Malasanità, i diritti negati a uno stomizzato

Accettare di convivere con una stomia intestinale, imparare a gestirla e adattarsi alla nuova condizione non è certo semplice. La stomia (in greco significa bocca) intestinale è il risultato di un intervento chirurgico con il quale si crea un’apertura per poter mettere in comunicazione l’intestino con l’esterno che, anziché per via fisiologica, svuota il suo contenuto attraverso un’apertura creata artificialmente sulla parete addominale.

Proprio per questo non è facile accettare per uno stomizzato il nuovo stile di vita che gli si presenta dopo un tale intervento. Se a ciò poi si aggiungono i diritti negati, si sprofonda in una situazione fortemente drammatica.

Innumerevoli stomizzati si lamentano del fatto che spesso, pur avendone diritto, data l’alta percentuale d’invalidità civile, la maggioranza delle Commissioni mediche sbagliano la codificazione della patologia o non considerano affatto le problematiche connesse alla stomia. A loro parere un intervento chirurgico di stomia (fortemente invalidante e demolitivo) è paragonabile alla disarticolazione di un piede o alla perdita di tutte le dita di una mano (65% di invalidità fisso – codice 7340). Basti pensare che a seguito di una stomia per c.a. del retto (neoplasia con prognosi favorevole e con grave compromissione funzionale), il codice internazionale: 9323 assegna un’invalidità civile del 70% fisso.

Insomma, sembra che i componenti delle commissioni facciano di tutto pur di non corrispondere ai veri invalidi le provvidenze economiche. Le finalità sarebbero meritorie se servissero a smascherare i falsi invalidi, ma purtroppo è quasi sempre il vero malato a farne le spese ed oggi ci ritroviamo con innumerevoli stomizzati, che pur avendo i requisiti per ottenere le provvidenze economiche, non la ottengono.

Per non parlare poi dei bambini stomizzati. Si pensi che nell’età scolare non è previsto alcun sostegno concreto ai piccoli stomizzati ed incontinenti; infatti, spesso, i direttori didattici, non potendo usufruire di un’infermiera specializzata (enterostomista e/o uroriabilitatrice), autorizzano i genitori a recarsi a scuola in classe, per provvedere alla sostituzione delle sacche di raccolta o effettuare cateterismo intermittente, con gravi ripercussioni psichiche. Per tali motivazioni, spesso, i genitori del bambino preferiscono condurre il minore a casa e poi ricondurlo in classe. È auspicabile che i Centri riabilitativi Aistom prestino una crescente attenzione nei confronti dei piccoli stomizzati e dei genitori, i quali, loro malgrado, sono costretti a dover affrontare il problema nel totale isolamento.

Anche a Cosenza esistono tali complicanze, come ha affermato lo stesso Franco Bevilacqua, referente dell’ambulatorio Aistom presso l’ospedale Annunziata: “il lavoro è tanto ed io sono da solo”. Secondo lui è necessario che in Calabria venga potenziato il servizio di assistenza dei pazienti stomizzati. Ma date le criticità della nostra sanità, è impossibile che ciò avvenga.

Valentina Mollica