La convinzione che le rotaie siano il mezzo di trasporto più rispettoso dell’ambiente è diventata parte del nostro modo di pensare e raramente viene messa in discussione. Tuttavia, non esiste sul punto un chiaro pronunciamento scientifico, e accade spesso che le statistiche ufficiali attribuiscano le emissioni di anidride carbonica (CO2) ai processi industriali di produzione di energia elettrica anziché al settore dei trasporti. Quel che è certo è che si tratta di una delle principali fonti di cambiamenti climatici nel mondo, con un contributo pari a circa il 25% delle emissioni totali di anidride carbonica.
Come autorevoli studi internazionali hanno dimostrato (per esempio, il Railway Handbook 2015 dell’UIC/IEA), le aziende ferroviarie in Europa si stanno muovendo rapidamente verso l’uso di fonti di energia rinnovabili, come modo per abbattere le emissioni di CO2 in atmosfera. Sfortunatamente, in questa sfida globale, la Calabria – regione che produce più energia del proprio fabbisogno – ha scelto di combattere l’ennesima battaglia di retroguardia, con decisioni incomprensibili (e solo in parte scongiurate!) di investire in centrali a carbone, termoelettriche e a turbogas. E’ dunque ragionevole ipotizzare che parte di questo surplus elettrico venga destinato ad alimentare la metrotramvia Cosenza-Rende-Unical. Un magro successo, per chiunque crede sinceramente nelle parole “mobilità sostenibile” e “rispetto per l’ambiente”.
La buona notizia è che sull’argomento “mobilità sostenibile” esiste una sterminata letteratura internazionale da cui poter attingere a piene mani, se solo lo si vuole. La cattiva notizia è che l’argomento metrotramvia Cosenza-Rende-Unical è stato considerato finora come un ambito di studio per soli ingegneri, i quali hanno disegnato un tracciato tecnicamente possibile, ma non sono stati in grado di indagare le conseguenze delle proprie decisioni tecniche nè le necessità degli abitanti. E i risultati sono pessimi, almeno a giudicare dai tanti errori di valutazione che sono ormai sotto gli occhi di tutti. In attesa di capire chi dei nostri rappresentanti politici o amministratori locali griderà per primo “Il re è nudo!”, non rimane che aggiungere ulteriori elementi di riflessione, come modo per alimentare la discussione pubblica, al di sopra di ogni contrasto ideologico.
Per esempio, stando a quanto riporta la rivista inglese «Rail Engineer» specializzata in ingegneria ferroviaria, le automobili in circolazione producono in media 151 grammi di CO2 per passeggero al chilometro, mentre i tram 80.9 grammi. A prendere le statistiche a crudo, la tramvia parrebbe una scelta vincente, ma – a guardare più attentamente – le cose non stanno proprio così. Infatti, concentrando la nostra analisi sul solo inquinamento da anidride carbonica prodotto dai vagoni, viene fuori che un solo vagone di tram produce circa 889,9 grammi di CO2 per singola tratta, che è di 11 km. Facendo stime prudenziali, si parla di una cifra di almeno 20 tonnellate di CO2 prodotte all’anno su tratta singola. Cifra che equivale all’inquinamento prodotto da 10.000 vetture che percorrono mediamente un tragitto di 10km. Si tratta di una cifra clamorosa, a cui vanno aggiunti pure i costi stratosferici di realizzazione dell’opera, pari a circa 14,5 milioni di Euro al km.
Occorre perciò fermarsi a riflettere. Per esempio, utilizzando le tabelle di calcolo elaborate dall’Environmental Protection Agency del governo degli Stati Uniti d’America, si calcola che per neutralizzare gli effetti di questo inquinamento atmosferico aggiuntivo, occorrerebbe piantumare ogni anno circa 1.600 piante di legno duro a crescita rapida. In pratica, posizionandone uno ogni 2 metri, si piantumerebbe tutto il Viale Parco, con una fila nuova di alberi per ogni anno di esercizio della tramvia. Solo così si riuscirebbe a neutralizzare l’inquinamento del solo materiale rotabile. E’ possibile?
Senza opere di compensazione, peraltro non previste nel progetto preliminare, si causerà un danno ambientale silente, di cui avvertiremo nel tempo gli impatti sulla qualità di vita nell’area urbana.
Da ciò sembra facile concludere che se una tratta ferroviaria è già esistente, e occorre decidere se privilegiare il traffico su strada o rotaia, è ovvio preferire la scelta delle infrastrutture ferroviarie già esistenti. Se non altro, per minimizzare gli impatti ambientali.
