Massomafia in Calabria. Petrini conferma: “Pittelli tentò di corrompermi a vantaggio di Rocco Delfino”

Giancarlo Pittelli avrebbe provato a corrompere il giudice Marco Petrini all’epoca presidente di sezione della Corte d’Appello di Catanzaro per ottenere la restituzione della società confiscata all’imprenditore vicino ai Piromalli, Rocco Delfino.

E’ il 16 novembre quando l’ex giudice, condannato a 4 anni e 4 mesi per corruzione in atti giudiziari, si accomoda davanti ai magistrati della Dda di Salerno. Dopo il suo arresto Petrini aveva confermato una “reale iniziativa corruttiva di Pittelli in favore di Rocco Delfino” parlando di una promessa di una somma di denaro in cambio dell’esito favorevole della revisione del provvedimento di confisca. Poche settimane dopo però aveva ritrattato tutto smentendo qualsiasi ipotesi corruttiva anche solo tentata.

Due mesi fa il nuovo colpo di scena. Petrini “conferma interamente il perfezionarsi della corruzione in relazione – scrive il Ros – ad una sua pronuncia su una vicenda che colpiva il patrimonio di Rocco Delfino”. Ai magistrati l’ex giudice spiega: “C’era stata una promessa però poi non c’è stata mai nessuna dazione… perché entrambi furono arrestati”. L’avvocato e l’imprenditore infatti il 19 dicembre 2019 finirono nel maxi blitz Rinascita Scott. Le parole di Petrini rischiano di avere ripercussioni sulle due accuse di concorso esterno che gravano su Pittelli. La figura di Rocco Delfino fa infatti da anello di congiunzione tra l’inchiesta di Reggio Calabria Mala Pigna e il maxi blitz della Dda di Catanzaro.

L’imprenditore vicino ai Piromalli sarebbe entrato in contatto con Pittelli su raccomandazione del boss vibonese Luigi Mancuso. Così come era già emerso nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, Pittelli avrebbe attivato i suoi canali istituzionali per “salvare” da interdittive e sequestri le imprese di Delfino coinvolgendo anche un ufficiale dell’Arma dei carabinieri. La Dda di Reggio è riuscita a mettere un ulteriore tassello. Per Giuseppe Piromalli detto Facciazza e suo figlio Antonio Piromalli, entrambi detenuti, Giancarlo Pittelli avrebbe fatto da “postino” portando all’esterno i messaggi dei boss detenuti. Il ruolo dell’avvocato sarebbe emerso in merito al pagamento di un perito incaricato di esaminare la pistola usata per l’uccisione del sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Antonino Scopelliti.

Giuseppe Piromalli è considerato uno dei mandanti dell’omicidio, avvenuto il 9 agosto 1991 in un agguato a Campo Calabro mentre la vittima, a bordo della sua auto, rientrava a casa. Delfino avrebbe dovuto pagare i 30 mila euro dovuti al perito di parte ma secondo le indicazioni del boss detenuto. Per il gip di Reggio, Pittelli avrebbe tentato di tutelare gli interessi economici imprenditoriali di un uomo chiave della cosca come Rocco Delfino. A lui il penalista catanzarese consigliava: “Allora Rocco, io devo tirare prima di tutto i vostri interessi. Prima ci siete voi, poi vengono tutti gli altri”.

Pittelli si è difeso sostenendo che con Delfino vi era solo un rapporto professionale tra avvocato e cliente. Di recente l’ex senatore ha preso la parola durante il maxi processo Rinascita Scott. Riferendosi a Petrini ha dichiarato di non aver avuto mai alcun rapporto particolare con lui anche perché il giudice lo riteneva autore di un esposto contro di lui al Csm.