Non ce l’ho fatta il 30 giugno 2016 – poco più di sette anni fa – ad andare in Tribunale ad assistere al ritorno di Mario Spagnuolo, che aveva giurato (ovviamente il falso) da “nuovo” procuratore della Repubblica di Cosenza.
Non mi piacciono l’ipocrisia, la falsità e il gioco delle parti. Alle quali il 30 giugno 2016 ha partecipato anche Nicola Gratteri, tirato per la giacchetta da tutta la Calabria. L’avrà fatto per dissipare possibili dubbi rispetto all’identità dei “gattopardi” che irrideva qualche tempo prima dell’incoronazione del “nuovo” procuratore di Cosenza. Anche se Spagnuolo, diciamocelo francamente, i requisiti di “Gattopardo” ce li ha tutti. E a Cosenza, grazie al suo ritorno, siamo ripiombati negli anni più bui della storia della nostra città.
La faccia di Spagnuolo mentre abbraccia Gratteri è tutto un programma. Il (nuovo?) procuratore di Cosenza, sedici anni dopo, avrebbe voluto dimostrarci che è cambiato e che è diventato un altro uomo anche se chiama ancora Alfredo Serafini, il persecutore dei no global e di Padre Fedele e colui che ha permesso di sguazzare a tutti i corrotti della città, “il mio presidente”.
Invece di citare Tomasi di Lampedusa, come sarebbe stato naturale, anche se si era ricordato di dire che gli sono uscite un po’ di rughe e un po’ di bianco tra i capelli – bontà sua -, citava Buzzati e diceva: “Perché non è importante che qualcuno legga la pagina del libro che abbiamo scritto ma è importante averla scritta”.
Il problema è che insieme a Serafini e Spagnuolo, questa pagina del libro l’hanno scritta soprattutto Franco Pino e tutti gli altri pentiti di questa “cricca” di servitori infedeli dello stato con tutte le menzogne che i registi occulti dell’affossamento del processo Garden gli hanno fatto dire. Lasciando fuori colletti bianchi e politici e quando ne restava incagliato uno, tipo Grimoli, via al gioco delle tre carte.
Quella pagina del libro non è la vera storia di Cosenza e lo sanno tutti, ma proprio tutti. La conclusione sembrava quasi una minaccia ma era solo il solito fumo negli occhi: “Cosenza non è un’isola felice”. La stessa frase che pronunciò il primo procuratore nazionale antimafia Bruno Siclari all’indomani dell’operazione Garden nel 1994. Quello che avrebbe dovuto dire Spagnuolo molti anni prima. Ma a quell’operazione Spagnuolo non solo non ha partecipato ma ha contribuito ad affossarla.
In questi inutili sette anni l’andazzo è stato uguale a quello di sempre. In sette anni esatti Spagnuolo il “nuovo” ha sequestrato tre discariche abbandonate da decenni (una delle quali l’ha affidata in custodia a… Granata!), ha arrestato decine di venditori di fumo inseguendoli dappertutto (sic!), si è fatto nominare il nipote Giampaolo Calabrese dirigente alla Cultura da un sindaco che invece avrebbe dovuto arrestare, e solo perché “trascinato” e “costretto” da altre quattro procure è riuscito a “vedere” che Occhiuto è un bancarottiere, che la sanità è un colabrodo guidato dalla massoneria deviata e che il comune di Rende è mafioso. Atti “dovuti” per pararsi il culo flaccido che si ritrova.
Con il contorno dell’inchiesta della procura di Salerno nei suoi confronti approdata anche alla ribalta nazionale. E con un procuratore aggiunto che lo accusa apertamente di essere quello che è: un corrotto. E che ha dato il via ad una istruttoria del Csm su tutta l’attività della procura-porto delle nebbie, che in pratica l’ha ridotto – con decenza parlando – in mutande…
In due parole, solo chiacchiere e… distintivo. E la faccia di uno che non cambierà. Mai. L’unica consolazione è che il 24 marzo 2024, alla veneranda età di 70 anni, se ne andrà in pensione e ci libererà finalmente della sua inutile presenza (g. c.)