Non è un caso, che l’Ocse (2010) stabilisca in maniera inequivocabile, che il miglior modo per ridurre le emissioni di anidride carbonica nelle nostre città sono le ferrovie, laddove esistenti, seguiti poi da autobus veloci e, solo al terzo posto, le metrotramvie. In particolare, è stato calcolato che – in media – il risparmio di anidride carbonica che il tradizionale trasporto ferroviario è in grado di garantire rispetto alla tramvie è pari a circa 1.000 tonnellate all’anno, un vantaggio enorme, che si traduce in una migliore vivibilità delle città, in una minore necessità di ricorrere all’assistenza sanitaria, e – non ultimo – in un più vivace mercato immobiliare.
I motivi di questa differenza di impatto ambientale dei treni e degli autobus rispetto alle metrotramvie sono molteplici e si influenzano a vicenda. Per esempio, sappiamo che la messa in posa di nuovi binari, la tipologia del tracciato, l’assetto urbanistico e la viabilità generale, la capacità di trazione dei vagoni e la loro velocità, e – soprattutto – le necessità di una rete elettrificata da tenere costantemente sotto tensione, sono tutti fattori che producono gas serra e, quindi, sono causa diretta e indiretta di inquinamento dell’aria.
Ma se oltre a questi aspetti, si considera che – in molti casi – la costruzione di una tramvia causa la sparizione di verde urbano oppure restringe coattivamente le strade, aggravando così la situazione dei parcheggi, e quindi va a congestionare il traffico sul resto della rete stradale, ecco allora che gli effetti di inquinamento crescono in maniera esponenziale. Ne sa qualcosa la città di Palermo, dove dall’inizio di quest’anno è attiva una tramvia che sta esasperando notevolmente la già famosa piaga del traffico cittadino.
Alla luce di queste considerazioni, appare evidente che il progetto che si vorrebbe realizzare nell’area urbana Cosenza-Rende è inadeguato rispetto alle esigenze della città, poiché non prende in esame nessuna delle criticità né le implicazioni che si avrebbero a cascata su altri settori del bilancio pubblico. Il rischio prevedibile è che, nel tentativo di inseguire i sogni di gloria di pochi, si creino problemi più grandi di quelli che si pensa di risolvere. Insomma, 160 milioni di Euro spesi lasciando inalterato il problema di mobilità delle persone.
Pertanto, come si può garantire contemporaneamente mobilità e qualità di vita alla nostra area urbana? Occorre senza dubbio muoversi con decisione in direzione della «multimodalità», lasciando alle persone la libertà di decidere come è più comodo muoversi. Al riguardo, basterebbe migliorare l’efficienza del flusso di traffico spostando la viabilità su percorsi secondari, oppure riprendere le vecchie strade rurali (a Rende sono moltissime) e usarle come sentieri urbani o ciclabili per collegare il centro alle contrade e, viceversa. Se questa rete secondaria funziona efficientemente, saranno le persone a decidere liberamente di provare le alternative. Dati alla mano, un aumento di verde pubblico è invece sufficiente ad assicurare un migliore assorbimento di polveri sottili e di gas di scarico. Quindi, non sarà necessario né usare altro suolo per allargare la rete stradale primaria, né introdurre misure volte a limitare la mobilità privata.
Questa visione innovativa di città coniuga un concetto moderno di mobilità con una proposta di completa vivibilità dei luoghi, ed ha un effetto neutrale o addirittura negativo sulle emissioni di CO2 rispetto alla vecchia concezione di viabilità, poiché integra l’ambiente nelle scelte urbanistiche, e introduce il principio di «democrazia della mobilità». Essa è pure coerente con i suggerimenti dell’Ocse, secondo cui allargare le carreggiate stradali non è la soluzione di lungo periodo ai problemi della mobilità urbana. Infatti, allargare le strade comporta sempre un aumento del traffico veicolare e quindi delle emissioni di CO2.
L’Unione Europea ha ragione da vendere quando dice che le regioni in ritardo economico, come la Calabria, hanno un diritto a irrobustire la propria economia. Tuttavia, ogni impegno in questa direzione non può andare a danno della dotazione di “capitale fisico” già esistente nelle nostre città sotto forma di strade, ponti, infrastrutture, e neppure della dotazione di “capitale naturale”, di cui la Carta di Milano e la Conferenza di Parigi rappresentano in ordine cronologico solo gli ultimi appelli alla sua conservazione. Ricordiamoci che, i 160 milioni di Euro sono finanziati sull’asse “Ambiente” e non su quello “Trasporti”. Speriamo che anche i nostri rappresentanti politici se ne ricordino, e si impegnino finalmente a rendere le nostre città davvero più vivibili.
Matteo Olivieri