del 17 giugno 2009 varcava l’ingresso della caserma dei carabinieri di Palmi. Possibile che per un boss del calibro di Pelle, non c’era un reparto ospedaliero disponibile in un carcere dove poter essere curato e custodito? A parità di livello criminale è come se, arrestando il cognato di Riina, il corleonese Leoluca Bagarella, lo si fosse lasciato per cinque giorni agli arresti nell’ospedale di San Giuseppe Iato, nel cuore del suo mandamento mafioso, con la possibilità di parlare con medici, infermieri e magari assistito dalla moglie che avrebbe potuto fare da tramite col resto della cosca. Solo il 22 giugno 2009 Gambazza arriva nel carcere di Padova. E qui le cose si fanno ancora più strane.

‘Ntoni Gambazza ha avuto il ruolo di capo crimine, la massima autorità della ‘ndrangheta. Perché non gli è stato subito (e mai) applicato il regime speciale del 41 bis? Avrebbe dovuto essere una richiesta scontata, quasi automatica, per investigatori e magistrati che conoscono bene la pericolosità della ‘ndrangheta e la raccontano ormai quotidianamente nelle scuole e nelle trasmissioni televisive. Invece no. E come se non bastasse, dopo soli cinque giorni, il 27 giugno 2009, viene di nuovo trasferito. Questa volta arriva a Siano, il carcere di Catanzaro, a due passi da casa. Evidentemente Padova per le visite dei famigliari e degli amici era troppo lontana. Certo non si può dire che nelle loro decisioni, i titolari delle indagini e i giudici del Tribunale di sorveglianza si siano preoccupati, come sarebbe stato giusto, di impedire i contatti con il boss, il clan, e tutti coloro che avevano bisogno di fargli visita soltanto per ricevere una parola giusta dal vecchio patriarca.

A dire il vero, la richiesta di applicazione del 41 bis viene avanzata il 20 ottobre del 2009. Il motivo del ritardo potrebbe essere stato quello di intercettarlo senza le restrizioni del carcere duro e accumulare informazioni preziose dopo nove anni di latitanza. Però a Pino Piromalli, Facciazza, che era buttato a 41 bis a Tolmezzo, proprio nello stesso periodo durante i colloqui lo intercettavano e difficoltà non ce n’erano. Perché con Gambazza non era stato possibile? Non solo, ma per giunta negli stessi giorni in cui il Ministero della Giustizia e la Procura nazionale stanno valutando se assegnare al boss il regime speciale del carcere duro, succede esattamente l’opposto. Il 3 novembre del 2009 alle 16,12 ‘Ntoni Pelle esce dal carcere per motivi di salute. Il giorno dopo, mentre festeggia con amici e parenti nella casa di Bovalino, viene colpito da infarto e muore. La causa della morte però non ha alcun nesso con la sua malattia che, ancora una volta, aveva portato i giudici a prendere in provvedimento a suo favore e concedergli gli arresti domiciliari.

Certo, come si dice qua, cosa c’è! Ed è cosa che non torna. Che i boss della ‘ndrangheta ci abbiano abituati a tragedie e doppie verità fa parte della storia di questa terra, anche di quella giudiziaria: traffici di confidenti, agitazioni di Servizi segreti, medici con i certificati di malattia sempre pronti, giudici col cuore grande. Cose calabresi, insomma. Una giungla di doppiezze e di complicità nelle quali è inutile addentrarsi troppo, per non finire nel campo dei si dice e delle mezze verità. Meglio fermarsi ai fatti documentati e segnalarne le stranezze.