Proprio non ce la fanno a mollare la politica e a ritirarsi nei rispettivi feudi a coltivare pomodori. Che poi sarebbe la cosa più giusta da fare dopo 30/40 anni di “attività” politica: ritirarsi e far spazio ad altri che è quello che accade nei paesi sufficientemente democratici, dove la politica è intesa come servizio ai cittadini. Ma in Italia si sa: la politica è la primaria fonte di reddito della casta, i famosi politici di professione. La politica, in Italia, è considerata un mestiere che solo gli “eletti” (per diritto divino) possono esercitare, e che si tramanda da padre in figlio, o da sodale a sodale. Infatti per la maggior dei politici italiani, la politica è solo lo “strumento” necessario per arrivare a gestire la cosa pubblica per fini privati, attraverso l’uso distorto e mafioso delle cariche istituzionali che ne derivano. La politica, per la casta, ha la stessa utilità che ha il grimaldello per il ladro.
In poche parole, chi gestiste il potere politico può tranquillamente amministrare il patrimonio pubblico alla stregua di una ditta di famiglia, dove può sistemare, oltre che i parenti, anche gli amici degli amici. E lucrare come gli pare, nell’impunità totale. Ecco perché non mollano.
A guardare il congresso di questi giorni del Pd, è questa la sensazione che arriva alla gente: personaggi (leggi classe dirigente) che hanno fatto il loro tempo, e tanti danni, che di staccare il culo dalla poltrona non ci pensano proprio, nonostante la necessità vitale, per un Pd in via di estinzione, di presentarsi ad un “nuovo elettorato” con una veste nuova.
È chiaro a tutti, tranne che a loro, che serve un azzeramento totale di tutta la classe dirigente del Pd, se si vuole realmente aprire una nuova stagione della sinistra in questo paese. Riproporre le solite facce, che rappresentano il fallimento politico, e il tradimento degli ideali storici della sinistra italiana, non paga più. Elettoralmente parlando. E a poco serve raschiare il barile dei voti clientelari, ridotti, anche questi al lumicino. Una situazione evidente a tutti, e dalla quale non si può prescindere. Ma nonostante ciò non mollano. Perché quello che pensano i dinosauri del Pd è che basterà puntare tutto sul fallimento di questo governo, per far sì che il popolo della sinistra, gli stessi che il 4 marzo hanno votato per i 5Stelle e per la Lega, ritorni a votarli. Magari turandosi il naso, dopo una cocente delusione.
A pensarla così i maggiori responsabili della più grande e clamorosa fuga di massa di iscritti dal Pd che la storia della sinistra italiana ricordi. E questo la dice lunga anche su come intendono il partito: un altro “ferro del mestiere”. Non gliene frega niente del futuro del partito, l’unico futuro a cui sono interessati è il loro. Fino a che il partito può garantirgli – attraverso il solito quanto squallido gioco delle correnti interne e delle tessere farlocche – la possibilità di continuare a gestire, anche fette ridotte, di potere, non molleranno la presa. Gli interessi economici in gioco sono tanti. Decenni di permanenza nelle stanze del potere hanno permesso alla casta il consolidamento di affari privati in faccende pubbliche, attraverso la creazione di legami e relazioni forti con tutto l’apparato dirigenziale e amministrativo dello stato. È questa la loro battaglia, conservare la possibilità di trarre profitto dalla politica. E pensano di risolvere il tutto formulando tesi fittizie che risultano, a tutti, lontano anni luce dalla vita reale.
Fanno finta di non aver capito la lezione del 4 marzo: la gente non vuole più vedere la vecchia e sempre più stantia nomenklatura politica del PD. Solo attraverso la loro rinuncia si può sperare in una ripresa della sinistra in Italia. Anche se il governo giallo/verde dovesse fallire, il ritorno dell’elettorato al male minore, auspicato da tutti i dinosauri, non ci sarà lo stesso. Perché è la classe dirigente che gli stessi iscritti del Pd, fuggiti in massa, hanno bocciato, non l’idea della sinistra. E fino a che ci saranno loro, un ritorno dell’elettorato a sinistra, sarà difficile.
Ma nonostante ciò la vecchia nomenklatura, con un rischio estinzione altissimo, ha deciso che i candidati alla corsa per la segreteria devono appartenere alla “casta”. E non fatevi ingannare dalla presenza di candidati di diverse aree del partito, sotto sotto sono tutti per la conservazione dei privilegi della casta. Infatti i candidati alla segreteria, che sono, Nicola Zingaretti, Matteo Richetti, Francesco Boccia, Cesare Damiano, Dario Corallo, Marco Minniti, rispecchiano pianamente gli interessi di tutta la casta del Pd.
Su tutti Marco Minniti: il peggiore. Il più ipocrita di tutti. Il vecchio che più vecchio non si può. Un fascista travestito da comunista, ma, all’occorrenza, anche un comunista travestito da fascista. Il personaggio perfetto per garantire la continuazione del potere parallelo a quello dello stato, del resto in questo lui è maestro.
Ecco la novità del Pd: Marco Minniti. Lo stesso che dopo aver manganellato operai, studenti, migranti, morti di fame, disoccupati, oggi si ricorda che esistono i deboli, il che mette in risalto tutto lo squallore di questo spione pelato buono per ogni stagione che non è stato mai eletto dal popolo (è un ripescato), il cui unico interesse è garantire se stesso, e gli amici degli amici.
Se questi sono i personaggi che dovrebbero garantire la rinascita della sinistra, il governo giallo/verde può dormire sonni tranquilli e permettersi tutti i fallimenti che vuole, perché un Pd al governo non ci sarà mai più.