L’ASSURDO SILENZIO DI DORINA BIANCHI – CORRIERE DELLA SERA –
di Gian Antonio Stella
«A meglia parola è chilla ca ’un se dice». Fedele all’antico adagio che raccomanda di non esporsi perché «la parola migliore è quella che non si dice», la sottosegretaria crotonese ai Beni Culturali Dorina Bianchi ha rivendicato il merito del sequestro del cantiere del villaggio di punta Scifo, a Capo Colonna.
«Ma se è sempre rimasta muta!», hanno riso grillini e ambientalisti impegnati da mesi nella battaglia fino all’intervento di Nicola Gratteri e dei giudici locali. «Come sottosegretario al Mibact non ho ritenuto opportuno esprimere pubblicamente la mia posizione», ha detto serafica la deputata, «ho preferito esercitare la mia funzione con i mezzi a mia disposizione, sollecitato gli uffici ministeriali competenti ad adoperarsi affinché fossero effettuate le dovute verifiche».
Verifiche formali inutili, come lei ben sa, senza l’intervento della magistratura. Irresistibili, nell’intervista al Quotidiano del Sud, due passaggi. Il primo: «Sarebbe risultato non adeguato esprimere pubblicamente la mia opinione per una questione che riguardava direttamente il mio ministero, essendo parte in causa».
Bizzarro: una che sta ai Beni Culturali di cosa dovrebbe parlare? Era parte in causa anche sul raddoppio dello stadio di Crotone ma propose il «rilancio della struttura» («può essere un volano per l’economia della città») e non disse una parola sul raddoppio delle tribune in area archeologica.
Secondo passaggio: «Mi sono recata personalmente sul posto, senza preavvertire la stampa e i tecnici della sovrintendenza». Divertente. L’esponente alfaniana, detta «la donna che visse sette volte» per aver circumnavigato sette partiti di destra e sinistra, non passa per una che non si fa notare. Anzi. Tra le inaugurazioni da ricordare quella della statua ad Alarico a Cosenza, dove sentenziò: «La ricerca della tomba di Alarico è un’indagine complessa che deve diventare un progetto sperimentale e innovativo…» bene: il suo stesso ministero stava per bocciare l’idea dettata da «motivazioni del tutto estranee alla tutela».
E che dire dell’ultima cerimonia, la riapertura degli scavi di Sibari dopo i restauri seguiti all’alluvione del 2013 dovuta a gestioni scellerate?
C’erano 300 persone, «annessi e connessi, portaborse, e servidorame», ha scritto www.iacchite.com e tutte si sono avventate nell’area degli scavi «calpestando senza ritegno i delicatissimi mosaici».
In prima fila lei, Dorina. Col tacco alto.