C’è una categoria umana molto diffusa in politica, ma raramente così ben rappresentata: l’uomo di potere senza potere. Quello che sogna il comando, lo annusa, lo brama, ma non riesce mai ad afferrarlo davvero.
Marco Ambrogio rientra perfettamente nella definizione. Anzi, secondo molti a San Giovanni in Fiore, ne è il prototipo. Da qui il soprannome, ormai di dominio pubblico: Marco a ’mbroglia, per la capacità tutta sua di confondere, aggrovigliare e impastrocchiare tutto ciò che gli passa davanti.
Ha sempre cercato di sfondare. Non ce l’ha mai fatta. Ma non si è perso d’animo. Ha semplicemente cambiato strategia: governare senza apparire, comandare senza firmare, decidere senza assumersi responsabilità.
Un potere a distanza, esercitato rigorosamente restando sotto le sottane della moglie, Rosaria Succurro. Lei davanti, lui dietro. Lei in foto, lui in regia. Lei con la fascia, lui con il telecomando. E siccome per a ‘mbroglia il potere non è potere se non produce guadagno, l’amministrazione pubblica diventa un fastidioso dettaglio. Servizio, visione, bene comune? Roba da brochure.
Il potere vero, nella sua visione, è finalizzato a far soldi. Il resto è contorno. Ed è così che, secondo i suoi critici, durante il mandato amministrativo della moglie, mentre ufficialmente comandava lei, di fatto decideva lui.
Il risultato? Un’azione amministrativa ricordata più per i problemi che per le soluzioni.
Come ogni professionista dell’arraffo, Marco a ’mbroglia non si fa mancare nulla. Nemmeno l’ideologia à la carte.
All’occorrenza si presenta come uomo di sinistra, progressista, sensibile, attento ai temi sociali, con quel tono un po’ vissuto che piace ai nostalgici della bandiera rossa stirata male. Peccato che a casa, politicamente parlando, si torni comodamente a destra, con la moglie ben piantata in un altro campo. Ma il bello è proprio questo.
Perché non è incoerenza. È versatilità predatoria. Sinistra fuori, destra dentro. O viceversa, a seconda del vento. L’importante non è vincere una battaglia di idee, ma arraffare consenso a prescindere, rastrellando incarichi come se fossero monetine cadute a terra. Un piede in ogni scarpa, una mano in ogni tasca, la faccia sempre la stessa: sorridente, rassicurante, innocua.
La coppia perfetta, insomma. Lei di destra, lui che si finge di sinistra. Così non si scontenta nessuno. O almeno si prova. Un ticket ideologico misto, buono per tutte le stagioni, che non governa ma galleggia. Non amministra, ma occupa spazio. Non sceglie, perché scegliere significa rinunciare. E rinunciare, per A’mbroglia, è una parola sconosciuta.
Ecco perché la scena della copertina è quasi un manifesto politico involontario: lui che sbuca da sotto le sottane facendo “Cucù”, come a dire “tranquilli, ci sono anch’io”, dopo anni passati a comandare senza esporsi. Prima nascosto, ora improvvisamente visibile. Prima suggeritore, ora candidato. Ma il copione non cambia.
Morale finale, amarissima ma chiara: quando uno cambia bandiera con la stessa facilità con cui cambia mutande, non sta cercando di rappresentare una città. Sta solo cercando un modo qualsiasi per stare a galla. E San Giovanni in Fiore, questa storia, l’ha già vista. Anche da sotto le sottane.
San Giovanni in Fiore, insomma, ha già dato. Ha già visto cosa succede quando Marco a ’mbroglia “governa” da dietro le quinte. Ha già sperimentato il metodo: tanto controllo, poca responsabilità, risultati discutibili. Un’anteprima andata male. Un trailer che nessuno ha voglia di rivedere. Eppure oggi la notizia è questa: Marco a ’mbroglia vorrebbe candidarsi a sindaco. Stavolta in prima persona. Senza sottane. Senza schermi. Un salto di qualità, almeno sulla carta. Peccato che i cittadini non partano da zero. Perché quando uno ti dice “fidati”, ma tu ci sei già passato, non è scetticismo. È memoria.
Il paradosso è tutto qui: se da consigliere ombra ha contribuito a un fallimento, perché mai dovrebbe riuscire ora, alla luce del sole, a fare meglio? Non è rinnovamento. È accanimento politico. È voler completare un disastro iniziato a metà.
Marco a ’mbroglia ha finalmente deciso di uscire da sotto le sottane. Bene. Ma San Giovanni in Fiore non è un esperimento sociale, né una seconda chance concessa per noia. È una città che ha già pagato il conto. E non ha nessuna voglia di farselo ripresentare, con lo stesso nome, lo stesso metodo e lo stesso finale già visto.









